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Sintesi

  In questo scritto si sostiene che la Delibera della Regione qui in esame è fatta in modo che:

·         Lacifrastanziatae il massimale individuale sono irrisori, però, nell’ottica di stampo ottocentesco della beneficienza pubblica, chi non ha alternative può subire il ricatto di essere disposto a tutto pur di avere anche questi pochi soldi.

·         Per chi ha gravi disabilità e vive da solo viene creata dipendenza, e non indipendenza, e si lasciano ampi spazi per gli abusi ed i maltrattamenti;

·         Si lasciano ampi spazi al fenomeno dei “falsi invalidi”, in maniera perfino più sfacciata di quanto faceva la vecchia DC.

·         Visononumerose violazioni dell’art. 3 della Costituzione e il tutto è agevolmente impugnabile al Tar sotto vari punti di vista, il che contrasta anche con il comma 2 dell’art. 3 della Costituzione.

·         Non è in alcun modo perseguito l’obbiettivo dell’efficacia, imposto dalla legislazione vigente, e non è nemmeno osservato il requisito della professionalità.

·         È da irresponsabili demandare alcune questioni estremamente delicate ad un mero questionario da riempire a casa propria.

·         In alcuni punti si fa ricorso a metodi da Stato di polizia, anziché ai precetti imposti dagli artt. 2 e 3 della Costituzione.

·         Ci sono alcune violazioni della privacy umilianti perché assolutamente non necessarie.

·         È davvero inammissibile che venga previsto un punteggio maggiore per l’assistenza personale indispensabile per gli atti della vita quotidiana per chi ha un titolo di studio più alto.

 

La vita indipendente

  La Corte costituzionale ha ribadito più volte che sui disabili confluiscono i valori fondamentali della Costituzione.

 

  La vita indipendente è prevista:

·         nelle Standard Rulesdell’Onu del 1993;

·         nella Convenzione dell’Onu sulle persone con disabilità ratificata dall’Italia con la legge n. 18 del 2009;

·         in varie risoluzioni del Parlamento Europeo;

·         nella legge-quadro sull’handicap del 1992, così come modificata dalla legge n. 162 del 1998;

·         nello Statuto della Regione Toscana come unico obbiettivo per i disabili;

·         nelle leggi regionali della Toscana n. 72 del 1997, n. 41 del 2005, n. 66 del 2008 e n. 82 del 2009.

 

Delibera della Giunta della Regione Toscana n. 1166 del 14-12-2009

Delibera vera e propria

Fase pilota

  Sia nella Delibera vera e propria che nell’allegato A alla Delibera è prevista una “Fase Pilota” per la vita indipendente delle persone con handicap grave.

  Il fatto è che in molti paesi del cosiddetto mondo occidentale l’assistenza personale per la vita indipendente è una realtà consolidata da decenni. Inoltre va sottolineato che la vita indipendente riguarda i diritti fondamentali ed inviolabili della persona.

  Per cui già suscitava delle perplessità il fatto che negli ultimi anni la Regione Toscana abbia imposto un periodo di “sperimentazione” in proposito.  Sarebbe come dire che nel ventunesimo secolo, quando ormai i “diritti di libertà” sono una realtà consolidata da decenni in molti paesi del mondo, un paese del cosiddetto terzo mondo volesse sperimentare tali diritti di libertà.  Dunque già da questo ultimo punto di vista, per quanto riguarda le persone disabili, la Regione Toscana mostra di avere una concezione dei diritti di libertà degna di un paese del terzo mondo.

  Ma questo non basta.

  La prima Delibera della Regione Toscana sulla sperimentazione per la vita indipendente è dell’ottobre 2004.  Quindi sono passati sei anni dedicati alla sperimentazione della vita indipendente, ovvero dei diritti di libertà delle persone disabili.  Ciononostante, sebbene la vita indipendente sia realtà da decenni in vari paesi e la Regione Toscana le abbia già dedicato sei anni di sperimentazione, nella Delibera qui in esame è prevista un’ulteriore “Fase Pilota”.  Questo è assai indicativo dell’arretratezza sociale dell’Italia e della condizione di inferiorità e di dominio a cui si vogliono costringere i disabili.

 

  Nella Delibera è inoltre previsto che questa “Fase pilota” duri un anno.  E dopo i disabili che fanno?  Il loro diritto di vivere?  Nel baratro.

  E tutti quei disabili che da anni vivono le incertezze, le paure, i drammi della “sperimentazione”?  Ancora altre insicurezze, paure, ecc. Insomma il disprezzo totale per l’individuo.

  È poi vero che attualmente l’incertezza per il futuro è una condizione in cui sono costrette a vivere moltissime persone, soprattutto giovani.  Però, tanto per parafrasare Judy Heumann, una persona in carcere un sorso d’acqua da bere può riuscire a averlo ogni qualvolta ha sete.  Il fatto è che, senza assistenza personale, molte persone con handicap gravissimi non possono bere un bicchiere d’acqua.  Dunque, con questa precarietà a cui vengono costretti i disabili, non viene garantita loro neanche la possibilità di bere un sorso d’acqua quando hanno sete.  Insomma a livello dei paesi più poveri del terzo mondo.  Questo tanto per dire con chiarezza, al di là delle apparenze, la realtà della Toscana.

 

Cabina di pilotaggio

  Durante questa “Fase Pilota” è prevista una cabina di pilotaggio con la partecipazione di rappresentanti del mondo della disabilità.

  Si osserva che non è prevista la partecipazione di alcun esperto in tema di vita indipendente né da parte della Regione né da parte delle associazioni delle persone con disabilità. E questo mentre è ampiamente noto che, nel campo della disabilità, un po’ in tutto il mondo occidentale, le persone che conoscono la vita indipendente sono davvero pochissime e la loro competenza è essenziale.

  Dunque, rimanendo alla forma, prevedere una “cabina di pilotaggio” in queste condizioni, diventa una pagliacciata.  Guardando alla sostanza della cosa, indica chiaramente una precisa volontà di far fallire la vita indipendente e trasformarla in qualcosa che costringa i disabili a continuare a vivere in condizioni di serie C.

  Che questo sia l’intento della “cabina di pilotaggio” lo si trova confermato anche da cosa è stato fatto nella delibera qui in esame consultando le cosiddette “associazioni dei disabili”, o federazioni di esse.

La cifra stanziata

  Sono previsti due milioni di euro per la vita indipendente per un intero anno solare per tutta la regione.

  È una cifra del tutto irrisoria. Basti osservare che soltanto il Comune di Firenze stanzia un milione di euro all’anno per il medesimo scopo, oltretutto per finanziamenti largamente insufficienti.

  Va inoltre osservato che in tema di vita indipendente, almeno fino a quando le risorse stanziate sono così esigue, praticamente tutti gli interventi sono destinati soltanto a consentire ai disabili l’esercizio di quei diritti che l’art. 2 della Costituzione qualifica come inviolabili.  Il discorso sarebbe lungo.

  In parole semplici si può dire che, nel qualificarli come inviolabili, la Costituzione vuol dire che le assemblee elettive (e quindi anche la Giunta Regionale) non possono comprimere l’esercizio di tali diritti.  Perciò, forse, può essere legittimo che la Giunta Regionale ponga dei limiti alle risorse eventualmente stanziate per migliorare la qualità delle vita dei disabili. Ma è illegittimo che la Giunta Regionale ponga dei limiti alle risorse che sono indispensabili alle persone con handicap gravi per il concreto esercizio dei diritti inviolabili.

  Ad esempio, in estrema sintesi, l’Ente Regione non può vietare alle persone di andare a fare una passeggiata la sera dopo cena per risparmiare sull’illuminazione pubblica.  Allo stesso modo, sempre ad esempio, la Regione non può impedire concretamente (per mancanza di assistenza personale) alle persone con handicap grave di fare una passeggiata la sera dopo cena per risparmiare sul costo degli assistenti personali.  Tanto più che qui ci sono in ballo pure ulteriori diritti altrettanto, se non più, importanti.

  Ciò non può essere impedito perché in realtà non è vero che le risorse sufficienti per i disabili non ci sono in senso assoluto.  Viceversa le risorse per questi scopi ci sarebbero.  Il problema è che le maggioranze politiche presenti nelle varie assemblee elettive, e negli organi esecutivi come la Giunta Regionale, decidono di destinarle ad altri scopi.

Allegato A della Delibera n. 1166: linee guida

Flessibilità

  Nelle linee guida c’è scritto che: “Il progetto di vita indipendente deve inoltre caratterizzarsi per l’elevata flessibilità”.

  Questo è reso impossibile dai fatti che, nelle stesse linee guida, per ogni persona è previsto un tetto massimo di € 1.680 mensili ed è richiesta la rendicontazione totale della spesa.  Più avanti si vedrà meglio perché tutto ciò rende impossibile la flessibilità.

  Qui si vuol solo sottolineare come le parole vengano usate tanto per scrivere qualcosa, disinteressandosi del loro significato, con il risultato di prendere in giro le persone.

Destinatari

Tipi di disabilità

  Nella bozza di linee guida che è stata preparata dalla Regione Toscana, la vita indipendente era prevista soltanto per la “disabilità fisico-motoria”.  Mancavano cioè le disabilità sensoriali, psichiche e mentali.

  A seguito delle trattative avvenute con le associazioni sulla disabilità, ed in particolar modo con l’”Associazione vita indipendente”, questa discriminazione non c’è più.

