Contenuto principale

Per quanto riguarda la nuova "Legge Regionale della Toscana 24 febbraio 2005, n. 41, "Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale"[1], va rilevato quanto segue:

Nella Legge regionale in oggetto fin dall'articolo 2 c'è scritto che i servizi sociali agiscono "favorendo l'autonoma iniziativa dei cittadini singoli o associati"[2] nel "rispetto della libertà e dignità della persona"[3]. E gli obbiettivi sono la "garanzia dell'uguaglianza, delle pari opportunità rispetto a …. stati di bisogno differenti"[4] e il "sostegno all'autonomia delle persone disabili e non autosufficienti"[5]. Nel senso che deve trattarsi di un "percorso assistenziale personalizzato"[6] perché l'azione dei servizi sociali deve avvenire attraverso "progetti individualizzati di intervento finalizzati …… allo sviluppo di forme di autonomia"[7].

E' insomma chiaro che i servizi devono adattarsi all'utente, e non viceversa. Ossia deve essere tenuto conto del fatto che le esigenze di ogni singolo utente possono essere diverse da quelle degli altri utenti. In questo senso la Legge regionale in oggetto è pienamente conforme all'articolo 2 della Costituzione, che unisce la solidarietà all'inviolabilità delle libertà fondamentali. Infatti al centro dell'azione dei servizi sociali deve esserci l'individuo con le sue peculiarità e le sue libertà inviolabili, ovvero la personalità tutelata dall'articolo 2 della Costituzione.

E' doveroso sottolineare che le libertà inviolabili comprendono molte cose, ben al di là della "vita indipendente". Ma va messo bene in evidenza che il rispetto delle libertà fondamentali e delle peculiarità dell'utente è il presupposto anche per la "vita indipendente". E' cioè senza dubbio corretto affermare che fin dai tratti fondamentali della Legge regionale in oggetto vi è tutela della "vita indipendente". Nel senso che i servizi sociali in tutte le loro azioni devono tener conto delle peculiarità dell'utente.

Cioè a dire, in base a questa Legge regionale, come del resto era vero anche con la Legge regionale 72 del 1997, i servizi sociali non possono agire secondo i loro orientamenti e le loro preferenze. Al contrario, in tutto il loro agire, i servizi sociali devono tener conto di loro iniziativa delle peculiarità dell'utente. Questo perché l'individuo, con tutte le sue peculiarità e inviolabilità, è al centro sia dell'articolo 2 della Costituzione che della Legge regionale in oggetto.

Il punto risulta evidente anche più avanti in questa Legge regionale laddove viene richiamato un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per l'assegnazione dei compiti al "terzo settore". Infatti, a sottolineare l'esigenza di tener conto delle necessità individualizzate del singolo utente, in questo punto della Legge regionale in oggetto si scrive circa i "progetti individuali di assistenza"[8]. Quindi, comunque la si rigiri, è doveroso tener conto delle singole esigenze. Ossia, anche laddove si richiamano le disposizioni nazionali, risulta chiaro che i servizi sociali devono ribaltare la prassi consolidata di imporre le proprie scelte e mettere l'utente al centro della loro azione.

Questo è quanto viene stabilito nei principi, che, di solito, non costano niente, o si spera che sia così. Purtroppo nella Legge regionale in oggetto le cose stanno ben diversamente quando si scende nel concreto.

Nella Legge regionale in oggetto è poi affrontato un altro tema cruciale. Viene cioè scritto che al cittadino i servizi sono forniti "compatibilmente con le disponibilità esistenti"[9]. Questo punto richiede una interpretazione costituzionalmente corretta, per non fare carta straccia di quel pluralismo che è la vera base della Costituzione.

Il problema chiave è dato dal fatto che le risorse a disposizione del bilancio della Regione non sono determinate dalla Natura, o da un'entità Divina. Al contrario le risorse trasferite dallo Stato alla Regione sono determinate dalle maggioranze politiche nel Parlamento nazionale. Più precisamente dipende dal livello di tassazione che queste maggioranze politiche decidono di mettere e da quale quota delle entrate dello Stato queste maggioranze decidono di trasferire alle Regioni. Inoltre il bilancio della Regione dipende anche dal livello delle tasse regionali che viene deciso dalla maggioranza politica che domina nella Regione. Infine, l'entità delle risorse assegnate ai servizi sociali, nell'ambito di tutte le entrate regionali, dipende da quello che decide la maggioranza politica presente in Regione.

Un discorso analogo vale a proposito dell'affermazione secondo cui "le eventuali prestazioni aggiuntive da assicurare …….. nell'ambito delle risorse regionali"[10]. Per certi versi questo discorso, da un punto di vista giuridico è ovvio. Infatti, in base all'assetto giuridico vigente, se la Regione decide di erogare prestazioni in più rispetto a quelle stabilite dallo Stato, deve provvedere con i propri fondi.

Dall'altra però va sottolineato che anche qui vale il discorso sulle risorse disponibili visto poco sopra. Il fatto è che oggi ci dicono tantissime volte che non ci sono fondi per la sanità, per i servizi sociali, ecc. Però non è vero che non ci sono risorse in assoluto. Le risorse ci sono di sicuro, basti pensare al lusso e agli sprechi nei quali vive una minoranza di persone. Oppure basti pensare che solo in Italia nel 2005 sono stati stanziati € 21 miliardi (oltre 40.000 miliardi delle vecchie lire) per la "difesa" militare.

Allora, anche sotto questo profilo, le risorse che vengono destinate ai servizi sociali dipendono prima di tutto dal livello di tassazione deciso dallo Stato e dalla Regione, e dal tipo di imposte o tasse. Insomma dipendono da quanti soldi i partiti politici decidono di prendere a chi ne ha tanti. In secondo luogo le risorse destinate al sociale dipendono dalle scelte fatte dai partiti, nel senso che dipendono da quanti soldi decidono di spendere per le armi, per i regali agli industriali, per il clientelismo di tanti tipi, ecc.

Quindi è inesatto scrivere, come è stato fatto nella Legge regionale in oggetto, nell'"ambito delle risorse" disponibili. Più esatto è dire "a seconda delle scelte effettuate dalle maggioranze politiche". E il punto è che questo sarebbe costituzionalmente illegittimo .

Infatti, quando i partiti politici decidono, per esempio, di negare i soldi per l'assistenza personale e destinarli ad altre cose costituzionalmente molto meno importanti, in realtà comprimono le libertà fondamentali delle persone disabili. Sennonché la Costituzione, già nell'articolo 2, stabilisce in maniera inequivocabile che queste libertà sono inviolabili, cioè non possono essere compresse dalle maggioranze politiche presenti in Parlamento o nel Consiglio regionale.

