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 Convegno internazionale “Vivere indipendentemente dalla disabilità”, Roma, 4 maggio 2011,
 
Per far sì che la vita indipendente si affermi in Italia ci sono un paio di difficoltà preliminari da superare.
In primo luogo è necessario accrescere la consapevolezza di sé delle persone disabili, soprattutto per evitare che venga attribuito a chi non è disabile un ruolo che non ha nulla a che vedere con la vita indipendente, e tanto meno con il buon senso. Ciò soprattutto per far sì che le vere esigenze di chi ha gravi disabilità vengano tenute in considerazione più di quanto è stato fatto, solo ad esempio, nello stabilire l’orario ufficiale di inizio stamattina per questa giornata.
In secondo luogo c’è la necessità di una maggiore consapevolezza di ciò che si può pretendere da un punto di vista giuridico. Troppo spesso vengono utilizzati solo pochissimi degli strumenti e degli argomenti giuridici, che ci sarebbero a disposizione.
 
Venendo alle questioni più specifiche da rivendicare, innanzitutto va respinto il fatto che, per la vita indipendente, sia possibile ricorrere soltanto ad assistenti personali accreditati presso gli enti pubblici. In Toscana, per ora, siamo riusciti ad ottenere un articolo di legge per cui questo non è richiesto per la vita indipendente. Il fatto è che accreditamento degli assistenti personali e vita indipendente sono antitetici sotto vari punti di vista.
 
La seconda questione da rifiutare è quella dei vouchers. In estrema sintesi si può dire che quelli dell’Inps sono costosissimi, e comunque non applicabili per la vita indipendente. Inoltre, costringerci ai vouchers, significherebbe ridurre la possibilità di scelta degli assistenti personali, complicare la ricerca di questi e sovraccaricare il costo dell’assistenza personale di oneri inutili per la prestazione. Perciò i vouchers sono da rifiutare. In Olanda, dopo essere stati adottati, sono stati messi da una parte perché causavano troppi problemi. E, se non ricordo male, anche in Belgio è stata vinta una lotta contro i vouchers.
 
La terza grossa questione è quella dell’Isee (in inglese “means test”). Secondo me è stata una delle più grosse schifezze fatte dal governo Prodi, soprattutto perché cozza contro il principio di eguaglianza contenuto in primo luogo in ambedue i commi dell’articolo 3 della Costituzione. Enil, fin dalla prima dichiarazione di Strasburgo del 1989, ha rifiutato questo. In Toscana siamo riusciti ad ottenere una norma di legge che esclude l’handicap grave dall’Isee. Alcuni di voi avranno già letto qualcosa in proposito. La Regione sta cercando di ridurre questa nostra conquista. Comunque domani altri spiegheranno meglio il punto.
 
La quarta questione è quella della rendicontazione del denaro ricevuto per la vita indipendente. È un grosso problema presente in molti paesi europei. In primo luogo va accennato al fatto che neppure in Svezia è richiesta la rendicontazione di tutto il denaro ricevuto. Ma soprattutto va sottolineato che questa rendicontazione è possibile laddove, come in Scandinavia, si ricevono somme sufficienti per avere sempre tutta la necessaria assistenza personale, ed è quindi ben possibile documentare di essere in regola con la normativa vigente. Viceversa è un atteggiamento per lo meno da menefreghisti esigere la rendicontazione quando le somme erogate sono così basse da costringere al contorsionismo semplicemente per sopravvivere.
La quinta questione ha ora come riferimento il Molise, una piccola regione dell’Italia centrale dove, alla fine dello scorso anno, è stata approvata un’organica legge regionale sulla vita indipendente. E l’unica legge del genere in Italia, è frutto di un grosso lavoro  e contiene numerosi punti di estremo rilievo. Tuttavia, in questa legge regionale, accanto ad aspetti molto importanti, ce ne sono altri estremamente pericolosi, tanto che, ad esempio, in Toscana, per alcuni aspetti, significherebbero un rilevante passo indietro. Ed a questo va prestata molta attenzione vista l’abitudine delle regioni italiane di copiare tra di loro i testi normativi. Comunque, ed alcuni di voi lo sanno già, ho pubblicato un’analisi giuridica di questa leggere regionale. Sul tavolo ho messo alcuni fogli che contengono la url dove si può trovare questo documento.
In ogni caso è molto probabile che l’unica via realistica affinché si affermi la vita indipendente in Italia sia quella di puntare a leggi regionali fatte nel miglior modo possibile.
 