Amministratore di sostegno

  Nelle linee guida c’è scritto che, per quanto riguarda la vita indipendente, il disabile può esprimersi anche attraverso “un amministratore di sostegno, un tutore, o una persona di fiducia”.

  Si osserva in primo luogo che questo punto non era presente nell’accordo firmato tra la Regione e la Fish e la Fand.

  In pratica è un’arma a doppio taglio.  Nel senso che, se utilizzata correttamente, tale possibilità può essere preziosa per taluni disabili.  Viceversa, se utilizzata malamente o in modo tradizionale (come troppo spesso accade nella vita vera), significa eliminare la vita indipendente per queste persone.

Invalidità al 100%

  Nella bozza di linee guida che era stata preparata dalla Regione Toscana, per la vita indipendente, era richiesta l'“invalidità al 100%”.

  Si trattava evidentemente di una discriminazione perché anche con una capacità lavorativa consistente può essere necessaria molta assistenza personale.  Si tratta infatti di attività che richiedono capacità differenti.  Tant’è vero che a livello internazionale l’assistenza personale per la vita indipendente è prevista anche per svolgere l’attività lavorativa.

  A seguito delle trattative avvenute con le associazioni sulla disabilità, ed in particolar modo con l’”Associazione vita indipendente”, anche questa discriminazione non c’è più.

Età

  È negata la vita indipendente a chi ha meno di 18 anni.  È un grosso limite. È senz’altro ovvio che ai minorenni non può essere consentita la stessa autodeterminazione garantita ai maggiorenni. Però sarebbe di fondamentale importanza educare progressivamente i minorenni a diventare indipendenti.  Questa è una pratica diffusa anche tra gli animali non umani.  E sarebbe più importante che mai per i disabili.

  È invece positivo che sia stato tolto il limite di 65 anni di età per avere i fondi per la vita indipendente, limite invece che era nella bozza originaria delle linee guida elaborate della Regione Toscana.

  Anche questo punto è stato tolto a seguito delle trattative avvenute con le associazioni sulla disabilità, ed in particolar modo con l’”Associazione vita indipendente”.

Divieto di cumulo

  Nell’allegato A della Delibera c’è poi scritto che: “Gli interventi di aiuto alla persona di cui all’art. 55 comma 2, lettera a) e c) della L.R. 41/2005, non sono cumulabili o erogabili per lo stesso periodo di riferimento e per le stesse finalità di cui al progetto individuale”.

  Per una persona comune non è certamente possibile sapere quali sono di preciso gli interventi previsti da quelle due lettere del co. 2.  E il fatto che le linee guida siano state preparate in modo tale che una persona con handicap grave dovrebbe rivolgersi ad un avvocato per la compilazione della richiesta rivela diverse verità su chi ha preparato e firmato tali linee guida.

  Poiché sia i finanziamenti appena menzionati che quelli previsti dalla Delibera della Regione qui in discussone sono largamente insufficienti per coprire i diritti fondamentali, un grammo di intelligenza o di onestà sarebbero potuti essere sufficienti per adempiere al dovere di rendere cumulabili i due finanziamenti.

  Inoltre, al fine di specificare ancora meglio gli intenti non cumulativi della Regione, nella frase riportata poco sopra  ci sono le parole “per le stesse finalità”.

  Il punto poi è che se con queste parole si intendono finalità in senso generico, ad esempio di vita indipendente, allora risulta confermato quanto appena scritto.

  Viceversa, se le parole “stesse finalità” si intendono in senso analitico (cioè, ad esempio, per vestirsi, per lavarsi ecc.), allora la cosa diventa anche difficilmente gestibile per i disabili.  Infatti, ad esempio, se un disabile si fa aiutare da un assistente personale ad alzarsi la mattina, a lavarsi, a fare colazione ecc., rispetto al finanziamento per la vita indipendente, diventa estremamente difficile distinguere con precisione quale parte dei soldi sono destinati ad aiutarlo ad alzarlo, quali ad aiutarlo a lavarsi, ecc.

  Per cui il fatto di non rendere cumulabili i due finanziamenti con la dizione “per le stesse finalità”, diventa praticamente ingestibile per il disabile.  E cozza in maniera stridente con la pratica della semplificazione amministrativa diffusa in molti altri settori dell’attività della Repubblica, e quindi con l’art. 3 della Costituzione.

 

Requisiti di accesso

Dichiarazione del disabile

  Viene richiesto che il disabile debba firmare una dichiarazione sulla sua capacità di scegliere e gestire gli assistenti personali e viene stabilito che: “La persona con disabilità deve essere consapevole” di ciò che significa l’assunzione diretta di assistenti personali.

  Il fatto è che non è facile saper scegliere, istruire e gestire gli assistenti personali.  Tutti, ma in particolar modo molti disabili, hanno bisogno di imparare una cosa del genere.

  Infatti in paesi un pochino più seri, prima di accedere ai finanziamenti per la vita indipendente, ai disabili vengono dati gli strumenti per imparare queste cose.

  E poi come fa un disabile, se non ha mai fatto queste cose, a sapere se è in grado di farle?

  Se ha tanto bisogno e desiderio di vivere un po’ meno peggio, e questa dichiarazione è l’unico modo per ottenere i soldi necessari, sicuramente il disabile firmerà che è capace di gestire gli assistenti personali: anche se poi non è vero, e magari si troverà in un sacco di guai.

  Nella migliore delle ipotesi, questa della Regione Toscana è una richiesta estremamente astratta, immensamente lontana dalla realtà della vita e dei disabili.  Forse anche questo è finalizzato a trasformare la vita indipendente in dipendenza.

  Ci sono poi due motivi ulteriori che rendono molto grave una richiesta di questo tipo prevista dalla Regione Toscana.

  In primo luogo, è noto che l’Italia è il paese dei “falsi invalidi”.  Questi proliferano anche quando è necessario andare da una commissione medica per ricevere € 200 al mese di pensione. Figuriamoci poi qui quante falsità ci saranno dal momento che una mera dichiarazione (come quella appena menzionata), firmata in privato, potrebbe consentire di ricevere anche 1.000 e più euro al mese.

  In secondo luogo, un disabile che si trova da solo in casa propria a gestire un’assistente personale può essere vittima di vari abusi anche se ha determinate capacità.

  Va sottolineato che a casa propria, con gli strumenti necessari per la vita indipendente, il disabile è senza ombra di dubbio meno soggetto ad abusi e maltrattamenti rispetto a chi è rinchiuso in istituto.  Tuttavia, è indispensabile avere appunto questi strumenti per la vita indipendente.

  Ecco perché, ad esempio, a Stoccolma vengono fatti appositi corsi per la vita indipendente.  E, in un convegno a Ferrara, Judy Heumann sottolineava come numerosi corsi per l’autoconsapevolezza dei disabili fossero stati necessari all’interno del movimento per la vita indipendente negli Stati Uniti.

  E, alla fine degli anni novanta, anche l’Unione Europea ritenne necessario finanziare a Firenze un corso del genere che fu organizzato dall’Associazione Vita Indipendente.

  Tuttavia, se non si hanno questi strumenti, cioè a dire se non si è avuta la possibilità di imparare a gestire la propria vita autodeterminata, è altissimo il rischio di abusi di ogni genere da parte degli assistenti personali nei confronti dei disabili.  Il rischio è molto maggiore che negli istituti di vecchia concezione.  Infatti, ognuno di questi istituti racchiude molti disabili, oltre al fatto che tali istituti non sono sicuramente decine di migliaia.  Per cui accade che ogni tanto qualche controllo ci sia, e magari certi abusi vengono fuori.

  Viceversa, controlli capillari, e in modo lecito, sulla vita privata di tutti i disabili, che vivessero per conto proprio, sono impossibili.

  E quindi, limitarsi alla suddetta dichiarazione per erogare i finanziamenti, può voler dire spalancare le porte a gravissimi abusi.

  Ed è estremamente indicativo di quanto lorsignori siano lontani dalla realtà e prendano enormi retribuzioni mensili senza il minimo interesse per le cose per le quali vengono retribuiti.

  Si tratta poi di un tono poliziesco assolutamente fuori luogo e inidoneo ad adempiere al dovere di solidarietà e di aiuto verso persone con gravi disabilità alle quali spetta il necessario sostegno per imparare a gestire gli assistenti personali.  Inoltre, con questo tono poliziesco, si finisce per cacciare da una parte chi ha gravissime disabilità, si distrugge ogni ipotesi di quella collaborazione, che è essenziale in questo campo, e si dà via libera ad un atteggiamento di diffidenza che apre la strada a grandi abusi.

 

Recupero delle risorse impiegate

  È previsto il recupero delle risorse impegnate per altri interventi attuati sinora nei confronti dei disabili che riceveranno i finanziamenti per la vita indipendente stabiliti da questa Delibera.

  Data l’esiguità dei finanziamenti previsti da questa Delibera, è tragico che siano previsti questi recuperi di risorse, e rende ancor più chiaro quanto lorsignori siano lontani dalla realtà.  Oltre al fatto che non si capisce bene a quali risorse si riferiscano.

Contributo mensile

  Il contributo mensile è stabilito tra un minimo di € 500 ad un massimo di € 1.680.

  È positivo che sia previsto un contributo minimo.  Perché questo dovrebbe ridurre l’abitudine di dare delle piccole elemosine a tante persone, sicuramente non finalizzate alla vita indipendente, ma erogate utilizzando a pretesto questo finto intervento.

  È invece spaventosamente negativo che venga previsto un tetto mensile di € 1.680.  Infatti con questa cifra, chi ha un handicap grave, la vita indipendente non la fa davvero.