E' un po' come dire che nessuna decisione del Parlamento o del Consiglio regionale può vietare ad una persona normodotata di andare a fare una passeggiata la domenica mattina. Se venisse decisa una cosa del genere, sarebbe dittatura, sarebbe un po' come mettere tutti in prigione.

Un discorso analogo vale per la "vita indipendente" dei disabili e le risorse. Infatti subordinare essa alle risorse decise come disponibili dalle maggioranze politiche, significa stabilire che con una propria decisione (sulle risorse disponibili) le maggioranze politiche possono limitare il concreto esercizio delle libertà inviolabili ("vita indipendente") da parte dei disabili.

Certo, da un punto di vista meramente formale la situazione è diversa dal caso dei normodotati, perché per questi si tratta di non vietare l'esercizio delle libertà inviolabili, mentre per i disabili ciò non basta, ed è decisivo garantirne anche il concreto esercizio. Ma, a parte il fatto che oggigiorno la necessità di garantire il concreto esercizio delle libertà inviolabili riguarda anche i normodotati, il punto fondamentale che accomuna le due situazioni è un altro. E cioè l'esercizio delle libertà inviolabili non può essere soggetto a qualsivoglia limitazione da parte delle maggioranze politiche.

In sostanza, in questa Legge regionale, per i servizi ai disabili è previsto il ricorso al "sistema integrato"[11]. Poiché le risorse e i servizi disponibili sono ampiamente insufficienti, a prima vista il ricorso al "sistema integrato" potrebbe sembrare positivo perché apparirebbe come un modo per aumentare i servizi esistenti nell'ambito delle risorse disponibili.

Si ribadisce che in realtà l'entità delle risorse disponibili per i servizi sociali non viene stabilita da Dio, o da un'altra entità sovrannaturale, e non è nemmeno delimitata da fattori naturali insufficienti e insuperabili. Al contrario, come abbiamo già visto, la quantità di risorse destinate ai servizi sociali dipende da decisioni delle maggioranze politiche esistenti nelle varie assemblee elettive, e in particolar modo in Parlamento, nel Consiglio regionale e nel Consiglio comunale.

Dunque è necessario ricordarsi bene che non è affatto vero che non esistono risorse finanziarie sufficienti per i servizi sociali. Il fatto è che il denaro pubblico viene destinato ad altri scopi inammissibili, quali gli istituti, il consumismo inutile, le guerre, il clientelismo, la manipolazione della gente, ecc.

E' allora necessario chiedersi che cosa significa "sistema integrato" dei servizi.

Ebbene il "sistema integrato" è costituito dal fatto che, alle prestazioni erogate da enti pubblici, si aggiungono o si sostituiscono quelle effettuate dal "terzo settore".

Nella Legge regionale in questione si legge chiaramente che il "terzo settore" è costituito da "il volontariato, gli organismi della cooperazione sociale, le associazioni e gli altri soggetti privati senza scopo di lucro …. nella gestione del sistema integrato"[12].

E, più precisamente, sempre secondo la Legge regionale in oggetto:

"si considerano soggetti del terzo settore:

a) le organizzazioni di volontariato;

b) le associazioni e gli enti di promozione sociale;

c) le cooperative sociali;

d) le fondazioni;

e) gli enti di patronato;

f) gli enti ausiliari di cui alla Legge regionale 11 agosto 1993, n. 54 (Istituzione dell'albo regionale degli enti ausiliari che gestiscono sedi operative per la riabilitazione e il reinserimento dei soggetti tossicodipendenti. Criteri e procedure per l'iscrizione);

g) gli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese;

h) gli altri soggetti privati non a scopo di lucro"[13]

In sostanza, con tutta la novella del "sistema integrato" e del "terzo settore", si vogliono affidare i servizi per i disabili al buon cuore delle famiglie e delle persone caritatevoli, e soprattutto al volontariato e alle cooperative sociali.

Le cose da dire in proposito sarebbero moltissime, alcune vanno però prese in considerazione.
Moltissimi assistenti

Una persona con una grave disabilità può aver bisogno, grosso modo, da 50 a 150 ore di assistenza personale alla settimana. Mediamente un volontario fa circa 4 ore alla settimana di servizio. Quindi per un disabile grave, affidarsi al volontariato, vorrebbe dire avere da 10 a 40 differenti assistenti personali alla settimana.

In primo luogo è evidente che così non è possibile tener conto delle peculiarità di ogni soggetto perché un volontario in 4 ore non può certo conoscere i bisogni più profondi dell'utente. E quindi i principi fondamentali sul rispetto delle peculiarità del soggetto disabile stabiliti dalla Legge regionale in oggetto, già sotto questo primo profilo, non possono essere sicuramente realizzati attraverso il volontariato.

In secondo luogo, avere da 10 a 40 diversi assistenti personali alla settimana, vuol dire prima di tutto che ogni assistente personale, anche se si adatta all'utente, ha comunque i propri modi di fare che rimangono diversi per ogni individuo. Inoltre l'utente disabile deve mostrare tutta la propria intimità a decine di persone diverse. E ancora il soggetto disabile dovrebbe spiegare tute le proprie esigenze particolari per 30 o 40 volte. Tutto questo per il soggetto disabile come minimo vuol dire sicuramente rimetterci la propria salute mentale, qualora ce l'abbia. Ovvero vorrebbe dire impazzire.

Volendo fare un esempio fin troppo facile, quando cambiano d'incarico, lorsignori si portano dietro le segretarie da un posto all'altro. Ovvero lorsignori considerano negativo cambiare una segretaria dopo 4 o 5 anni. In più, almeno di regola, gli assistenti personali svolgono compiti assai più personalissimi delle segretarie. Eppure lorsignori non vogliono cambiare una segretaria ogni 5 anni, mentre ai disabili vorrebbero far cambiare 40 assistenti personali alla settimana.
Le assenze

A tutto questo va aggiunto che, di fatto, spesso i volontari, anche all'ultimo momento disdicono gli impegni presi nei servizi. Per esempio capita con una certa frequenza che le singole pubbliche assistenze mettono fuori servizio i rispettivi servizi di ambulanza per mancanza di volontari. Già questo è inammissibile per vari motivi. Forse, però, il 118 può in qualche modo tamponare queste lacune ricorrendo ad altre ambulanze.