Ma veniamo al problema più spinoso. Il fatto è che in Italia quasi tutto il potere in tema di servizi ed agevolazioni per i disabili è in mano alle regioni. In Italia ci sono 20 regioni e questo porta a tante differenze tra le varie parti del paese. Ciò è criticabile soprattutto su un tema come quella della vita indipendente, che coinvolge i diritti fondamentali ed inviolabili dell’individuo.
Da molte parti si fa riferimento ad una frase contenuta nella Costituzione italiana. In base a questa frase, e nonostante il potere dato alle regioni, sarebbe compito dello Sato determinare i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale”. Si fa insomma appello a questa disposizione della Costituzione per chiedere che lo Stato garantisca la vita indipendente su tutto il territorio nazionale.
Purtroppo, almeno per quanto riguarda le persone senza potere, un conto è ciò che sarebbe giusto, o auspicabile, e ben altro conto è ciò che stabilisce la legge. Insomma su questo discorso dei “livelli essenziali” sono necessari alcuni chiarimenti.
In primo luogo taluna dottrina giuridica ha scritto che le regioni italiane cercano di dirottare verso i “livelli essenziali” le richieste popolari di determinate prestazioni. Questo perché si tratta di una via attraverso la quale le regioni possono cercare di ottenere più fondi dal governo centrale.
In secondo luogo va messo bene in evidenza che, secondo dottrina giuridica molto autorevole, fra cui il professore De Siervo (attuale presidente della Corte costituzionale), questo punto della Costituzione è scritto molto male, in maniera tale da non essere idoneo a consentire il raggiungimento dell’obbiettivo che parrebbe prefiggersi.
Sui “livelli essenziali” c’è molta giurisprudenza della Corte costituzionale, per cui è necessario prenderla bene in considerazione, se non altro al fine di evitare di perdere tempo dietro testi normativi, che poi non avrebbero nessuna chance di essere approvati in Parlamento o di superare il vaglio della Corte costituzionale.
Innanzitutto va evidenziato che il limite, assegnato dalla Corte costituzionale ai “livelli essenziali”, è alquanto mobile, per cui c’è un motivo in più per essere molto cauti in proposito.
Proviamo a definire alcuni punti il più possibile fermi.
Per quanto riguarda i fondo statali attribuiti alle regioni per l’espletamento delle loro funzioni proprie, la Corte costituzionale ha stabilito che i “livelli essenziali” possono stabilire delle regole soltanto in termini generali. Questo per non privare le regioni delle loro competenze. Il fatto è però che, ai fini della vita indipendente, stabilire delle regole in termini estremamente generali, può servire a poco. Può trattarsi di un modo per lasciare aperto un varco ampissimo attraverso il quale, in nome della vita indipendente, passano cose che non hanno nulla a che vedere con l’autodeterminazione dei disabili.
Inoltre, se le regioni non rispettano questi vincoli generali, semmai stabiliti dalla Stato, perdono i fondi a loro eventualmente destinati dallo Stato per questo scopo, ma, in pratica, non c’è nessun modo giuridicamente efficace per costringerle a realizzare quanto indicato dallo Stato. Quindi, sotto questo primo profilo dei “livelli essenziali”, è altissimo il rischio di non realizzare la vita indipendente.
Per quanto riguarda poi le materie di loro competenza, che le regioni gestiscono con fondi propri, la Corte costituzionale ha stabilito più volte che non possono essere messi vincoli da parte dello Stato.
Quindi, anche sotto questo secondo profilo dei “livelli essenziali”, mi sembra che ci siano poche prospettive di realizzare la vita indipendente. Fermo restando, naturalmente, che quanto appena detto, più che mai, non vale in maniera categorica perché la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia oscilla abbastanza. Ma è anche necessario essere ben consapevoli che, nel moneto in cui un’eventuale norma nazionale andasse a colpire potenti interessi in materia di istituti, cooperative ecc., sicuramente verrebbe utilizzato qualsiasi cavillo per ricorrere alla Corte costituzionale.
A prima vista c’è tuttavia un “però”, che parrebbe a vantaggio della vita indipendente.
Nella sentenza numero 10 del 2010, quella sulla “social card”, la Corte costituzionale ha stabilito che i “livelli essenziali” possono vincolare in dettaglio le regioni quando ricorrono alcuni requisiti. In via preliminare va comunque detto che, secondo alcuni, si tratterebbe di una sentenza politica, e quindi non utilizzabile in altre direzioni.
Nel merito va innanzitutto osservato che, secondo tale sentenza, i livelli essenziali possono vincolare le regioni quando ci sono di mezzo i diritti fondamentali e la dignità dell’individuo. Ciò riguarda anche la vita indipendente, e quindi, sotto questo primo profilo, si potrebbe dunque dire che si è aperto uno spiraglio per garantire la vita indipendente attraverso i “livelli essenziali”. Tuttavia lo spiraglio si chiude qui.
Infatti la Corte ha rilevato la necessità di altri 3 requisiti, e cioè che si tratti di una situazione di emergenza, che il provvedimento adottato sia semplice e che abbia un carattere di temporaneità. Questi 3 elementi sono difficilmente utilizzabili per la vita indipendente.
Insomma si può dire che è molto difficile ricorrere ai “livelli essenziali” per garantire la vita indipendente in tutta Italia.
 