  Tra molte considerazioni basti ricordare che nel 2001, in sede cautelare, il Tribunale di Firenze stabilì che, per una persona con un gravissimo handicap, L. 5.000.000 al mese erano il minimo indispensabile per la vita indipendente.  Con l’euro, di fatto, i costi reali della vita vera sono praticamente raddoppiati, per cui oggi si tratterebbe di un minimo € 5.000.  A questo va aggiunto che attualmente in qualche caso il Comune di Firenze dà circa € 3.000 al mese a testa per la vita indipendente di alcuni singoli disabili.

  Poiché è da presumere che né il Tribunale di Firenze e neanche il Comune della stessa città abbiano voglia di regalare del denaro ai disabili, già il divario tra quanto stabilito dal Tribunale di Firenze e la pratica del Comune di Firenze da un lato, ed il tetto di € 1.680 al mese stabilito dalla Regione dall’altro, può essere indicativo per far capire quanto, nella migliore delle ipotesi, questa della Regione Toscana è una decisione estremamente astratta, immensamente lontana dalla realtà della vita e dei disabili.  Anche questo produce il risultato di trasformare la vita indipendente in dipendenza.

 

Invito a presentare i progetti

  Nelle linee guida della Regione è stabilito che questi finanziamenti per la vita indipendente verranno attivati mediante un invito a presentare i progetti.

  Per precisione va puntualizzato che non è previsto espressamente che detto invito debba essere un bando pubblico.

  Viceversa nella bozza di linee guida si parlava di “Bando territoriale”.

  A seguito delle trattative avvenute con le associazioni sulla disabilità, ed in particolar modo con l’”Associazione vita indipendente”, questo punto non c’è più. In termini giuridici, il fatto che ci sia stato questo cambiamento nella fase di elaborazione delle linee guida ha un preciso significato. Indica cioè che l’”Invito a presentare progetti” non deve essere fatto tramite un bando.  Quindi, già sotto questo primo profilo, appare illegittimo e fuori luogo che siano stati fatti dei bandi dalla Società della Salute del Comune di Firenze.  A maggior ragione poi l’inammissibilità risulta ancor più evidente quando, da altre Società della Salute, tale “invito” è stato chiamato “bando di gara”.

  Fra molte considerazioni che sarebbero da fare, si ricorda che questi finanziamenti non riguardano la cosiddetta “qualità delle vita”, bensì sono indispensabili per la sopravvivenza psicofisica e per l’esercizio di quei diritti che l’art. 2 della Costituzione considera inviolabili.  La concreta possibilità di esercitare tali diritti non può sicuramente essere sottoposta a gara.

 

Valutazione dei progetti

Il reddito personale

  In primo luogo va evidenziato che, ai fini della formazione della graduatoria per l’assegnazione del contributo, viene considerato il reddito personale, e non quello familiare.

  Questo è sicuramente positivo per i disabili che, rispetto agli altri membri della famiglia, hanno un reddito bassissimo.  E si tratta di una parte molto significativa dei disabili.

  Tuttavia, come è stato rilevato anche dal Consiglio di Stato, un siffatto criterio penalizza i pochi disabili il cui reddito è la maggiore fonte di entrate della famiglia.

  Ma soprattutto va evidenziato che, dopo varie proteste, in Toscana i disabili sono riusciti ad ottenere che l’Isee non venga considerato ai fini della vita indipendente.  Però il criterio del “reddito personale”, previsto in questa Delibera, è un modo per far rientrare dalla finestra il criterio della ricchezza, che era stato fatto uscire dalla porta grazie alle proteste delle persone disabili.

  Fra le molte cose che si potrebbero dire in proposito, basti citare la studiosa di Chicago Martha C. Nussbaum, che si dilunga sull’“inadeguatezza di ricchezza e reddito come indici del benessere di persone con disabilità”.

Scheda

  Nelle linee guida approvate con la Delibera della Regione, si parla di “scheda di presa in carico”.  Nell’accordo firmato con la Fish e la Fand si parlava invece di “griglia di valutazione”.

 

L’assistente personale

Volontariato e familiari

  Nella bozza di linee guida che era stata preparata dalla Regione, per l’assistenza personale per la vita indipendente era previsto anche “l'ausilio del volontariato, l'apporto della rete familiare ed amicale per l'assistenza personale”.

  A seguito delle trattative avvenute con le associazioni sulla disabilità, ed in particolar modo con l’”Associazione vita indipendente”, questo punto non c’è più.  Ed è importante che ciò sia stato tolto.

  Infatti, fra le altre cose, ricorrere in maniera estesa ai familiari o agli amici per l’assistenza personale crea dei rapporti di reciproca schiavizzazione, che nulla hanno a che fare con l’autodeterminazione e tanto meno con l’amicizia e l’amore.

Parenti non schiavizzati “in linea di massima”

  Nell’accordo firmato tra la Regione e la Fish e la Fand c’era scritto: “Non è prevista la possibilità che vengano assunti parenti ed affini come assistenti personali”.  Si osserva che nelle linee guida approvate con la Delibera della Regione è stato aggiunto che questa possibilità non è prevista “in linea di massima”.  Insomma, con l’aggiunta di queste poche parole, la Regione ha quasi ribaltato un punto non secondario dell’accordo che era stato raggiunto con le associazioni.

Il personale privato

  Nella bozza di linee guida che era stata preparata dalla Regione, fra le persone alle quali il disabile avrebbe potuto ricorrere per l’assistenza personale per la vita indipendente, il “personale privato” era all'ultimo posto.

  A seguito delle trattative con le associazioni sulla disabilità, e in particolare con l’”Associazione vita indipendente”, questo tipo di personale è ora al primo posto.

 

Il rapporto di lavoro con l’assistente personale

  In primo luogo va chiarito che, in tutto il paragrafo dedicato al rapporto di lavoro con l’assistente personale, le linee guida della Regione ribadiscono sì più volte che dev’essere un regolare rapporto di lavoro, ma non stabiliscono mai che debba essere un rapporto di lavoro subordinato. Quindi è legittimo ricorrere a tutte le forme di lavoro regolari previste dalla normativa vigente.

  È però una vergogna che, con finanziamenti così irrisori per l’assistenza personale, si voglia costringere chi ha gravi disabilità a formalizzare tutte le prestazioni di assistenza personale. I motivi si vedranno meglio più avanti a proposito della rendicontazione. È comunque tipico della sfacciataggine dei politicanti contemporanei voler avere la botte piena e la moglie ubriaca a vantaggio di lorsignori e a scapito di chi ha gravi disabilità.

 

Gli oneri assicurativi

  Nelle linee guida, a proposito del soggetto disabile che vuol vivere in maniera autodeterminata, c’è poi scritto: “A suo carico sono anche gli oneri assicurativi e previdenziali riguardanti gli assistenti impiegati”.

  Si vuol sperare che questa frase venga interpretata nel senso che il soggetto disabile deve essere lui a provvedere materialmente agli adempimenti pratici riguardanti gli oneri assicurativi e previdenziali dell’assistente personale. Si vuol insomma sperare che questa frase non venga intesa nel senso che il costo di tali oneri è a carico del soggetto disabile.

  Tuttavia, ad una prima lettura, questo apparirebbe il vero significato della frase appena citata. Il che sarebbe un’autentica vergogna. Infatti, quando uno ha notevoli necessità di assistenza personale, se si vuole che venga fatto ricorso soltanto al lavoro regolare, il costo di tali oneri è assolutamente proibitivo per quasi tutti i disabili.

  Se poi si pensa che molti disabili sopravvivono con la pensione di invalidità civile, la quale è intorno agli € 250 mensili, se non fosse tragico, sarebbe una barzelletta sapere che la Regione Toscana ha disposto che con una siffatta pensione un disabile debba sostenere anche il costo degli oneri previdenziali degli assistenti personali.

 
L’assunzione degli assistenti personali

  Nelle linee guida è scritto che “l’erogazione del finanziamento, avverrà solo a seguito della regolarizzazione del rapporto di lavoro prescelto”.

  Questa disposizione della Regione Toscana spinge affinché i disabili abbiano assistenti personali di bassa qualità.  Infatti, il lavoro di assistenza personale è estremamente individuale, tocca aspetti estremamente intimi, richiede grandi capacità, empatia e affinità da parte degli assistenti personali. Per cui può essere necessario fare ampie prove prima di trovare l’assistente personale giusto. Inoltre il disabile non può avere a disposizione un “ufficio del personale” (come hanno le aziende), che lo aiuta in tutte le pratiche di assunzione e di licenziamento dopo il periodo di prova.  Quindi, se costretto ad assumere subito l’assistente personale, il disabile avrà poche opportunità di fare delle verifiche affinché i propri assistenti personali siano di ottima qualità.

  Tutto questo vuol dire anche spendere il denaro in maniera tutt’altro che ottimale. Tanto per dire che la Regione Toscana ci crea un sacco di difficoltà per avere quattro soldi, ma poi non è minimamente interessata a come questo viene utilizzato.

 

La rendicontazione

  Nelle linee guida della Regione è previsto che il disabile debba rendicontare la spesa sostenuta per l’assistenza personale.

  Innanzitutto è previsto che siano rimborsabili soltanto “le spese per assistenti personali”.  In queste spese si deve intendere compreso soltanto la retribuzione e gli oneri connessi? Oppure anche le spese di mantenimento dell’assistente personale quando il disabile si sposta da casa?