Ma al singolo disabile grave l'assistenza personale serve per andare in bagno, per vestirsi, per mangiare, per bere, per andare a letto. Se questo viene affidato al volontariato, e il volontario non viene, magari dicendolo all'ultimo momento, il disabile che fa? A chi si rivolge? La condizione di vita risulta di una precarietà inammissibile.
Il rispetto

Va poi rilevato che è ormai mentalità consolidata da millenni che, quando uno lavora, deve un certo rispetto al datore di lavoro, e, durante l'orario di lavoro deve fare una serie di cose. Viceversa nel volontariato c'è una mentalità diffusa molto diversa, dove si ritiene di essere molto meno tenuti a fare e deve essere presente la gratitudine da parte di chi riceve la prestazione.

Inoltre capita spesso che i volontari facciano un servizio per il bisogno di gratificazione personale. Viceversa chi lavora lo fa per uno scambio. Il fatto è che, quando il motivo che spinge a fare un servizio è la gratificazione personale, il volontario si stacca dalle esigenze vere del destinatario del servizio, e si concentra sulle proprie esigenze (di autogratificazione). Di conseguenza, anche da questo punto di vista, il servizio svolto dal volontariato molto spesso non può valorizzare le peculiarità del singolo utente come voluto invece nei principi fondamentali della Legge regionale in oggetto.

Tutta questa mentalità è sbagliatissima da molti punti di vista, giuridici, morali, etici, d'intelligenza ecc. E indubbiamente è una mentalità che si può e si deve cambiare. Però cambiare una mentalità consolidata da millenni richiede un enorme lavoro, faticosissimo nei contenuti e nei tempi. E, al fine di poter avere l'assistenza personale indispensabile a vivere, non si può chiedere ai disabili "gravi" di farsi carico da soli e in tempi brevissimi di un lavoro così grosso, e di una rilevanza storica consistente.
Corsi di formazione

Questo ostacolo potrebbe essere superato facendo degli adeguati corsi formativi per i volontari, e il punto è ancora più rilevante in considerazione del fatto che i corsi per il volontariato vengono fatti.

Il problema è innanzitutto che molto spesso questi corsi hanno un contenuto prevalentemente di tipo sanitario. E quindi, sotto questo profilo, non contribuiscono di sicuro a cambiare l'atteggiamento mentale sbagliato.

Inoltre, in genere, questi corsi vengono fatti da chi non ha la più pallida idea di quali sono i veri bisogni dei disabili e di quali sono i reali ostacoli che queste persone devono superare nella vita.

Ho già scritto sopra i motivi principali che prima di tutti rendono impossibile il ricorso al volontariato per l'assistenza personale per la vita indipendente.

Però, in aggiunta a questo, se si vuol prendere sul serio la vita, e in teoria bisognerebbe farlo, e se si volesse prendere sul serio il volontariato (e chi ci parla sopra tanto dovrebbe farlo), allora è abbastanza tragico vedere come viene sprecata o utilizzata in maniera controproducente l'attività di queste persone. Tanto più se si considera il fatto secondo cui, quando hanno un atteggiamento sbagliato nei confronti dei disabili, vuol dire che i volontari hanno dei problemi da superare nel modo in cui concepiscono se stessi e le persone che hanno vicino, quindi corsi fatti bene sarebbero utili prima di tutto a loro come persone.

Affidare l'assistenza personale alle cooperative sociali, in primo luogo vuol dire che, tra la paga oraria erogata dal Comune e il lordo complessivo orario ricevuto dall'operatore, c'è una fetta di denaro non indifferente che rimane alla cooperativa per pagare impiegati e dirigenti. Fetta di denaro che, molto spesso, sarebbe possibile risparmiare.

A questo va aggiunto che gli operatori delle cooperative sociali vengono fatti lavorare a condizioni contrattuali e retributive allucinanti. Le retribuzioni nette orarie che vengono date al lavoratore delle cooperative sociali sono almeno il 20-30% inferiori a quelle del pubblico impiego. Inoltre le condizioni contrattuali e di lavoro sono estremamente peggiori rispetto al pubblico impiego, in termini di orari, frazionamento delle prestazioni, mansioni e precarietà del lavoro. Per cui si può dire seriamente che il trattamento complessivo riconosciuto ai lavoratori delle cooperative sociali di fatto è la metà di quello riconosciuto ai pubblici dipendenti per l'assistenza ai disabili.

Va poi aggiunto che le retribuzioni nel pubblico impiego al giorno d'oggi sono da fame perché sono rimaste quasi immutate negli ultimi anni, mentre, con l'avvento dell'Euro, i prezzi sono quasi raddoppiati.

Da tutto questo scaturiscono alcune conseguenze estremamente negative per i disabili.
Corsi di formazione

Nella realtà concreta della vita, ovviamente, chi non ha mai avuto a che fare con un disabile non può sapere quali sono i problemi reali che queste persone devono affrontare per poter vivere. A tutto questo va aggiunto che c'è una mentalità, sbagliatissima, e consolidata nei secoli, per quanto riguarda questi individui.

Spesso chi lavora nelle cooperative viene mandato dai disabili senza un minimo di formazione prima. Se hanno voglia questi lavoratori cercano di fare il loro meglio. Però, innanzitutto, spesso non sanno davvero come le cose vanno fatte nel migliore dei modi per l'utente. Inoltre solo in rarissimi casi del tutto fortuiti possono sapere qual è l'atteggiamento corretto da tenere. E questo dell'atteggiamento è un punto assolutamente chiave, anche perché in questo caso il lavoro è innanzitutto un rapporto fra due persone, il lavoratore e il disabile. Pertanto ricorrere alle cooperative sociali significa sprecare fin da questo primo punto di vista tempo, energie, e risorse, "oltre" a rovinare la vita dei disabili.

A tutto questo va aggiunto, ma spesso è ancora più importante, il fatto che, come abbiamo visto per il volontariato, quando vengono fatti, i corsi di formazione sono condotti da persone che nulla hanno a che fare e non sanno niente delle difficoltà reali incontrate dai disabili.

Il problema può essere un po' meno grave che per il volontariato perché spesso chi lavora nelle cooperative sociali ha meno problemi psicologici di molti di quelli che si dedicano al volontariato perché, appunto, lo fanno come lavoro. Però il problema esiste comunque ed è grave. Perché, anche fra chi lavora nelle cooperative sociali, ovviamente loro malgrado, è diffusissima una mentalità sbagliata e una non conoscenza della materia.

