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Ho dei movimenti involontari e dovevo fare un piccolo intervento in un ospedale di Firenze.

In primo luogo non è stata attuata nessuna priorità per i disabili (come previsto dal co. 3 dell'art. 3 della legge 104 del 1992). Questa priorità non è stata minimamente adottata né per quanto riguarda la visita iniziale e neanche per tutto quello che riguarda i trattamenti di preospedalizzazione. Questo è grave sia perché è una violazione di legge e sia perché il disabile deve pagare l'assistente personale, e quindi se, ad esempio, deve aspettare un’ora per una visita, questa attesa gli viene a costare in termini di denaro vivo (per la retribuzione dell’assistente personale), mentre ad un non disabile non costa in questi termini. Inoltre, o forse soprattutto, di regola, i disabili gravi hanno pochissima assistenza personale, per cui, se deve utilizzare l’assistenza personale per lunghe attese in ospedale, il disabile può poi trovarsi costretto a gravi rinunce, ad es. nel mangiare, nel lavarsi ecc. perché le ore di assistenza personale si sono esaurite nell’attesa in ospedale.


Se poi le visite da fare sono numerose, ne consegue che i costi maggiori a carico del disabile e/o le rinunce da subire possono diventare notevoli.
Per il mio intervento erano previste una serie di preparazioni, che dovevo fare a casa nei giorni precedenti. Per me, che non posso fare alcune cose da solo, si trattava di  questioni che mi creavano particolari difficoltà. Ebbene l'ospedale non ha minimamente previsto un incontro con il chirurgo per vedere se e come era possibile semplificare queste cose per le mie possibilità. Eppure sarebbero bastati qualche decina di minuti di incontro con il chirurgo per semplificare notevolmente la mia vita per un buon numero di giorni.
Anche nei giorni successivi l'intervento, a casa, dovevo seguire tutta una serie di comportamenti semplici per chi è normodotato, ma per me molto più complicati per via delle mie difficoltà fisiche. Ciononostante l'ospedale non ha previsto alcun incontro con il medico per vedere se era possibile semplificare tutto ciò. Anche qui sarebbero bastati pochi minuti per semplificarmi molto la vita.
Insomma non esisteva alcun protocollo particolare per le specifiche necessità dei “disabili”.
Fra l'altro il mio intervento era stato previsto nel pomeriggio. Una volta avuta da me la notizia, il chirurgo ha ritenuto di dover prendere l'iniziativa per farmi mettere come primo intervento della mattina perché erano necessarie particolari attenzioni. Mi sembra che queste cose dovrebbero essere già previste nei protocolli o nelle procedure.
Nella prima visita il chirurgo mi aveva detto che era sufficiente l'anestesia locale. Gli avevo detto le mie perplessità in proposito per via delle mie distonie.  Lui mi aveva detto che non c'erano problemi. Viceversa la mattina dell'intervento il chirurgo mi ha detto che, per via dei miei movimenti involontari, aveva optato per l'anestesia totale con la mascherina. E questo è avvenuto senza darmi alcuna informazione sulle conseguenze che questo avrebbe comportato per me.
Il cambio di tecnica anestesiologica non può essere comunicato pochi minuti prima di un intervento programmato, se non per cause di forza maggiore, e non è questo il caso, inoltre non è ammissibile che non si sia organizzato un colloquio informativo con l’anestesista in cui il paziente possa ascoltare ed discutere le diverse opzioni.
Nei giorni precedenti mi avevano fatto firmare dei fogli in cui autorizzavo l’intervento. Non escludo affatto che in tali fogli ci fosse qualche codicillo che autorizzava l’anestesia totale in caso di necessità (ma io non lo ricordo), però in tali fogli si parlava in maniera evidente soltanto di anestesia locale. Inoltre  mi risulta che il consenso all’anestesia generale debba essere esplicitamente espresso all’anestesista e non ad altre figure professionali E in nessuno degli incontri di preospedalizzazione mi era stato parlato di anestesia totale e delle sue possibili conseguenze per me.
Tanto meno mi era stato parlato di una possibile intubazione per me. E neanche è stata discussa con me la possibilità di forme di anestesia alternative, che pure esistono, e che dovevano essere discusse con me. E nulla mi era stato spiegato su quali conseguenze avrebbe comportato per me un’eventuale intubazione con curarizzazione, mentre il paziente ha pieno diritto di essere informato su questo e sui pro e i contro di possibili alternative. Tanto più questo mi doveva essere spiegato con molta chiarezza perché, a seguito delle mie difficoltà fisiche, le conseguenze di un’eventuale intubazione sarebbero state per me più pesanti che per chi è normodotato.