Quest’ultima deve essere l’interpretazione corretta.  Le spese per il mantenimento dell’assistente personale devono assolutamente esser comprese nel costo da rimborsare per l’assistenza personale. Infatti, quando si trova a doversi spostare da casa per più giorni con l’assistente personale, di solito il disabile deve far fronte a spese di viaggio e mantenimento per l’assistente personale che possono essere d’importo notevole.  Importi assolutamente impossibili per i disabili costretti a sopravvivere con la pensione di invalidità civile.  E importi che costringerebbero a vivere in condizioni di inferiorità i pochi disabili che hanno un lavoro. Tant’è vero che anche in Svezia questi costi sono rimborsati come spese per l’assistente personale.

  Però su questo punto le linee guida della Regione non sono affatto chiare.

  È previsto che il disabile debba presentare la copia degli attestati di spesa. Cioè a dire non basta che il disabile presenti una dichiarazione e conservi a casa gli attestati per eventuali controlli, bensì deve far fare la fotocopia di tutti gli attestati.  Per una persona con handicap grave, oltretutto con poca assistenza personale, può essere molto difficile dover presentare una copia di tutti questi documenti.  Già su questo primo punto preliminare, è doveroso che venga adottata una soluzione più semplice e più confacente sia con l’art. 3 della Costituzione che con la semplificazione amministrativa in atto in molti settori.

  È poi prevista l’autocertificazione per il 10% della spesa.

  A parte il fatto che la parola “autocertificazione” pare utilizzata in senso improprio. Questa si può infatti fare soltanto quando si hanno dei certificati rilasciati da un pubblico funzionario. Mentre detti attestati di spesa non sono di sicuro un certificato.

  Questa autocertificazione implica comunque che il disabile deve avere a casa le pezze d’appoggio per tutta la spesa sostenuta.

  Si osserva che questo punto di dover autocertificare il 10% della spesa non era presente nell’accordo raggiunto tra Regione e Fish e Fand. In altre parole, in base a questo accordo, la documentazione della spesa avrebbe dovuto esserci per il 90% della spesa, e non per il 100% della spesa.  Se si guarda alla realtà vera della vita di chi ha gravi disabilità, è un differenza di scarso significato.

  Va comunque rilevato che la Regione ha cambiato anche questo punto dell’accordo raggiunto.

  In sostanza viene richiesta la documentazione totale della spesa sostenuta.

  Questa documentazione totale delle spesa sostenuta non viene richiesta neppure in Svezia perché troppo difficile da produrre per una persona con grave disabilità per il soddisfacimento di esigenze così delicate, essenziali e variegate come l’assistenza personale per la vita indipendente. E va notato che tale documentazione totale non viene richiesta sebbene in Svezia venga dato un apposito contributo per una cooperativa che si occupa appositamente di fare la rendicontazione per i disabili. Mentre in Toscana il disabile dovrebbe arrangiarsi.

  Ma il punto centrale è che in Scandinavia, ad una persona con handicap veramente grave, viene data una cifra tale per cui può assumere 4 o 5 assistenti personali a tempo pieno che si alternano a sua disposizione.  Questa disponibilità dell’assistenza personale durante tutte le 24 ore è essenziale perché anche per i disabili, come per tutte le altre persone, le necessità della vita si spalmano nell’arco di tutta la giornata.  Ma, avendo a disposizione sempre i soliti 4 o 5 assistenti personali, con l’ausilio di un’apposita agenzia, non è difficile rendicontare quasi tutta la spesa sostenuta.

  Viceversa qui in Toscana, con i miseri finanziamenti previsti, nella migliore delle ipotesi, è possibile assumere regolarmente un solo assistente personale.

  Per cui, se si vuole la rendicontazione totale della spesa, il disabile è costretto a ricorrere soltanto all’assistenza di quel solo assistente personale. O al massimo di due, qualora riesca ad assumerne due. Quindi, con la documentazione totale della spesa, il disabile è costretto ad adattare le proprie esigenze di vita all’orario dell’assistente personale. Il che è la negazione pura e semplice dalla vita indipendente perché costringe il disabile a concentrare la propria vita in poche ore.

  Oppure il disabile è costretto a ricorrere ad un assistente personale che sia disponibile a fornire il proprio lavoro durante tutto l’arco della giornata. Il che, indipendentemente dal fatto che si tratti o meno di una persona immigrata o che svolge comunque lavori estremamente umili, significa in ogni caso schiavizzare l’assistente personale. Questo, da un lato è inammissibile, e dall’altro fa si che l’assistente scappi appena può.

  In realtà, con le somme irrisorie erogate in Toscana, l’unico modo per fare vita indipendente (cioè consentire al disabile di vivere almeno tutte le proprie esigenze fondamentali di vita) è quello di avere un assistente personale di base (magari a part time) e di ricorrere poi a molte prestazione saltuarie di differenti assistenti personali. E il problema non è solo italiano, tant’è vero che nei migliori manuali per la vita indipendente degli Stati Uniti consigliano vivamente i disabili di tenere una lista di assistenti personali ai quali possano ricorrere ogniqualvolta sia necessario.  Ed è materialmente impossibile per una persona con handicap grave tenere la documentazione di tutte queste spese.

  Va poi sottolineato che è molto difficile e faticoso per un disabile trovare una persona che sappia fare in maniera adeguata l’assistenza personale e che sia disponibile proprio nel momento in cui è davvero necessaria.

  Per cui, finché si vogliono dedicare risorse irrisoria all’assistenza personale per la vita indipendente, è essenziale che il disabile abbia ampia libertà nella gestione degli assistenti personali.

  Se invece, con il pretesto della documentazione della spesa, si costringe il lavoratore ad adempimenti fiscali anche soltanto per un’ora o due di assistenza personale fatta ad un disabile, è evidente che quest’assistente personale rinuncerà a questo lavoretto, e quindi per il disabile sarà sempre più difficile trovare l’assistenza personale nel momento in cui è necessaria ed indispensabile per vivere.

  Inoltre, quando troverà assistenti personali disponibili a documentare la spesa anche per prestazioni frantumate, per il disabile sarà troppo difficile gestire tutta questa documentazione.  Si pensi, ad esempio, alla follia di costringere una persona con handicap grave sola al mondo a dover farsi emettere una fattura da un assistente personale per farsi accompagnare due ore al cinema.  Oppure alla follia di costringere un disabile grave a dover versare i contributi Inps per un assistente personale che l’accompagna tre ore a trovare un amico o a un incontro pre-elettorale!  Quindi il disabile rinuncerà al soddisfacimento di molti dei suoi bisogni.

  Nella realtà concreta della vita vera, per le persone con handicap grave la documentazione totale della spesa per l’assistenza personale a volte potrà voler dire, ad esempio, saltare la cena e/o rimanere tutta la notte in carrozzina.  E ciò perché lorsignori vogliono tutte le ricevute per quattro soldi dati ad una persona con handicap grave mentre loro ingrassano sulla nostra pelle. Alla faccia, fra l’altro del co. 2 dell’art. 3 della Costituzione.

  È chiaro che c’è il dovere di rispettare gli adempimenti fiscali e previdenziali.  Tuttavia:

·         per quanto riguarda gli assistenti personali per le persone con grave handicap, prima di tali adempimenti, c’è il dovere della Repubblica di fornire sufficienti risorse economiche per rendere possibile ciò;

·         è altresì evidente che la qualità della vita viene in subordine ai doveri fiscali e previdenziali appena menzionati. Cioè a dire che, se l’assistenza personale servisse a chi ha gravi disabilità per vivere più comodamente o magari nel lusso, non c’è dubbio che questo sarebbe legittimo soltanto in subordine agli adempimenti fiscali e previdenziali;

·         la limitatissima assistenza personale finanziata dalla Regione Toscana è indispensabile per far fronte alle esigenze primarie e fondamentali della vita come bere, mangiare, coricarsi la sera ed alzarsi la mattina, lavarsi, vestirsi. Ed è evidente che, quando le risorse erogate dalla Repubblica sono così insufficienti che il disabile è costretto a scegliere tra gli adempimenti fiscali e previdenziali e il soddisfacimento delle proprie esigenze primarie di vita, il disabile è giustificato se privilegia tali ultime esigenze. E nessun organo della Repubblica può legittimamente costringerlo al contrario.

 

 

Altri documenti (della Regione?)

  In allegato alle Delibere che le varie Società della Salute hanno adottato per attuare la Delibera della Regione Toscana n. 1166, ci sono anche un “modulo per la domanda” ed una ”scheda di valutazione”. Poiché di questi due documenti era stato parlato durante la trattativa con le associazioni, e considerato che questi testi adottati dalle varie Società della Salute sono identici, si deve ritenere che si tratti di testi approvati dalla Regione Toscana.  E questo anche se, a differenza della Delibera n. 1166, tali documenti non risultano pubblicati sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana.

  In merito a tali documenti si ritiene necessario osservare alcuni punti, ma soltanto laddove sono diversi da quelli esaminati fin qui.

 

Modulo di domanda per la progettualità

I redditi

  Fra i redditi, seppure con la specificazione “non soggetti ad Irpef”, viene richiesto di indicare entrate, che in realtà non sono redditi, quali il “Contributi badanti, altri contributi da Comuni Az USL, esclusa indennità d’accompagnamento)”. Questo dà un’idea della professionalità con cui è stata scritta questa Delibera.