Intendiamoci bene: tutto questo è comprensibilissimo, e non si vuol certo colpevolizzare questi lavoratori. Da colpevolizzare, e anche parecchio, sono invece gli assessori e i consiglieri regionali che hanno voluto mettere una cosa del genere in questa Legge.
Scarso impegno

Inoltre accade spesso che i lavoratori delle cooperative sociali si impegnano assai poco nel loro lavoro visto come sono trattati. E' evidente che, da un certo punto di vista, questo non andrebbe bene perché gli utenti hanno estremamente bisogno e diritto al massimo rispetto. Però è anche vero che pure i lavoratori sono delle persone e hanno diritto al massimo rispetto dell'impiego del proprio tempo e delle proprie energie. Perciò, dal momento che viene riservato loro un trattamento così infimo, è anche comprensibile che si impegnino assai poco nella propria attività con i disabili.

Quindi, anche sotto questo profilo, con le cooperative sociali a rimetterci sono sempre gli "ultimi", cioè i lavoratori e i disabili. E il ricorso alle cooperative sociali, se non stiamo molto attenti, può voler dire anche "guerra fra poveri".
Alto turn over

Un'altra conseguenza estremamente deleteria del pessimo trattamento riservato ai lavoratori delle cooperative sociali è che se ne vanno appena possono, ovvero cercano di trovare qualche altro lavoro nel quale vengano trattati un po' meglio dal punto di vista sia retributivo che normativo.

E chi ci rimette di più sono i disabili. Infatti dover cambiare spesso l'assistente è molto diverso dal fatto che cambi spesso, ad esempio, la commessa del fornaio. Per un disabile dover cambiare molto spesso l'assistente personale significa dover rinunciare ad una parte notevole della propria personalità.

Il punto è stato spiegato sopra a proposito del volontariato, ed è comunque facilmente comprensibile da chi lo vive sulla propria pelle.

In più l'alto ricambio di assistenti personali significa per il disabile dover rinunciare non a dettagli del proprio essere, ma a tratti essenziali e primordiale della propria personalità. E costringere un individuo a rinunciare a questo è un po' come ucciderlo, è umiliarlo nella propria dignità.

E' altresì vero che la Legge regionale in oggetto richiama un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri secondo il quale per il turn over nel terzo settore "I comuni procedono all'aggiudicazione dei servizi …… sulla base dell'offerta economicamente più vantaggiosa, tenendo conto in particolare dei seguenti elementi qualitativi: a) le modalità adottate per il contenimento del turn over degli operatori"[14].

Da un lato questo significa un riconoscimento giuridico della negatività del turn over e della necessità di fargli fronte. Dall'altra si tratta però di parole che lasciano poco più del tempo che trovano. Infatti, fino a che si punta all'"offerta economicamente più vantaggiosa" e ai lavoratori della cooperative sociali viene riservato un trattamento così infimo, i tentativi per contenere il turn over non possono che essere poco più che palliativi.

Nella Legge regionale in oggetto si tratta poi della "partecipazione", e più precisamente c'è scritto: "I soggetti di cui al comma 2 ……… partecipano altresì alla progettazione, attuazione ed erogazione degli interventi e dei servizi del sistema integrato"[15].

La "partecipazione" è una parola con la quale i politici si riempiono spesso la bocca. Essa non è accettabile per quanto riguarda l'assistenza personale ai disabili. Infatti questo tipo di assistenza riguarda gli aspetti più intimi e inviolabili di questi ultimi.

Il problema è che, per aspetti così primordiali del proprio essere, qualsiasi altra persona decide tutto, al 100%, da sola, o al massimo con il proprio partner. Insomma, ogni persona normodotata lo decide da sola, e in totale autodeterminazione, come lavare il proprio corpo, come sistemare il proprio letto, ecc., e ci mancherebbe altro che non fosse così. Sicuramente il Presidente della Regione non accetterebbe mai che noi andassimo a mettere bocca, ad esempio, su come viene sistemato il letto su cui dorme a casa propria.

Invece "partecipare" significa che, sì noi disabili partecipiamo alle decisioni riguardanti la nostra assistenza personale, cioè la nostra vita più intima e inviolabile. Ma "partecipare" vuol dire pure che anche altre persone partecipano alle decisioni riguardanti la nostra assistenza personale. Vuol cioè dire che anche altre persone partecipano alle decisioni che riguardano la vita più intima e inviolabile del soggetto disabile.

E questo è inammissibile.

Innanzitutto perché le scelte fondamentali della vita intima di ognuno sono inviolabili, e quindi nessuno può metterci bocca. In secondo luogo perché nessuno "partecipa" alle decisioni che riguardano la vita inviolabile del soggetto normodotato.

Pertanto stabilire la "partecipazione" di altri alle scelte che riguardano la vita inviolabile dei disabili significa porre questi soggetti in condizioni di inferiorità rispetto a chi è normodotato. Ciò costituisce violazione innanzitutto del comma 2 dell'articolo 3 della Costituzione. Infatti questo impone alla Repubblica di eliminare le condizioni concrete di svantaggio per i disabili.

Ma costituisce anche violazione del comma 1 del medesimo articolo 3 della Costituzione perché è possibile e semplice gestire l'assistenza personale per i disabili "gravi" senza la "partecipazione". E proprio perché è "possibile e semplice" evitare di mettere bocca in queste cose, è anche ragionevole consentire ai disabili di autodeterminare interamente la propria vita.

Il punto è di una qualche importanza perché, per dirla in parole semplici, il comma 2 dell'articolo 3 della Costituzione si riferisce a quelle disuguaglianze che è più complicato eliminare. Viceversa il comma 1 dell'articolo 3 della Costituzione si riferisce alla disuguaglianze che è possibile eliminare subito, e che quindi devono essere fatte scomparire senza ombra di dubbio.

Ossia, poiché è ragionevolmente possibile gestire l'assistenza personale ai disabili "gravi" senza che altre persone "partecipino", o interferiscano, e siccome questo incide direttamente sull'eguaglianza tra i cittadini, non c'è dubbio che va fatto subito.

Nella Legge regionale in oggetto è poi previsto il "coordinamento ed integrazione tra i servizi sociali ed i servizi sanitari"[16], ossia viene stabilito che i servizi devono essere gestiti "con il concorso di tutte le professionalità interessate"[17]. E ancora, il Comune può delegare i servizi sociali all'Azienda Unità Sanitaria Locale[18], la Regione "incentiva forme innovative di gestione unitaria dei servizi sociali e sanitari"[19]. Infine questa Legge ritorna sull'integrazione socio-sanitaria anche a proposito del recupero della salute[20] e dell'erogazione dei servizi[21]. Per converso la Legge regionale in oggetto stabilisce che i servizi sociale possono anche non essere conferiti alla Società della salute[22]

Anche il discorso della "integrazione" dei servizi socio-sanitari è un'altra delle parolone di cui spesso i politici si riempiono la bocca. Può darsi che riescano a ridurre taluni costi, anche se si tratta di quisquiglie, perché i veri sprechi, assai più colossali, sono ben altri.