In proposito si badi bene che il principio di eguaglianza impone che, tanto più rilevanti possono essere le conseguenze tanto maggiore è il diritto del soggetto d essere informato e tanto più grande è il dovere di lorsignori di informare il soggetto.
Il fatto è che poi sono avvenuti alcuni eventi gravissimi.
In primo luogo, mentre mi accompagnavano verso la sala operatoria, ero tranquillissimo, tanto che ho raccontato loro anche delle barzellette. Il fatto è che, una volta arrivato nell’anticamera della sala operatoria, mi ci è voluto poco per capire che le cose avrebbero preso una piega diversa da quella per la quale ero stato informato, e questo, ovviamente, mi ha turbato molto. Ebbene, l’anestesista, anziché adempiere al dovere di comprendere il mio turbamento, e rispettare il mio diritto ad essere informato, ha adottato la procedura che viene imposta ai pazienti che non collaborano, facendomi urlare di dolore, e umiliandomi anche nei confronti delle persone presenti (compresa la mia assistente personale, la quale era arrivata fino all’anticamera della sala operatoria proprio per fare il possibile affinché io vivessi tutta la vicenda in condizioni di dignità).
Solo dopo il mio risveglio, e soltanto dalla mia assistente personale, ho saputo che ero stato addirittura intubato, e con una tecnica particolare (per via nasale, e non per via orale) a causa delle mie difficoltà. E questo senza che prima fossi stato informato di niente. Fra l'altro non sapevo neanche che la più pesante delle anestesie avviene tramite l'intubazione.
Può darsi che abbiano fatto così per risparmiare tempo perché in ogni giornata sono tenuti a fare un certo numero di interventi. In questo caso si tratterebbe dell’ennesima conferma del fatto che i decantati risparmi sulla sanità in realtà vogliono dire scaricare i costi (in termini di disagi, sofferenze e ricorso a prestazioni private) sul paziente che già paga regolarmente tasse consistenti.
In altri termini informare il paziente vuol dire collaborare con lui. E significa anche avere un paziente che vuol collaborare, e da questo consegue anche la possibilità di migliorare la prestazione. Viceversa tutta la struttura ospedaliera è basata sul potere dei medici e sul rispetto dei tempi. Quindi il paziente viene messo in secondo piano e le decisioni vengono prese a prescindere dalle sue vere necessità.
Un po’ dopo il mio risveglio un medico di ha detto che, diversamente dal programma, sarei potuto rimanere in ospedale per la notte, ed io ho detto che preferivo andare a casa. Solo che la possibilità di rimanere in ospedale mi è stata proposta quando non mi ero completamente ripreso dall’anestesia, e quindi non so quanto avevo la piena capacità di intendere e volere. Ma soprattutto, né in precedenza e neanche in quel momento, mi è stato minimamente spiegato cosa avrebbe voluto dire per me andare a casa dopo quel tipo di anestesia. Dunque sono stato costretto ad un consenso non informato, il che è giuridicamente inammissibile, e gravissimo nel caso specifico. Infatti sono andato a casa senza conoscere i gravi rischi e pericoli ai quali sarei andato incontro e che avrei evitato rimanendo in ospedale.
Se solo mi avessero detto che a casa non sarei riuscito a stare in piedi, non avrei esitato a rimanere in ospedale. Ma se queste cose non me le dicono, non è certo mio compito essere il medico, e non posso essere indovino.
Può darsi che non lo sapessero neanche loro che non sarei stato in piedi. Però lo avrei capito anche da me, se nei giorni precedenti l’intervento avessero adempiuto al loro dovere di informarmi su cosa avrebbe voluto dire l’anestesia con curarizzazione e intubazione.
Inoltre l’intubazione, al posto dell’anestesia locale, mi ha comunque costretto ad una permanenza in ospedale più lunga. Avevo previsto che la mia assistente personale stesse con me per una durata di tempo compatibile con l'anestesia locale. Dovevo essere avvertito prima che, a seguito dell'anestesia totale, sarei dovuto rimanere in ospedale più a lungo, preferibilmente per una notte. Infatti, se la mia assistente personale non fosse potuta rimanere con me in ospedale più a lungo: come avrei fatto?
E ancora, sia la mia assistente personale più a lungo in ospedale che l’assistente personale più a lungo del prevedibile a casa, mi sono costate un bel più di soldi del previsto. E se non avevo questo denaro? Tutti motivi molto significativi per cui, nei giorno precedenti l’intervento, avrei dovuto essere informato in maniera esaustiva. Ma soprattutto: dedicandomi dieci minuti in più di attenzione e trattandomi da persona per bene, e non da imbecille, queste maggiori difficoltà e costi potevano essere evitati o attenuati. Quindi l'ospedale ha agito in modo da causare più sofferenza per me e più spreco di risorse del possibile e del dovuto.