  Si osserva che questo punto di specificare pensioni, contributi, ecc. non è presente nell’accordo della Regione con la Fish e la Fand.  Però su questo il testo è identico nel modulo di domanda predisposto dalla Società della Salute del Comune di Firenze e in quello predisposto dalla Società della Salute della Zona Fiorentina Nordovest.

  È perciò da ritenere che la Regione abbia aggiunto questo punto dopo l’accordo con la Fish e la Fand.

 

La patente di guida

  Viene chiesto se il disabile ha la patente di guida, senza chiedere nient’altro circa il fatto se può essergli necessaria l’assistenza personale per salire e scendere dall’auto.

  Anche qui vi è una palese violazione del principio di eguaglianza perché non si tiene in alcun conto il fatto che, pur guidando l’auto, chi ha necessità di assistenza personale per salire o scendere da essa si trova in una situazione oggettivamente differente da quella di chi può farlo autonomamente.

 

La rinuncia agli altri interventi

  Viene chiesto al disabile se: “È disposto a rinunciare ad interventi di cui già beneficia, concorrenti con il contributo vita indipendente?.  Come fa una persona a dire se è disposto a rinunciare al vecchio intervento se non sa quanto gli sarà erogato con il nuovo finanziamento per la vita indipendente?  Anche qui tanto per dare un’idea di come è stata scritta questa Delibera.

 

Le necessità di assistenza personale

  A questo punto nella domanda, si trova un elenco abbastanza lungo di attività più o meno quotidiane per le quali si chiede al disabile se necessita dell’aiuto di assistenti personali.

 

Scopiazzare

  In primo luogo, si rileva che questo elenco è stato scopiazzato da un’appendice ad un libro sulla assistenza personale.  Solo che quell’appendice era destinata a spiegare agli assistenti personali quali attività possono trovarsi a dover svolgere.  Mentre, nel caso di dover chiedere al disabile quali necessità ha, la questione è molto diversa.

 

Valutare le necessità

Decide il disabile

  Una delle pochissime cose corrette di questa domanda è che verrebbe lasciata al disabile la decisione su quale attività della propria vita ha necessità di assistenza personale.

  Questo sarebbe estremamente corretto perché alla fin fine nessuno, meglio del disabile stesso, può arrivare a scoprire quali sono le proprie potenzialità ed i propri limiti.

  Inoltre, alla fin fine spetta al disabile decidere se una cosa è troppo faticosa o rischiosa per lui o per lei, o se, a farla da sé, richiede tempi troppo lunghi per essere compatibili con una vita accettabile.

  Infine, ma forse più importante di tutto, c’è il fatto che il tipo e la quantità di assistenza personale necessaria dipendono anche dal tipo di vita che il disabile intende fare. Cioè, ad esempio, se vuol svolgere attività sportive, se vuol partecipare alla vita politica, se vuole andare spesso al cinema, se gli piace tenere la casa con molta cura ecc.  Ed evidentemente queste sono tutte scelte su cui la pubblica amministrazione non può mettere bocca, almeno nell’ambito della ragionevolezza.

 
Un mero questionario

  Tuttavia, valutare per quali attività della vita un disabile può aver necessità di assistenza personale è un’attività assai complessa, e non si può certo esaurire in un mero questionario da riempire da sé a casa propria.

  Per esempio non è affatto detto che un disabile possa sapere con precisione tutto ciò che riesce a fare. Può darsi che, per comprensibilissimi motivi, non abbia una corretta consapevolezza di ciò. Oppure può darsi che si tratti di alcune attività che non ha mai fatto da sé. Oppure può darsi che, guardando a queste attività con occhi diversi, si possa arrivare ad un’altra consapevolezza.

  Oppure ancora può darsi che il disabile abbia necessità di un periodo di riabilitazione e di esercizi per rendersi conto di cosa può far da sé.

  Tant’è vero che, ad esempio, è già stato ricordato che in Svezia vengono fatti degli appositi corsi destinati ai disabili, che intendono vivere in maniera indipendente. Ebbene tali corsi sono destinati anche a far sì che i disabili possano rendersi conto di quali necessità hanno di assistenza personale. Mentre, seguendo un approccio assai diverso e più discutibile, i servizi sociali inglesi fanno un’apposita formazione per gli operatori, che devono valutare le necessità di assistenza personale dei disabili.

  Insomma, nella migliore delle ipotesi, è da irresponsabili delegare ad un mero questionario un tema così cruciale come quello di valutare le necessità di assistenza personale di una persona con handicap grave.

 
Gli abusi

  È poi noto che, purtroppo, in Italia, ci sono moltissimi abusi nel campo della disabilità.

  Ci sono abusi incredibili anche per la “miseria” della pensione di invalidità civile di € 250 circa al mese, e si tratta di abusi che non si fanno alcuna remora di fronte alle necessità di andare davanti ad una commissione medica.

  Figuriamoci poi in un caso come il finanziamento per la vita indipendente qui preso in esame. Infatti, il suo importo può essere fino sette volte quello della pensione di invalidità civile.  Inoltre, un ruolo essenziale viene lasciato ad un mero questionario da riempire a casa propria.

  In un paese come l’Italia quale portone più grande avrebbe potuto essere spalancato agli abusi?

 

Le diverse necessità

  Un altro problema centrale è che, per quanto riguarda l’assistenza personale necessaria per le varie attività della vita, un disabile può averne bisogno in quantità assai diverse a seconda di molti elementi.

  Ad esempio, una persona con gravi disabilità può aver necessità di un piccolo aiuto per coricarsi, o può aver bisogno di essere spogliata, lavata ecc. prima di dormire.  O ancora, per mangiare, una persona con grave disabilità può aver bisogno che le vengano tagliati alcuni cibi oppure può aver necessità anche di essere aiutata a portarli alla bocca.  Ed ancora, per il tempo libero, una persona con grave disabilità può aver necessità di assistenza personale soltanto per andare in qualche posto più difficile una volta tanto oppure può aver necessità di assistenza personale tutti i giorni.  Idem per l’aiuto nel camminare, per l’assunzione di medicinali, e così via praticamente per tutte le attività elencate nel modulo della domanda qui esaminata.

  Così com’è messo tale questionario, è evidente che una persona con gravi disabilità risponde “SI” per tutte le attività per le quali ha bisogno, anche soltanto saltuariamente, di assistenza personale. Infatti le uniche due alternative che vengono poste è rispondere “SI” oppure “NO”. E, anche per quelle attività per le quali c’è poca necessità di assistenza personale, la risposta corretta è “SI”.

  Insomma, la violazione dell’art. 3 della Costituzione è evidente, perché vengono trattate ugualmente situazioni differenti e perché non viene favorito di più chi è in maggiori difficoltà.

  Il fatto è che, ai fini di quantificare le necessità di assistenza personale di un soggetto, non basta assolutamente vedere se ha necessità di tale assistenze per una determinata attività. Ma è necessario anche capire di quanta assistenza personale ha necessità per svolgere quella determinata attività.

  Questo punto è assolutamente essenziale e il modulo di domanda predisposto dalla Regione Toscana evita nel modo più totale di affrontare questo problema.  Insomma, lorsignori trattano la cosa come se volesse dire riempire delle caselline di una lotteria, mentre ben altre valutazioni sono necessarie e doverose.

  E il risultato è quello di ingigantire enormemente i presunti bisogni di assistenza personale. Insomma perfettamente in linea con la politica dei “falsi invalidi” della vecchia DC, ma con una sfacciataggine maggiore.

 

Persone coinvolte nell’assistenza

  Nella domanda vengono poi chieste tutte le generalità (compresi nome, cognome, professione, residenza e domicilio) di tutte le persone che al momento aiutano il disabile.

  Il fatto è che può essere sì utile sapere se un disabile ha qualcuno che lo aiuta, ma voler sapere addirittura dove questa persona abita, la professione, se ha un domicilio diverso dalla residenza ecc., non c’entra proprio niente con il valutare le necessità assistenziali del disabile.

  Dunque, anche questo è un atteggiamento da stato di polizia, che aumenta la conflittualità conildisabile, anzichéinstaurareun indispensabile rapporto costruttivo e di collaborazione.

  In secondo luogo, dover dare tutte queste informazioni è umiliante ed offensivo per i disabili, quindi in spregio agli artt. 2 e 3 della Costituzione.

  Richieste come questa sembrano più discorsi messi lì da chi non sa come valutare le necessità di un disabile, e quindi si affida al ruolo del poliziotto, non troppo distante dall’ottica ottocentesca di vedere il mendicante come pericolo pubblico.

  Inoltre, “il rapporto di parentela o relazione” fra il disabile e chi lo aiuta può far parte dei dati sensibili della privacy.  Ma soprattutto questo rapporto non ha niente a che vedere con la valutazione delle necessità assistenziali di un disabile.

  Infatti, anche se si tratta ad esempio di aiuto saltuario da parte della madre o del coniuge, solo il disabile nella propria coscienza può sapere e valutare se l’aiuto di questa persona è fuori luogo o meno. Cioè solo il disabile può dire se è opportuno che continui ad avvalersi di questa assistenza o meno.

  Insomma anche qui è un grave punto di “beneficenza pubblica” di stampo ottocentesco teso al perverso scopo di umiliare chi osa chiedere l’assistenza pubblica.

  Non solo. Ma qui c’è un altro punto delicatissimo, che non può essere certamente affrontato in un modulo che oltretutto viene “valutato” da persone prive della necessaria competenza.