Il punto chiave è però che, assai prima degli aspetti finanziari, devono venire i diritti inviolabili dell'essere umano. E' stato anche scritto che l'integrazione fra servizi sociali e sanitari può creare istituzioni "totalizzanti"[23] anche al di fuori degli istituti tradizionali. Nel senso che, anche se sei a casa tua, ma ti servono determiniate prestazioni, con l'integrazione socio-sanitaria ti devi rivolgere sempre allo stesso nucleo decisionale centrale. Ad esempio, se ti capita di stare antipatico, oppure non vengono tollerate le tue idee, da chi tira le fila del discorso, sei fregato, Nel senso che non c'è altro di "pubblico" a cui ti puoi rivolgere. Viceversa, senza questa integrazione, l'utente magari può trovare un altro ufficio meno intollerante, o più capace di capire.

Ad esempio mi vengono in mente certi fatti disastrosi quando a Firenze tutto il sociale e il sanitario erano delegati all' ASL e la Presidente di questa non capiva certe cose.

Nella Legge regionale in oggetto c'è un'altra questione, che nella sua vergognosità, lascia esterrefatti. C'è infatti scritto che: "Accedono prioritariamente agli interventi e ai servizi erogati dal sistema integrato i soggetti ….. con incapacità fisica o psichica, totale o parziale, di provvedere alle proprie esigenze"[24]. In altre parole i disabili sensoriali vengono esclusi dall'accesso prioritario ai servizi.

Il punto è inammissibile sotto vari punti di vista.

In primo luogo la cosa è sicuramente in contrasto con ambedue i commi dell'articolo 3 della Costituzione perché comporta l'esclusione dei sordo-ciechi.

Infatti non si può certo sostenere che un sordo-cieco incontri nella vita meno difficoltà, ad esempio, di un paraplegico o di un tetraplegicomma Il punto sembra sicuro oltre ogni ragionevolezza. Inoltre, con una disposizione così fatta, si creano ulteriori diversità tra i disabili, e questo cozza anche con l'imperativo imposto dal comma 2 dell'articolo 3 della Costituzione, che impone invece di eliminare tali differenze.

Tant'è vero che secondo il Parlamento europeo le persone sordo-cieche hanno "il diritto di ricevere un sostegno personalizzato, ove opportuno sotto forma di ……….. assistenti"[25].

In secondo luogo la Legge 104 del 1992 prevede l'accesso prioritario ai servizi per tutte le persone con "handicap grave", e chiarisce che nell'"handicap grave" possono rientrare anche le persone con difficoltà sensoriali. A prima vista non si capisce perciò bene perché la Regione abbia ristretto questa fascia. Pare per lo meno azzardato sostenere con una persona con significative difficoltà nella deambulazione incontri nella vita molta più difficoltà, ad esempio, di un ciecomma

Ma c'è un'altra questione, che ormai non mi meraviglia più, ma che lascia comunque senza parole. Come "Associazione Vita indipendente" avevamo proposto alla competente Commissione del Consiglio regionale di cambiare la frase di cui sopra, e, al posto di "incapacità fisica o psichica", di mettere "handicap grave", in modo da comprendervi anche i disabili sensoriali. In tale Commissione consiliare hanno discusso della questione, e hanno bocciato la nostra proposta perché hanno detto che loro vogliono comprendere anche chi ha disabilità inferiori all'"handicap grave". Il fatto è che i lorsignori hanno anche dirigenti ultra pagati. E non sono stati in grado di (oppure non hanno voluto) capire che, per comprendere anche persone con disabilità meno gravi senza escludere i sensoriali, sarebbe stato sufficiente scrivere nella Legge regionale "persone con handicap" senza l'aggettivo "grave".

Tutto ciò rappresenta in qualche modo anche un "inversione di tendenza" rispetto ad un certo approccio "tradizionale" per cui i ciechi sono stati un pochino più tutelati di altre disabilità. Il problema è però che, quando si tratta di persone con determinate difficoltà, l'eguaglianza si realizza portando tutti ad un determinato livello, e non creando differenze.

Come abbiamo appena visto la Legge 104 del 1992 stabilisce che chi ha l'"handicap grave" ha la priorità nell'accesso alle prestazioni, mentre la Legge regionale in oggetto, almeno in apparenza, estende un pochino questa priorità anche a chi ha l'incapacità parziale a provvedere alle proprie esigenze[26]. In realtà è stata prevista una nuova classificazione nel campo delle disabilità, e cioè l'"incapacità … di provvedere alle proprie esigenze" e si tratta di un'ulteriore diversificazione rispetto all'"handicap" stabilito dalla Legge 104 del 1992.

Ovvero, oltre a dover ottenere l'invalidità civile, l'"handicap grave", e a dover fronteggiare gli accertamenti per la patente di guida (quando è possibile guidare) e per la capacità lavorativa, con questa Legge regionale è stato introdotto un'ulteriore accertamento a carico del disabile e cioè l'incapacità di provvedere alle proprie esigenze. E questo mentre era facilmente evitabile. Siamo in un epoca di "semplificazione amministrativa", e viene fatto molto per realizzarla a vantaggio delle imprese. E' davvero grave che invece venga complicata la vita dei disabili. Ed è ancora più grave perché questo fatto era stato rilevato davanti alla competente Commissione del Consiglio regionale. La violazione dell'articolo 3 della Costituzione è palese.

Nella Legge regionale in oggetto è poi specificato che il Comune è il titolare delle funzioni socio-assistenziali[27]. Il punto è di una qualche importanza perché, almeno in termini di titolarità delle funzioni, contrasta un po' la negatività di quello che si è visto sopra a proposito dell'integrazione socio-sanitaria.

Il problema è che troppo spesso i comuni delegano tutto ad altri enti, e, di fatto, rinunciano ad esercitare il proprio ruolo.

E' poi previsto che le prestazioni che vengono erogate al singolo soggetto devono essere organizzate in modo da poter essere condivise[28] dall'utente o comunque tali da raggiungere il suo consenso[29].

Il punto fu ottenuto anni fa dall'"Associazione vita indipendente", e in un primo momento venne riconosciuto in una deliberazione del Consiglio regionale. Ora è arrivato in una Legge regionale, anche di una certa importanza. Questo può essere un motivo di soddisfazione.

Soprattutto perché, se viene applicato, il punto significa un ribaltamento della prassi consolidata nel settore. Infatti, nella realtà concreta, accade da troppo tempo che i servizi assistenziali vengono organizzati non in base alle necessità dell'utente, bensì come torna più comodo per chi dirige il servizio. In pratica vige la prassi inammissibile per cui: "Hai bisogno, quindi ti devi accontentare".

