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  L’Associazione Vita Indipendente ONLUS della Toscana è composta interamente ed esclusivamente da disabili che vogliono vivere in condizioni di libertà comparabili con quelle delle altre persone e che praticano l’autoorganizzazione e l’autorappresentanza per conquistare e difendere i loro diritti.

  Troppo spesso, quando si parla o si scrive di “vita indipendente dei disabili”, si finisce per non cogliere l’accezione “politica” che i disabili dànno a questo termine nel senso di “liberazione” individuale e collettiva e di lotta per raggiungere tale liberazione.

  Per un disabile, vita indipendente significa poter essere quanto più possibile se stesso e vivere in condizioni di libertà comparabili con quelle delle altre persone.    Ciò è possibile ricorrendo all’aiuto di assistenti personali.    Il contributo per la vita indipendente – in Toscana – e altre cose simili – in altre regioni – consistono in erogazioni di soldi pubblici ai singoli disabili per consentire loro di pagarsi le o gli assistenti personali.

  Ben prima che dall’articolo 19 della Convenzione Onu sui disabili, il diritto alla vita indipendente – nel senso di “vita autodeterminata”, come spiegato sopra – è sancito dalla Costituzione repubblicana del 1947 agli articoli 2 e 3.    In riferimento a noi, la distinzione tra “libertà negative” – libertà dallo Stato – e “libertà positive” – libertà dal bisogno, che richiedono l’intervento pubblico per essere garantite e attuate – non ha alcun valore, perché ciascuno di noi necessita dell’aiuto altrui anche per esercitare quelle libertà che le altre persone esercitano per proprio conto.    Ad esempio, io non avrei potuto esercitare la libertà di manifestazione del pensiero – ritenuta la libertà principale – senza l’aiuto dei miei assistenti personali che mi hanno aiutato a digitare questo scritto e a venire qui per fare questo intervento.    Senza contare che io necessito di assistenza personale anche per espletare funzioni vitali come bere un bicchier d’acqua.

  Che la necessità di assistenza personale per la vita autodeterminata non sia qualcosa di “rinviabile a tempi migliori” è dimostrato in modo tragico dalla morte di una persona in condizioni molto simili alle mie nel dicembre 2015 qui a Firenze proprio per mancanza di assistenza personale.

  Ciò è stato possibile perché – nonostante sia tra le Regioni che stanziano di più per il contributo vita indipendente – la Toscana eroga ancora cifre molto insufficienti.    E le regole per la rendicontazione finiscono in concreto per danneggiare proprio chi ha maggiori necessità di assistenza personale.

  Qualcuno può chiedersi “che c’azzecca” tutto ciò con i temi del lavoro e della precarietà.

  In realtà, almeno quattro profili collegano questo intervento agli argomenti di questa serata.

  Il primo dovrebbe emergere assai chiaramente da quanto detto sopra.    L’assoluta insufficienza delle risorse che le istituzioni destinano alla vita indipendente come sopra definita e la regolazione della materia esclusivamente mediante atti amministrativi – che non sanciscono diritti – contribuiscono ad aumentare ulteriormente la precarietà di vita di chi già deve affrontare molte altre difficoltà connesse con le disabilità.

  Da quattro anni – a fronte della già palese insufficienza di quanto stanziato –, la Regione Toscana ha bloccato la cifra complessiva per il contributo vita indipendente ad euro nove milioni annui.    Inoltre, le delibere regionali che regolano la materia sono annuali o – a volte – addirittura semestrali.  Ciò aumenta ulteriormente la precarietà non solo dei disabili ma anche di chi lavora come assistente personale, perché nessuno ha mai l’assoluta certezza dell’approvazione di nuove delibere.

  Un’altra conseguenza del mancato aumento delle risorse è che almeno un centinaio di persone in tutta la Toscana sono in lista d’attesa per poter accedere al contributo vita indipendente.  Siamo arrivati al punto che il solo modo per accedere al contributo è che qualcuno che già lo percepisce ci rinunci o crepi.  È fin troppo evidente che in tal modo si mina qualsiasi unità tra i disabili, esattamente come nel mondo del lavoro odierno si cerca di mettere i lavoratori l’uno contro l’altro.