Da tutto questo è scaturita una conseguenza ben più grave. Sono stato dimesso dall’ospedale senza dirmi minimamente che, a seguito di quel tipo di anestesia, quella sera a casa non sarei riuscito neanche a stare n piedi per quel poco di tempo che di solito ci riesco. Anche questo è stato gravissimo. Per fortuna sono riuscito a trovare una persona che mi ha aiutato. Però dovevo essere avvertito prima che avrei dovuto trovare un assistente personale per aiutarmi a casa ben più del consueto.
Infatti, se, così all'ultimo momento, non avessi trovato questo assistente personale, come avrei fatto? Senza nessuna assistenza personale a casa, per esempio, sarei potuto cadere, magari avrei potuto battere violentemente la testa nel cadere, probabilmente una caduta del genere avrebbe costretto a rifare l'intervento chirurgico, e probabilmente, nel cadere, avrei avuto anche un trauma cranico. Oppure, magari, mi sarei potuto rompere una gamba. Per me sarebbe stato un dramma pazzesco, ma “naturalmente” a quelli dell'ospedale non interessava. E non interessava a nessuno se tutto questo faceva schizzare in alto la spesa sanitaria.
Infine, ma non meno importante, un’altra questione altrettanto grave.
Per chi ha significative difficoltà fisiche-psichiche-sensoriali-mentali molto spesso è difficile avere assistenza personale adeguata alle proprie esigenze. Si tratta però di una questione di enorme importanza. Infatti, anche in presenza di significative difficoltà fisiche-psichiche-sensoriali-mentali, se si ha un'adeguata assistenza personale, non si è costretti a vivere da disabile. Insomma ti cambia la vita.
A me poi gli ospedali fanno paura. Tanto più un intervento chirurgico è comunque una questione delicata. E io posso avere necessità di più aiuto di altri.
Perciò per me il giorno di quell'intervento era particolarmente importante avere assistenza personale adeguata. E ci ero riuscito. Infatti quel giorno una persona per me molto brava aveva appositamente preso ferie, era riuscita a sistemare i figli, alle 7 di mattina era puntualissima a casa mia, e già in auto, nell’andare all’ospedale, il sentire di poter contare su questa persona mi dava molta tranquillità. Mi rendevo conto che il vero problema, che mi aveva angosciato, non era tanto la pur legittima ed esistente paura dell’ospedale, quanto il timore di essere (sub)trattato da disabile.
Sintetizzando in maniera estrema un discorso enorme, da sviluppare in altra sede, si può dire che un assistente personale è compiutamente tale (o è ottimo?) quando le cose si svolgono come se il “disabile” le facessi da sé, ovvero l’assistente personale c’è fino in fondo, ma è come se non ci fosse, tanto ti fa sentire a tu agio. Anche questo, in estrema sintesi, nel mondo contemporaneo un po’ è fortuna, un altro bel po’ te lo devi conquistare. Però per quel giorno ci ero riuscito in pieno. Sarebbe stato perciò preciso dovere del Servizio Sanitario Nazionale, come minimo, riconoscere l'importanza di questo lavoro e riconoscere il ruolo di chi si impegna seriamente in questa attività. Invece hanno fatto l'opposto.
Seguendo con scrupolo quanto stabilito dal chirurgo, la mia assistente personale mi aveva accompagnato fino all'anticamera della sala operatoria. Per questo è stata rimproverata con molta scortesia dalle persone in servizio. E' ragionevole ritenere che questo rimprovero ci sia stato perché, arrivando fin lì, la mia assistente personale avrebbe potuto testimoniare di come sono stato trattato per l'anestesia. Il fatto è però che, con l'autorizzazione del chirurgo, la mia assistente personale aveva dedicato ogni possibile impegno per aiutarmi nel migliore dei modi. Ed è inammissibile che sia stata rimproverata per questo. Tanto più ciò è inammissibile se si considera quanto è difficile, per chi è veramente “disabile”, riuscire ad avere ottima assistenza personale.
La conseguenza concreta per me è stata che la Convenzione dell’Onu sui disabili riconosce con rilievo una questione di enorme importanza, e cioè che, ad esempio, io non sono disabile, ma è la società che mi costringe a vivere da disabile. Ci tenevo molto a vivere questa vicenda da persona, e non “disabile”, e avevo fatto di tutto perché questo accadesse. Invece il Servizio Sanitario della Toscana mi ha imposto di vivere da disabile.
Il fatto più grave è che questa discriminazione è solo uno dei troppi apici in un quadro più generale di  un sistema sanitario basato sulla spersonalizzazione di tutti quelli che non fanno parte dell'Olimpo.