La frase riportata poco sopra sulla condivisione e sul consenso, significa un ribaltamento di questa pressi deleteria. Si può anche dire che per molti versi significa il trionfo della "vita indipendente". Infatti il punto cardine della "vita indipendente" è proprio che i servizi vengano organizzati in modo da soddisfare le esigenze dell'utente. Certo, a questo fine, il modo in cui viene gestita l'assistenza personale è quasi sempre il punto cruciale. Però, a livello concettuale, il punto cardine è proprio che l'utente sia soddisfatto del servizio.

Quindi questa disposizione, che, è bene ribadirlo, ora è norma di legge, significa un modo diverso di concepire i servizi alla persona. E può essere anche utile riflettere sul fatto che, quando una disposizione è scritta bene, possono bastare poche parole per compiere una "rivoluzione copernicana".

Tuttavia, in primo luogo, questa disposizione è nella Legge regionale in oggetto insieme ad altre che vanno esattamente nella direzione opposta. Inoltre non basta assolutamente che ci sia da parte dei servizi sociali la volontà di rispettare le esigenze dell'utente. Questa è solo una faccia della medaglia, o la metà della torta.

L'altro aspetto centrale del discorso è che l'utente conosca davvero quali sono le sue reali esigenze. A prima vista può sembrare un discorso banale, nel senso di dire: "Certo che lo so quali sono le mie esigenze!". In realtà molto spesso non è affatto così.

Il punto chiave è che molto spesso nella vita noi disabili veniamo trattati in un modo tale per cui ci formiamo una falsa immagine di noi stessi e delle nostre reali esigenze. In particolare accade spesso che, senza rendercene conto, riteniamo impossibili, e quindi al di fuori della nostra vita, delle cose che in realtà sono possibilissime, oppure, ma in definitiva è la stessa cosa, senza rendercene conto riteniamo normale fare determinate cose in un modo che normale non è.

L'unica via per superare questo discorso, che è molto più grosso di quello che può sembrare in apparenza, è confrontarsi, dialogare sulle cose più personali con altri disabili, e con qualche amico normodotato. E anche con qualche assistente personale davvero speciale.

Capisco che quest'ultima frase, nell'ambito della filosofia della "vita indipendente", può suscitare grande scandalo: "Ma come! Gli assistenti personali devono fare come vogliamo noi, e te vuoi confrontarti con loro!"

In realtà, lo ripeto, sono pochi gli assistenti personali con cui è possibile fare questo. E quindi dobbiamo andarci con i piedi di piombo, altrimenti ci freghiamo da noi. Però l'assistente personale ha modo di conoscere tantissime cose dell'utente "disabile". E, di solito, per quanto riguarda la propria vita, l'assistente personale vive da persona normodotata. A volte capita che l'assistente personale è capace di vedere l'utente "disabile" senza pregiudizio, cioè come una persona fino in fondo. In questi casi l'assistente personale può capire alcune cose nelle quali, senza rendersene conto, l'utente è abituato a vivere in maniera ridotta, da "disabile". Allora un dialogo può arricchire tantissimo i "disabili".

Quindi, tornando alla frase, contenuta nella Legge regionale in oggetto, secondo la quale i servizi sociali devono essere organizzati in modo da soddisfare gli utenti, va sottolineato che si tratta di una norma importantissima. Ma al tempo stesso è una disposizione del tutto inutile se l'utente si accontenta di continuare a vivere più o meno come ha sempre fatto, insomma da disabile.

Si può anche dire che riuscire a vivere da non disabile è un percorso, è una ricerca continua di se stessi e del mondo circostante. Perciò un servizio assistenziale, che può andar bene oggi, fra un mese o fra un anno può non andar più bene.

La Legge regionale in oggetto stabilisce: "L'assistente sociale, individuato quale responsabile del caso" deve definire l'"appropriatezza ed efficacia" degli interventi ed effettuare "il controllo delle prestazioni erogate"[30].

Da un punto di vista amministrativo è utile che venga individuata una persona, in questo caso l'assistente sociale, quale responsabile del procedimento. Infatti, per qualunque controversia, è chiaro a chi ci si deve rivolgere.

Inoltre non è condivisibile che, come sempre accade nel settore, si scriva "caso" riferendosi al soggetto "disabile". In realtà il vero "caso" è la società che tratta come esseri inferiori persone che hanno talune difficoltà, mentre oggi ci sono risorse più che abbondanti per evitare queste discriminazioni. E, se le cose stanno così, già da questo si vede l'inadeguatezza dell'assistente sociale.

Il punto chiave è proprio questo. Infatti, quasi sempre, le assistenti sociali non conoscono veramente il tema della disabilità. E quindi affidare a loro tutti questi compiti in realtà significa dare ai disabili servizi scadenti, o comunque costringerli a battaglie estenuanti.

Secondo me, vista la palese impreparazione della stragrande maggioranza degli assistenti sociali, si potrebbe pensare anche a qualche ipotesi di incostituzionalità di questo discorso sulle assistenti sociali, se non altro in riferimento all'articolo 97 della Costituzione. Ma qui si entrerebbe in un discorso complicato.

Inoltre, casomai, molto spesso, le assistenti sociali saranno responsabili del procedimento, e non del "caso", perché il soggetto maggiorenne e dotato della piena capacità di intendere e volere è pienamente responsabile di se stesso.

E qui siamo ad un punto cruciale. Infatti la Legge regionale in oggetto, peraltro sulla scia di disposizioni nazionali, tratta di "appropriatezza ed efficacia"[31] delle prestazioni. Il discorso è importante perché, senza questi parametri vengono sprecate risorse e gli utenti ricevono prestazioni scadenti.

Il fatto è che, purtroppo, nel campo della disabilità c'è una non conoscenza spaventosa dell'argomento anche da parte dei cosiddetti "operatori". Il punto è assai facile da dimostrare per noi disabili. Fra molte cose vorrei citarne una.

Nel 2003, come Associazione "Vita indipendente" abbiamo fatto un corso per assistenti personali per la "vita indipendente". Al termine del corso tutte le allieve, che, secondo me, erano risultate le più brave del corso, mi hanno detto che questo corso aveva cambiato radicalmente la visione che loro avevano della disabilità. E quasi tutte queste persone non erano a digiuno dell'argomento.

Anche a livello internazionale il "Movimento per la vita indipendente" sostiene da tempo che noi disabili siamo i migliori esperti della disabilità.