  Ma – esattamente come i lavoratori – noi cerchiamo in ogni modo di rifiutare tale logica.  Perciò, abbiamo l’obiettivo immediato e prioritario di ottenere un aumento del budget per la vita indipendente di almeno tre milioni annui, cioè da nove ad almeno dodici.

  Ciascuno di noi deve fare la rendicontazione di come spende i soldi del contributo vita indipendente e conservare tutte le ricevute.    Se si pone mente al fatto che chi deve fare queste cose può non avere l’uso delle mani e o della vista ed avere perciò molte necessità di assistenza personale, spero comprendiate che – a fronte di erogazioni radicalmente insufficienti – non si può anteporre l’esigenza burocratica della rendicontazione alla vita delle persone più in difficoltà costringendole ad utilizzare il lavoro di assistenti personali – di cui esse dispongono in misura gravemente insufficiente per l’esiguità delle risorse a ciò preposte – per scannerizzare e archiviare ricevute a scapito di esigenze vitali e di libertà.    La tragedia della morte di Roberto – ricordata prima – resta lì a indicarci tutta la radicale ingiustizia di una visione meramente burocratica delle cose.

  Un altro aspetto troppo spesso ignorato della mancanza di assistenza personale per la vita indipendente è che persone come il sottoscritto si ritrovano per questo motivo senza lavoro.  Infatti, quando avevo l’età per cercare lavoro, non avevo l’assistenza personale che mi aiutasse ad andare a cercarlo.  Inoltre, a me e a quelli nelle mie condizioni l’assistenza personale è indispensabile anche sul lavoro, sia per l’aiuto nell’espletamento delle funzioni fisiologiche e sia per far sì che i miei tempi di lavoro siano un minimo accettabili.  Perciò, ho dovuto anteporre la lotta per ottenere l’assistenza personale.

  Considerato il livello stratosferico di investimenti necessari per produrre posti lavoro nel settore manifatturiero, è ormai evidente che quello che una volta si chiamava “lavoro riproduttivo” o “lavoro di cura” – in cui l’assistenza personale per la vita indipendente rientra – sarebbe in grado di creare molti più posti di lavoro.  Inoltre, il rapporto di lavoro diretto tra singolo utente e singoli assistenti personali – perché un utente può aver bisogno di più assistenti personali – quasi sempre si traduce in un miglioramento delle condizioni di lavoro del lavoratore per due motivi.    Il primo è che utilizzando il lavoro dell’assistente personale il disabile non mira tanto a un profitto economico quanto a poter vivere, a differenza di ciò che succede quando i lavoratori dipendono dalle cooperative che troppo spesso sono mostruosi strumenti di sfruttamento.    Il secondo motivo è che – quando si trova bene col proprio assistente – il disabile datore di lavoro è il più interessato a far sì che l’assistente personale dipendente continui a lavorare per lui perché non è affatto facile trovare subito chi lo sostituisce in modo soddisfacente.   Quindi, è assolutamente inammissibile quanto scritto nel programma elettorale di Potere al Popolo sul fatto che gli enti locali e gli enti erogatori effettuino controlli sulle condizioni di lavoro delle degli assistenti personali, perché ciò significa mettere bocca nella vita privata degli utenti disabili.  Anche perché è altamente probabile che eventuali presunte violazioni sulle condizioni di lavoro degli assistenti personali siano dovute all’insufficienza delle risorse che proprio tali enti erogano.  Una realtà alternativa come Potere al popolo deve avere più fiducia nelle persone in difficoltà che nelle istituzioni.

  Tutto ciò è un ulteriore motivo per cui la lotta per aumentare le risorse destinate alla vita indipendente dei disabili riguarda l’intera società e non solo i disabili.

  Da tutto quanto detto fin qui, dovrebbe essere chiaro che l’autodeterminazione dei singoli disabili va praticata qui ed ora e non può essere considerata un obiettivo da raggiungere in futuro.