  Il problema è che dietro a molte delle prestazioni assistenziali, che i familiari si trovano costretti a fare ai disabili, ci sono rapporti delicatissimi di dipendenza costretta, di schiavitù costretta, di sudditanza psicologica costretta dalla collettività, ed in particolar modo da quelli che vengono spacciati come “servizi sociali”.  E si tratta di rapporti di un’estrema delicatezza perché vanno nell’intimità più profonda delle persone.

  Perciò si tratta di rapporti che innanzitutto vanno presi in considerazione con quell’estrema cautela che è possibile soltanto attraverso incontri personali a voce svolti con la dovuta professionalità. Inoltre si tratta di questioni così delicate che vanno prese in considerazione per affrontarle e risolverle e non per approfittare di esse per non fornire altre prestazioni assistenziali.  Mentre questo è ciò che i “servizi sociali” fanno di solito.  Inoltre si tratta di rapporti estremamente intimi e delicati, che devono essere affrontati con enorme competenza e grande attenzione.  E di sicuro questo non possono farlo quei “servizi sociali” che, per conto della collettività, hanno fatto nascere questi rapporti patologici, o comunque non hanno fatto assolutamente niente per evitare che questi si consolidassero.

 

Indicatori delle condizioni ambientali

  Fra questi indicatori viene richiesto anche se il soggetto disabile ha un “collegamento telefonico”.  Ovvero, nell’anno 2009, in uno dei cosiddetti paesi più industrializzati del mondo, per verificare di quanta assistenza personale ha necessità, la Regione Toscana chiede ad un disabile anche se ha un telefono in casa!

  Il fatto è che, almeno in Italia, ormai il telefono ce l’hanno tutti, anche i più poveri degli immigrati. Per trovare persone senza telefono bisogna andare nei paesi del terzo mondo.

  Ciò dimostra chiaramente che questo formulario è fatto tanto per fare, da persone che non ci capiscono niente, alle quali non importa niente né di come vengono spesi i soldi pubblici e neanche di come vivono i disabili. Che scrivono tanto per scarabocchiare qualche cosa, tanto per far vedere che nelle loro ore di “lavoro” producono carta, ed attingono a libri scritti decenni or sono, o che non hanno nulla a che fare con la materia in oggetto.

  È un po’ lo stesso discorso in base al quale, pochi mesi prima, in un questionario simile l’Agenzia Regionale di Sanità (si badi bene: l’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana, e non del Burundi, e sarebbe offendere la popolazione di questo Stato) chiedeva ai disabili gravi se riescono a camminare per 100 metri. Questo perché lo avevano copiato da un questionario scritto per tutt’altri scopi, e non gliene importava assolutamente niente di verificare se era pertinente con la materia in questione.

  Ciò semplicemente per confermare che scopo di questo lunghissimo questionario è solo quello di umiliarechi è costretto a riempirlo e buttare fumo negli occhi a coloro che vanno a votare, mentre in realtà a lorsignori non interessa niente come viene speso il denaro pubblico.

 

Scheda di presa in carico

  In questa scheda vengono attribuiti tutti i punteggi al richiedente in base ad una serie di caratteristiche.

 

Attività lavorative o di studio

  Vengono attribuiti fino a venti punti se il richiedente svolge attività lavorative o di studio, o sociali.

  Innanzitutto questo lascia estremamente perplessi perché una persona può avere grandi necessità di assistenza personale per questioni essenziali della sopravvivenza, e magari avere anche una vita intensissima, senza svolgere attività lavorativa o di studio.

  È evidente che chi svolge attività lavorativa di studio o sociale può aver necessità di più assistenza personale di chi non le svolge.  Però, la cosa può essere legittima solo se affrontata con molte cautele, alle quali invece la Delibera in oggetto non fa alcun cenno.  Il fatto è che per svolgere delle attività diversedastudioelavoroil richiedente può aver necessità di tanta assistenza personale quanto chi lavora o studia.  E, sotto il profilo della gerarchia dei valori costituzionali, taliattivitàsono parimenti importanti.

  Inoltre, c’è un’altra questione fondamentale.  Il fatto è che la graduatoria che verrebbe compilata in base a tale domanda-questionario serve non solo a stabilire di quanta assistenza personale un soggetto ha diritto di essere rimborsato, ma serve anche ad accedere ai finanziamenti per l’assistenza personale per la vita indipendente. Cioè a dire che, se finisce in un punto non sufficientemente alto della graduatoria, il soggetto può vedersi negati i finanziamenti anche per l’assistenza personale indispensabile per bere, per mangiare, per coricarsi ecc. È evidente che queste necessità devono venire comunque prima di altre, o comunque non possono essere considerate meno importanti dell’assistenza personale necessaria per il lavoro e per lo studio. Viceversa nella Delibera della Giunta Regionale qui in esame non c’è nessun meccanismo giuridico che fa comunque salve le necessità di assistenza personale per la sopravvivenza. Pertanto il punteggio in più attribuito a chi svolge un lavoro, o studia o svolge un’attività sociale sotto il profilo giuridico può essere illegittimo.

  Infine, ma non meno importante, possono essere dati fino a dieci punti a chi svolge delle attività sociali.  Qui sorgono ulteriori perplessità sotto il profilo della legittimità.  Infatti: cosa si intende per “attività sociali”?  Non viene indicato da nessuna parte.  Quindi è rimesso da un lato alla discrezionalità del richiedente nello stabilire se svolge o meno attività sociali.  E dall’altro lato all’eventuale discrezionalità dei “servizi sociali” nell’accettare come valida la dichiarazione del richiedente.  Anche qui sono notevoli i dubbi di legittimità giuridica.  Come si fa infatti ad attribuire un punteggio per una graduatoria relativa a fondi pubblici basandosi sull’esclusiva valutazione del soggetto circa il fatto se le attività da lui svolte si possono definire “sociali”?  E come si fa ad attribuire legittimità giuridica alla stesa graduatoria basandosi sulla valutazione soggettiva dei servizi sociali circa il fatto se dette attività sono davvero “sociali”?

 

Titolo di studio

  Forse ancora più scandaloso è che da questa scheda risulterebbe che, per aver l’assistenza personale per la vita indipendente, avrebbe un punteggio maggiore chi ha un titolo di studio.  Se non fosse tragicamente vero che c’è scritto così, sarebbe una barzelletta.

  Qui si tratta di finanziare con denaro pubblico innanzitutto l’assistenza personale per le cose fondamentali della vita: lavarsi, mangiare, pulire la casa, fare la spesa, incontrare gli altri, manifestare il proprio pensiero.  E solo una piccolissima frazione di questi bisogni potrebbe, in qualche caso, essere influenzata dal titolo di studio.  Ma sarebbe in ogni caso un discorso sempre relativo perché chi non ha un titolo di studio può avere comunque molte più attività da fare ed avere una vita molto più intensa di chi ha un titolo di studio.  E qui il comma 1 dell’art. 3 della Costituzione sembra violato da vari punti di vista.

  In realtà poi la violazione di questo precetto costituzionale è ancora più grossolana perché, come si è visto nel paragrafo precedente, in questo caso per il titolo di studio, il punteggio attribuito in più serve non soltanto a quantificare l’entità del finanziamento concesso per l’assistenza personale, ma anche per stabilire se quel soggetto disabile può rientrare nella graduatoria utile per avere il finanziamento per l’assistenza personale indispensabile per bere, mangiare, lavarsi ecc..  Può insomma accadere con una certa facilità che rientri in graduatoria, e quindi abbia l’assistenza personale, un disabile che ha un titolo di studio, mentre può non rientrarvi una persona con le stesse difficoltà psico-fisiche-sensoriali-mentali, ma priva del titolo di studio!  E quindi questa persona può vedersi negata l’assistenza personale indispensabile per la sopravvivenza per il fatto che non ha il titolo di studio.  E qui è davvero inammissibile e scandaloso.

  C’è poi un’altra questione, forse ancor più grave.  Spesso, soprattutto tra i disabili, chi non riesce a conseguire un titolo di studio è perché nella vita ha incontrato maggiori difficoltà che non è riuscito a superare. Quindi può trattarsi di persone che hanno necessità e diritto di maggior assistenza personale e di maggiori supporti di chi magari si è laureato.  Con questa scheda invece la Regione Toscana fa esattamente l’opposto.

  Non sono molti i casi di illegittimità di un atto per contrasto perfino con il comma 2 dell’art. 3 della Costituzione, ma questo sembra uno dei casi in cui vi è contrasto con tale comma.  In parole più semplici: la Costituzione impone di aiutare di più chi incontra maggiori difficoltà nella vita mentre in questo caso lo si vuole aiutare meno.

 

Gravità del soggetto

  Vengono poi attribuiti fino a trenta punti a seconda della diversa gravità del soggetto.

  In primo luogo non si capisce quali siano gli elementi della domanda dai quali si possa capire la diversa gravità del soggetto. E quindi, per non cadere nell’illegittimità, nell’effettuare la graduatoria di chi viene ammesso al finanziamento, questi criteri dovrebbero essere spiegati molto bene. Insomma, basandosi sul modulo della domanda, in base a quali criteri il compilatore della scheda di valutazione stabilisce la diversa gravità del richiedente?

  È poi molto azzardato, per non dire spaventoso, ritenere che questa diversa gravità la si possa stabilire basandosi sul modulo di una domanda riempita dal soggetto.

  Insomma non si capisce come sia possibile stabilire una diversa gravità, così come è dettagliata in questa scheda, senza un lungo incontro con il disabile interessato.  Ma nella Delibera della Regione Toscana qui in esame non c’è alcun cenno a questo incontro.  Quindi risulta alto il rischio che questo punteggio venga attribuito a caso, o con criteri arbitrari o per motivi clientelari.