Insomma, anche per non sprecare risorse pubbliche, i disabili devono avere una grande voce in capitolo per far sì che le prestazione erogate siano efficaci. Questo è il vero senso della disposizione citata all'inizio di questo paragrafo.

Viceversa, in questa Legge regionale tale compito viene assegnato in larga misura alle assistenti sociali, e questo è inaccettabile.

Un discorso analogo vale per il controllo sulle prestazioni erogate[32]. Certo, le prestazioni devono essere controllate, altrimenti gli abusi dilagano, specialmente in Italia.

Però i controlli sono davvero tali solo se effettuati con adeguata conoscenza dell'argomento, altrimenti non si tratta di controlli, bensì di ulteriori sperperi di risorse pubbliche. E non si può arrivare ad un'adeguata conoscenza dell'argomento senza avere l'intelligenza di ammettere a se stessi che è necessario imparare moltissimo dai disabili. Non si tratta di umiltà, ma di intelligenza, cioè di capire la propria ignoranza, e di essere capaci di ammetterla a se stessi. In fin dei conti capire ed ammettere la propria ignoranza è la prima grande intelligenza.

Perciò non va assolutamente bene che nella Legge regionale in oggetto i controlli siano affidati alle assistenti sociali senza specificare niente circa l'attuale impreparazione di queste figure professionali.

Nella Legge regionale in oggetto è previsto pure il ricorso per opposizione[33]. Anche questo punto fu ottenuto a suo tempo dall'Associazione "Vita indipendente". In pratica, quando una decisione dei servizi sociali non va bene, come primo passo, prima di fare ricorso ad altre istituzioni, l'utente, se vuole, può "ricorrere" allo stesso organismo, che, in prima istanza, ha emesso la decisione inaccettabile.

Il punto è che spesso in questo settore le decisioni inaccettabili vengono prese anche per assoluta non conoscenza dell'argomento. Per cui potrebbe essere utile riscrivere allo stesso organismo, che ha deciso in maniera inaccettabile, in modo da indurlo a riflettere. Se la cosa funzionasse, si potrebbe ridurre la necessità di altri ricorsi. Il problema è che spesso da parte degli assistenti sociali non c'è la volontà o la capacità di ascoltare. In questi casi, evidentemente, il ricorso per opposizione non serve a niente.

Viene poi prevista la necessità di garantire la riservatezza[34]. Anche questo punto è estremamente importante perché si tratta di una questione ormai riconosciuta come diritto fondamentale anche a livello sovranazionale e internazionale. E va sottolineato che questo, nella Legge regionale in oggetto, viene riconosciuto espressamente come "diritto" da garantire.

L'importanza del punto deriva dal fatto che, nell'effettuare l'assistenza personale ai disabili, si possono venire a conoscere una quantità sconfinata di "dati sensibili" del soggetto. Secondo me in nessun altra attività lavorativa si entra così tanto nella privacy di un soggetto come nell'assistenza personale.

Da un lato, però, nella Legge regionale in oggetto non viene indicato alcun dettaglio su come garantire in concreto questo diritto, e quindi possono introdursi facilmente prassi che lo svuotano nella sostanza. Ed è grave che, su un punto così importante, una legge regionale si fermi alle affermazioni di principio. Tanto più se si guarda ai vari tentativi che in pratica ci sono stati qui in Toscana per fare carta straccia di questo principio.

Dall'altro lato, nella realtà concerta, sta a noi disabili far sì che questo diritto venga garantito concretamente. A questo fine due cose estremamente importanti sono scegliere gli assistenti personali giusti e spiegare bene a loro l'importanza della riservatezza.

E' previsto che la piena accessibilità delle informazioni per tutti i disabili deve essere garantita[35]. Anche questo punto è stato ottenuto dall'Associazione "Vita indipendente": infatti nel progetto di Legge regionale c'era scritto che tale accessibilità doveva essere soltanto favorita. Quindi, anche su questo punto, la Legge regionale in oggetto sarebbe stata illegittima senza l'intervento della nostra Associazione.

In realtà, in base alla "legge Stanca", tale accessibilità deve essere garantita. Inoltre, siccome è piuttosto facile garantire ciò, secondo me questo deve essere fatto anche per rispetto del supremo principio di eguaglianza contenuto nel comma 1 dell'articolo 3 della Costituzione.

E' poi prevista la carta dei servizi sociali[36]. La cosa potrebbe essere di una qualche utilità.

Tuttavia non è previsto alcun ruolo dell'utente nella preparazione di tale carta, né come consultazione del medesimo, e neanche in considerazione del fatto che questa stessa Legge regionale impone ai servizi sociali di tener conto della soddisfazione dell'utente. Questa lacuna è in palese contrasto con tutti i numerosi principi giuridici che abbiamo visto sopra. Pertanto viene da ritenere che questa carta abbia un ruolo del tutto secondario, o possa anche risolversi in uno spreco.

E' prevista la possibilità da parte della Regione di sperimentare nuove forme di erogazione dei trattamenti economici[37]. Di per sé il punto può essere positivo. E' infatti importante provare ad attivare sistemi sempre migliori anche nei servizi sociali.

Tuttavia il fatto è che, di regola, la sperimentazione viene attuata con Deliberazione della Giunta regionale ad efficacia limitata nel tempo, quindi in maniera estremamente precaria per i destinatari. Di conseguenza il concetto, teoricamente positivo, della sperimentazione non deve essere un "cavallo di Troia" per poi attuare in modo precario prestazioni ormai diffuse da anni sia in Italia che all'estero.

Ad esempio questa precarietà è stato realizzata dalla Regione Toscana con la scusa di "sperimentare" il finanziamento per l'assistenza personale per la "vita indipendente".

Nella Legge regionale in oggetto viene attribuito un ruolo fondamentale alle famiglie di origine per quanto riguarda l'assistenza ai disabili[38]. Il punto è assai grave.

Infatti, per molti motivi, troppo spesso i disabili non si fanno una vita propria rispetto alla famiglia di origine, oppure lo fanno con molto ritardo rispetto a chi è normodotato. Il punto costituisce una violazione non solo dei diritti umani, ma anche delle basi del diritto naturale. Infatti, anche fra gli altri animali, il distaccarsi del figlio dai genitori è un punto essenziale della vita, tanto che, senza questo, non ci sarebbe la riproduzione della specie, e quindi si arriverebbe all'estinzione. E' insomma una delle basi essenziali di questo pianeta, come l'esistenza di due poli opposti, dell'inverno e dell'estate, della pioggia e della siccità, dello spermatozoo e dell'ovulo ecc.