Va tuttavia rilevato che è consolidata un’attenta giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di diritti fondamentali ed inviolabili dei disabili, a volte è stata anche di primissimo livello perfino rispetto alla normativa di altri paesi.
C’è poi l’articolo 19 della Convenzione Onu sui disabili. È necessario precisare che, laddove non esiste niente in tema di vita indipendente, questo articolo lascia ampissimi margini agli Stati firmatari, sia sul quando che sul quanto. E non esiste quasi nessun rimedio giuridico per costringere gli Stati ad adempiere, visto che il Comitato previsto dal Protocollo Opzionale sostanzialmente può svolgere solo un’opera di convincimento e la Corte costituzionale non può sostituirsi al legislatore.
Tuttavia, laddove esistono finanziamenti pubblici per la vita indipendente, a seguito di questo articolo 19, sorge il dovere giuridico dello Stato, o della regione, di tutelarlo come diritto soggettivo. E, quando detti finanziamenti sono previsti con una legge (anche regionale), se questa non viene adeguata alla natura di diritto soggettivo, si potrebbe anche ipotizzare un ricorso alla Corte costituzionale, sebbene difficile.
Eccoci allora ad un punto, che potrebbe essere fattibile, e cioè che una norma di legge statale, scritta bene, stabilisca che tutti i finanziamenti erogati in Italia per la vita indipendente costituiscono un diritto soggettivo perfetto per il destinatario. Una norma del genere potrebbe passare tutti i vagli e potrebbe essere un valido aiuto, sempre che, lo si ripete, sia scritta con onestà ed intelligenza da un punto di vista giuridico.
E con questo, viste le oscillazioni della giurisprudenza costituzionale, non si esclude del tutto che potrebbe andare in porto anche una legge nazionale più articolata, sicuramente più utile, ma solo se fatta bene.
Rimane il fatto, non indifferente che, se si prendono i diritti sul serio, e non ci si accontenta dl fumo negli occhi, su una battaglia del genere mi pare che il movimento per la vita indipendente, nell’agire onestamente e seriamente, sia davvero solo, in un paese che sta sprofondando nella follia.
 
Raffaello Belli