 

Supporto della rete sociale

  In primo luogo va osservato il travisamento dei fatti che c’è in questa dizione utilizzata nell’accordo.   Infatti, ai fini della vita indipendente, le necessità di assistenza personale dipendono prima di tutto dalle difficoltà psico-fisiche-sensoriali-mentali del soggetto, e solo molto dopo dal cosiddetto “supporto della rete sociale”.

  E ciò è grave anche perché così si vorrebbe fare intendere che il finanziamento per l’assistenza personale viene fornito soltanto se il soggetto non ha proprio nessun altro che lo aiuta. Il che è l’opposto della vita indipendente.

  In questo paragrafo sono attribuibili fino a 235 punti. Il che vuol dire molti più punti che per tutti gli altri paragrafi messi insieme. Se si facesse correttamente riferimento alle effettive menomazioni del soggetto, sarebbe un fatto positivo. Infatti le necessità di assistenza personale sono così costose che nella realtà vera della vita diventano ininfluenti altri elementi quali il reddito, la proprietà della casa ecc.

  Inoltre anche qui si ripropongono pari pari gli stessi problemi analizzati più sopra circa l’accertamento soltanto astratto dei bisogni reali. Solo che si ripropongono in maniera molto più grave perché qui i punti da assegnare sono 235.

  Insomma, a meno che lorsignori non dimostrino il contrario, risulta evidente la volontà di gestire a casaccio, o in maniera clientelare, il denaro stanziato con questa Delibera della Regione.

  Per esempio si possono avere fino a venti punti per difficoltà nei trasferimenti.  Ma quali trasferimenti?  Quando?  Per quanto tempo?

  Anche solo per questa voce, per capire se un soggetto è autonomo con o senza ausili, se i supporti esistenti sono più o meno sufficienti ecc., ci vuole una valutazione assai accurata, che non risulta si possa evincere dal modulo della domanda.

  Se poi queste difficoltà si moltiplicano per tutte le sedici voci previste in questa parte della scheda, non si capisce come tale scheda possa essere gestita senza arbitrarietà e/o senza clientelismo.

 

Condizione abitativa/ambientale

  Nel modulo della domanda viene poi chiesto se “la dislocazione sul territorio della sua abitazione è: Servita, Poco servita o Isolata”.

  Innanzitutto “servita” rispetto a che cosa? Ai mezzi di trasporto pubblici? Accessibili o no? Ai negozi? Accessibili o no? Ai servizi sanitari? Al volontariato? Non è indicato da nessuna parte.

  Come fa il disabile a sapere questa domanda a cosa è riferita? E quindi come fa a rispondere correttamente?

  E poi: “Servita, Poco servita o Isolata”? Con che criterio il disabile può stabilirlo? Poiché nessun criterio è indicato da nessuna parte, non può che essere un criterio soggettivo. Insomma il disabile deve decidere soggettivamente, e quindi arbitrariamente, a cosa è riferito quel “servita” e qual è il criterio per stabilire se è servita in maniera sufficiente o meno.

  Solo che la Regione Toscana da un lato costringe il disabile a rispondere in maniera arbitraria e soggettiva e dall’altro si basa proprio su questa arbitrarietà e soggettività per attribuire un punteggio necessario all’assegnazione di fondi pubblici.

  Sotto il profilo della legittimità gli interrogativi sono tanti.

 

Indennità di accompagnamento

  Qui va scritto se il richiedente percepisce o meno l’indennità di accompagnamento.

  In primo luogo non si capisce come possa sapere ciò chi riempie questa scheda. Infatti nel modulo della domanda c’è scritto e sottolineato di non indicare l’indennità di accompagnamento. E ciò è corretto perché questo non costituisce reddito, e quindi non può essere dichiarata tra i redditi.

  Inoltre, dal modulo della domanda sembrerebbe di capire che l’indennità di accompagnamento non deve essere presa in considerazione per decidere se assegnare o meno il finanziamento per la vita indipendente. Viceversa da questa scheda sembrerebbe che venga presa in considerazione.

  Allora come stanno le cose?

 

Il punteggio attribuito

  Da notare che nell’accordo della Regione con la Fish e la Fand non vengono indicati i punteggi da attribuire per le varie voci.  È perciò da ritenere che questo punto sia stato aggiunto dalla Regione dopo l’accordo con la Fish e la Fand.

  Questa omissione nell’accordo tra le due federazioni e la Regione, volendo essere seri, parrebbe quasi incredibile.  Infatti, da come vengono attribuiti i punteggi, ne derivano conseguenze decisive per l’assegnazione o meno del finanziamento per la vita indipendente.  Perciò queste omissioni nell’accordo potrebbero essere indice, se non la conferma, dell’inammissibile leggerezza con la quale le due federazioni hanno raggiunto l’accordo con la Regione.

 

  I profili di legittimità

  Lasciando alla coscienza ed all’intelligenza di chi scrive e di chi legge ogni valutazione sulla consistenza morale e sull’intelligenza di chi ha predisposto o firmato queste cose, qui è necessario evidenziare che risultano essere numerosi i profili di legittimità sotto i quali potrebbe essere facilmente impugnata la decisione con la quale verranno assegnati questi finanziamenti cosiddetti per la vita indipendente.

 

 

 

 

 

Società della Salute del Comune di Firenze: Provvedimento n. 9 del 22/4/2010

  Per la vita indipendente delle persone con handicap grave, la Regione Toscana assegna al Comune di Firenze solo € 182.500, cioè circa un sesto di quanto detto Comune abitualmente stanzia per tale scopo.

  Per questo finanziamento per la vita indipendente è previsto un “avviso pubblico“.

  In un paese dai “falsi invalidi” come l’Italia è evidente che tantissime persone faranno domanda senza sapere neanche lontanamente di cosa si tratta, solo per avere i soldi.

  Perfino in altri paesi, dove non c’è l’abitudine italiana agli abusi, sono previsti dei filtri prima di fare questo tipo di domande.

  Fare un “avviso pubblico” così è perlomeno da irresponsabili perché significa spianare la strada ad ulteriori abusi da parte dei “falsi invalidi”.

  Tanto più se si considera che capita di rimanere perplessi nel vedere la diversità di tipologie di menomazioni alle quali viene attribuito l’handicap grave.

 

I finanziamenti esistenti

  In questo Provvedimento, ed anche in tutta la documentazione allegata, non c’è nessun cenno al fatto che le linee guida della Regione stabiliscono che “le progettualità di V.I. che, ove già in essere, permangono a carico delle stesse realtà territoriali”.

  È perciò necessario chiedersi cosa vuol dire questa omissione del Comune di Firenze. È abbastanza inverosimile che sia una dimenticanza. Infatti si tratta di un Provvedimento molto articolato, nel quale, rispetto alle linee guida della Regione, c’è stata anche qualche modifica fatta “a puntino”. Quindi non sembra un dimenticanza.

  Vuol quindi dire che il Comune di Firenze vorrebbe sostituire i propri finanziamenti per la vita indipendente con quelli previsti dalla Regione? Se così fosse sarebbe molto grave. Sia perché significa venir meno a quanto stabilito in proposito dalle linee guida. Ma soprattutto perché, in proporzione, lo stanziamento della Regione è molto inferiore a quello del Comune di Firenze. E quindi ricondurre tutto al finanziamento della Regione sarebbe un enorme peggioramento per le persone disabili nel Comune di Firenze.

  Oppure si tratta di un’omissione fatta volutamente per tenere in un maggiore stato di soggezione le persone disabili? Se così fosse sarebbe altrettanto grave.

 

Disciplinareallegato al Provvedimento

Ultrasessantacinquenni

  Nel disciplinare della Società della Salute del Comune di Firenze sono esclusi dal finanziamento le persone disabili sotto i 18 anni e quelle ultrasessantacinquenni.

  Quest’ultimo punto dell’esclusione degli ultrasessantacinquenni non è previsto dalle linee guida della Regione. Più precisamente: era presente nella bozza originaria delle linee guida predisposte dalla Regione ed è stata eliminata dalla Regione durante la trattativa con le associazioni.

  Pare una discriminazione del tutto gratuita aggiunta dal Comune di FirenzeEd è di dubbia legittimità giuridica circa l’utilizzo di questi fondi della Regione proprio perché nella Delibera della Regione questo punto è stato volutamente eliminato.

 

Domanda per posta

  È previsto l’invio per posta o per e mail della domanda per ottenere questo finanziamento per la vita indipendente.

  Anche questo, in un paese dai “falsi invalidi” come l’Italia, è spianare la strada agli abusi. Infatti chiunque abbia un handicap grave, anche senza un vero interesse per la vita indipendente, ma badando più semplicemente ad avere del denaro, può inviare questa domanda.

 

Bando che si chiude e potrebbe riaprirsi

  È previsto che questo primo bando si chiuda il 14 giugno 2010, e c’è la possibilità, ma non la certezza, di ulteriori periodi di apertura.

  La cosa sarebbe forse legittima ed ammissibile se si trattasse di prestazioni tese al miglioramento della qualità della vita.

  Il fatto è che qui si tratta di prestazioni essenziali per la sopravvivenza del soggetto disabile. Basti pensare, ad esempio, che, senza assistenza personale, una persona con handicap grave può non essere in grado di bere un bicchiere d’acqua o di andare in bagno. Per cui è spaventoso che si dica che per questi bisogni una persona debba aspettare il prossimo bando di concorso.

  Oltretutto, per sottolineare il disprezzo verso i disabili, è prevista la possibilità, e non la doverosità, di riaprire il bando.

 

Cumulabilità degli interventi

  Le linee guida della Regione prevedono espressamente che “Le Amministrazioni Comunali possono integrare, con risorse proprie, la copertura finanziaria per la realizzazione dei progetti individuali”.

  In primo luogo, poiché da numerosi anni, il Comune di Firenze ha stanziato per la vita indipendente molto di più (in proporzione) di quanto la Regione ha previsto in questa Delibera, sarebbe stato serio prevedere anche che il finanziamento della Regione previsto da questa Delibera possa integrare quello dei comuni. Comunque questo aspetto parrebbe superabile in via integrativa.

  Il fatto è che questo punto previsto dalle linee guida della Regione, in aggiunta ad altre considerazioni anche più importanti, avrebbe dovuto spingere il Comune di Firenze ad aggiungere i finanziamenti previsti da questa Delibera della Regione a quelli già stanziati in proprio.

  Viceversa il Comune di Firenze ha voluto superare alla grande il burocratese e la beffardaggine della Delibera regionale. Ed ha previsto due domande separate, una per i fondi comunali ed una per i fondi regionali. Oltre al fatto che non è del tutto chiaro se e quanto le due domande siano compatibili. Tutto questo per complicare ulteriormente la già difficilissima vita di chi ha gravi disabilità.

 

La Rendicontazione

  Il Comune di Firenze, tramite la propria Società della Salute ha stabilito che la rendicontazione deve essere presentata ogni tre mesi.

  Questo punto non è previsto dalle linee guida della Regione.

  Tale aggiunta da parte del Comune di Firenze complica moltissimo le cose, e le rende ulteriormente impossibili, quando i disabili devono mettere da parte un po’ di soldi per pagare l’assistenza personale per andare, ad esempio, ad un convegno, in vacanza, ecc.

  E sorgono dubbi sulla legittimità di questa restrizione a tre mesi perché non prevista dalla Regione, che pure fornisce i fondi.

 

  Avviso per la presentazione dei progetti

  Al Provvedimento è allegato anche un “Avviso per la presentazione dei progetti”.

  Viene ripetuto che: “Gli interventi di aiuto alla persona di cui all’art. 55 comma 2, lettera a) e c) della L.R. 41/2005, non sono cumulabili o erogabili per lo stesso periodo di riferimento.”  In più ci sono nuovamente le parole “e per le stesse finalità di cui al progetto individuale”.  Queste parole sono presenti nelle linee guida della Regione, ma sono assenti nel Disciplinare della Società della Salute del Comune di Firenze.

 

 

 

 

 

Considerazioni

  Al giorno d’oggi, c’è una divaricazione crescente tra le persone. Cioè a dire per chi ha pochi soldi la vita è sempre più difficile. Sicuramente più difficile che alcuni anni fa.

  A tutto ciò, che già non è poco, va aggiunto che per i disabili la vita è già di per sé molto più difficile che per le altre persone, innanzitutto per due motivi fondamentali.

  È ampiamente dimostrato che il reddito medio delle persone disabili è nettamente inferiore a quello di chi è normodotato. E in Italia si sottolinea che la pensione di invalidità civile è intorno ad € 250 al mese. Già questo può essere sufficiente per dare un’idea di quanto per molte persone disabili perfino la semplice sopravvivenza sia un obiettivo da raggiungere.

  Ma va poi aggiunto che, a seguito della “menomazione” fisica, psichica e/o sensoriale, nella realtà vera della vita quotidiana si incontrano comunque mille difficoltà pratiche in più rispetto a chi è normodotato.

  Per cui, già da questi elementi, si può dire seriamente che in media la vita dei disabili è comunque di serie B.

  A questo va poi aggiunto che, quando c’è necessità di assistenza personale per le cose importanti della vita, le difficoltà aumentano ancora di parecchio.

  È infatti difficile trovare persone che siano veramente capaci di svolgere questa attività.

  È inoltre molto impegnativo organizzare tutto in modo da non dover rinunciare alla propria vita o non rimanere senza assistenza personale quando è necessario. Inoltre ulteriori difficoltà derivano dal fatto che è necessario prestare molta attenzione perché altrimenti è facilissimo arrivare a spendere somme assolutamente proibitive.

  Va poi considerato lo stress che deriva dal fatto che, anche avendo la migliore assistenza personale possibile (e solo raramente questo accade), non è comunque mai e poi mai come fare tutto da sé.

  È ancora, c’è il rischio (volontario o involontario) di piccoli o grandi plagi, torti, ingiustizie, abusi da parte di chi fa l’assistenza personale. In questo senso prima di tutto non si può pretendere certo l’infallibilità da chi svolge questo lavoro. Inoltre capita assai raramente di trovare persone che hanno la capacità e la volontà di stare attentissime a tutto.

  Infine, ma non meno importante, c’è il fatto che, quasi sempre, chi fa l’assistenza personale ha accesso in maniera continuativa a cose estremamente personali del disabile. Per cui le occasioni per fare piccoli o grandi torti al disabile sono tantissime.

  Insomma, in definitiva, già qui ci sono gli elementi sufficienti per dire che la vita di un disabile è molto, ma molto più difficile di quella della stragrande maggioranza di chi è normodotato.

  A tutto questo va poi aggiunto che, nel caso specifico dell’assistenza personale per la vita indipendente, la Regione Toscana:

·    eroga finanziamenti ampiamente insufficienti per l’assistenza personale a chi ha gravi disabilità;

·    li eroga con un’enorme precarietà, lasciando i disabili nella totale incertezza ed insicurezza di vita circa il fatto se e quando ci saranno altri finanziamenti e di che entità;

·    i finanziamenti vengono erogati soltanto dopo enormi complicazioni burocratiche spesso anche umilianti. Complicazioni burocratiche che, si badi bene, oltre ad essere notevoli, si AGGIUNGONO alle complicazioni che tutte le persone hanno nella vita quotidiana.

  Sarebbe allora disonesto tacere sul fatto che, con questo modo di operare della Regione Toscana, con l’accordo della Fish e della Fand, nella realtà concreta della vita vera i disabili diventano persone di serie C, e ciò cozza con i precetti stabiliti dagli artt. 2 e 3 della Costituzione, oltre che con molte altre cose.

  Si tratta infatti di cifre assolutamente lontane da quelle necessarie per l’assistenza personale a chi ha gravi disabilità. Con queste cifre, per chi è solo ed ha veramente un handicap grave, sarà solo possibile schiavizzare una badante, oppure essere schiavizzati dalla badante. In ambedue i casi tutt’altro che vita indipendente.

  In proposito non si può non ricordare una battuta fatta nell’estate del 2009 al teatro povero Monticchiello: “Badante? Ma badare si badano le bestie.” Insomma una semplice cultura contadina è più che sufficiente a capire, quando vi è l’onestà.

  Ovvero non è certo con le badanti che si può fare vita indipendente. Ma con le cifre e le regole stabilite dalla Regione si può avere o una badante oppure l’assistenza personale vera solo per qualche ora al giorno In ambedue i casi niente a che fare con la vita indipendente.

  Spiegando meglio il punto si può dire che sono tre gli elementi per cui, a questo proposito, la Delibera della Regione Toscana, qui contestata, non consente di fare vita indipendente a chi ha un handicap grave e vive da sola:

·    aiutare una persona con handicap grave ad essere se stessa ed autodeterminare la propria vita è un lavoro impegnativo che, da un lato, non è certo riconducibile al semplicismo di “badare una persona”. Viceversa richiede che l’assistente personale impegni, con attenzione ed intelligenza tutte le proprie capacità;

·    come si è visto più sopra, è concreto il rischio di essere schiavizzati dall’assistente personale perché, con le cifre stanziate dalla Regione Toscana, è possibile assumere solo un assistente personale. Quindi, poiché le necessità della vita si spalmano in tutto l’arco della giornata, al disabile non rimane che ridurre ed adattare i propri bisogni all’orario in cui l’assistente personale è disponibile;

·    oppure, è concreto il rischio di schiavizzare l’assistente personale, perché se si rende disponibile a lavorare ad orario molto spezzettato in tutti i momenti in cui il disabile ha bisogno, questa persona finisce per essere a disposizione del disabile 24 ore su 24, il che vuol dire una vita da schiavi.

 

  A tutto questo va aggiunto che un finanziamento di questo tipo, cosiddetto per la vita indipendente, in realtà può essere perfino peggio dell’istituto.

  Infatti a chi fa “vita indipendente” con questi sistemi voluti da chi comanda in Toscana, a chi ha disabilità veramente gravi può capitare, e capita tutt’altro che raramente, di essere costretti a non mangiare, a non bere, a passare la notte in carrozzina. Mentre, almeno in alcuni istituti, queste cose non accadono.

  Soprattutto poi va sottolineato che in ogni istituto c’è un numero consistente di disabili per cui è più probabile che ci siano dei controlli. E quindi può accadere che ci siano delle remore a commettere degli abusi o trascuratezze. Oltre al fatto che, a volte, qualche piccola alleanza tra disabili può rendere meno deboli.

  Viceversa un disabile da solo a casa è molto più isolato in se stesso. E quindi, se lo si costringe a vivere in una situazione troppo difficile, è più alto che in istituto il rischio di vivere in una situazione degradante, per certi aspetti anche peggiore di quella in cui vivono una parte degli animali.

 

Raffaello Belli