Negli anni '90 la legislazione aveva iniziato a tutelare la necessità che il disabile si stacchi dalla famiglia. Invece con la Legge regionale in oggetto si tenta un balzo indietro storico su questo punto così fondamentale.

I punti centrali in ultima analisi sono due.

In primo luogo i genitori, come tutte le persone, hanno un sacco di limiti che scaricano inevitabilmente sui loro figli. E' pacifico, fra chi conosce questa materia, che tutti i problemi "psicologici" degli individui risalgono ai genitori. E si tratta di questioni che spesso provocano dei disastri e rovinano gli individui. Oggi, come, o forse di più, che nel passato, si vedono molte persone con tanti problemi comportamentali o psicologici in vario modo. Spesso si tratta di persone la cui vita è rovinata in maniera più o meno rilevante e capita anche che questo provochi danni alla vita di altri. Chi conosce l'argomento sa molto bene che quasi sempre la causa di tutto ciò è riconducibile ai rapporti che queste persone, nella loro infanzia hanno avuto con i genitori. Per i disabili questo è ancor più vero, innanzitutto perché il rapporto con i genitori spesso è fisicamente più stretto che per gli altri bambini per via delle maggiori difficoltà da superare. In secondo luogo i traumi provocati dalla disabilità sui genitori inducono molto spesso a comportamenti maggiormente sbagliati nei confronti dei figli disabili.

Intendiamoci però molto bene su una questione. Quando dico che una serie di difficoltà sono riconducibili ai genitori, non intendo affatto colpevolizzare queste persone. E' chiaro che quasi sempre una serie di errori sui figli vengono fatti nella massima buona fede. Innanzitutto perché allevare un figlio è forse il compito più difficile della vita e, quando ci si rende conto degli errori commessi, spesso è troppo tardi. In secondo luogo perché anche i genitori, come tutte le persone, hanno diritto ad avere i propri limiti, ed è comprensibilissimo che non se ne rendano conto. In terzo luogo la vita è spesso molto difficile, per cui, purtroppo, è umano a volte non farcela, o non riuscire sempre ad essere all'altezza della situazione. In quarto luogo, quando il figlio è disabile, le difficoltà e i traumi da superare sono molto maggiori. Dunque, capita spesso che i genitori sì danno la vita ai propri figli, ma creano anche le condizioni per rovinarla. Però va sottolineato che molto spesso tutto ciò avviene nella massima buona fede.

Questo è uno dei motivi fondamentali per cui è assolutamente importante che i giovani (anche animali) si stacchino dai loro genitori e cerchino una propria autorealizzazione. Costringere i disabili a stare sempre con i genitori, oltre a porli in situazioni d'inferiorità rispetto alle altre persone e agli altri animali, significa costringerli a non autorealizzarsi mai e ad aumentare la propria dipendenza in una spirale sostanzialmente omicida.

Va poi rilevato che, veder nascere un figlio disabile o vedere che un figlio diventa disabile, per i genitori è un bruttissimo colpo, che provoca di sicuro degli enormi traumi psicologici, che si trascinano per tutta la vita, e spesso si aggravano. Questi traumi si ripercuotono poi inevitabilmente sui figli disabili. Questo è comprensibilissimo. Però i traumi psicologici, che i genitori scaricano, anche inconsapevolmente, sui propri figli disabili, contribuiscono in maniera decisiva a far sentire questi figli ancor più disabili. Ad esempio, spesso i genitori dei disabili hanno più paure (comprensibilissime) degli altri genitori, paure che si ripercuotono inevitabilmente sui figli, paure che possono quindi frenare i disabili nell'aprirsi alle opportunità e alle possibilità della vita.

Un bisogno essenziale di ogni bambino è imparare a conoscere il mondo. Nei primi anni di vita questo avviene con e attraverso i genitori. Successivamente ciò avviene sempre più staccandosi dai genitori, e indipendentemente da loro. Imparare a conoscere il mondo è però assolutamente indispensabile per vivere, e ancor più indispensabile per realizzare pienamente se stessi. Un individuo (bambino, ragazzino, giovane, adulto), che non conosce il mondo è un po' come un motore senza carburante. Ha tutte le potenzialità per vivere pienamente la vita, ma non può farlo perché non sa che cos'è la vita. E' un po' come sbarcare in un'isola sconosciuta e fermarsi sulla spiaggia. Non si conosce niente di quell'isola, e magari, dopo qualche giorno si muore di sete. Perciò è assolutamente indispensabile che un ragazzino inizi gradualmente a staccarsi dai genitori per conoscere il modo.

Costringere i disabili a stare sempre con i loro genitori significa farli essere più disabili che mai per tutta la vita, e impedire loro di realizzare il fatto che in realtà sono persone come le altre. Fra le persone un minimo più sveglie, che nel mondo si occupano di disabilità, si va diffondendo il cosiddetto "modello sociale". E' un'impresa assai ardua parlare di questo in poche parole, ma si può provare a dire che la disabilità non è data dalle incapacità (fisiche, psichiche, mentali, sensoriali): infatti tutti abbiamo delle incapacità. Forse una delle principali differenze tra i disabili e gli altri è data dal fatto che una serie di incapacità sono meno appariscenti, o meno prese in considerazione. La disabilità è causata non dall'incapacità, ma dal pregiudizio. Cioè a dire dal fatto che la collettività valuta in maniera negativa talune incapacità. A questo va aggiunto che nessuno può riuscire da solo a diventare consapevole delle proprie capacità, e a riuscire a realizzarle. Si riesce a diventare consapevoli di sé, e quindi ad autorealizzarsi, anche attraverso gli altri. Perchè vedere come gli altri ci considerano ci aiuta tantissimo a capire chi siamo.

Se però si costringono i disabili a stare tutta la vita con i genitori si impedisce agli altri di conoscere chi veramente e sono queste persone, e quindi si impedisce ai disabili di diventare pienamente consapevoli delle loro enormi capacità, si impedisce insomma a queste persone di capire che in realtà non sono veramente disabili. Dunque costringere i disabili a stare tutta la vita con i genitori significa consolidare e aggravare un circolo vizioso bestiale e letale.

In terzo luogo va osservato che, ovviamente, i genitori sono più vecchi dei figli. Quindi, costringere i disabili a stare tutta la vita con i genitori significa costringerli a vivere non con i loro coetanei, ma con persone assai più vecchie di loro. Questo riguarda, ad esempio, l'alimentazione, il modo di vestirsi, il riscaldamento della casa, gli acquisti da fare, ma soprattutto il modo di relazionarsi con glia altri e le persone con cui ci si relaziona. E' evidente che i genitori intelligenti cercheranno di condizionare il meno possibile i loro figli disabili. Però, innanzitutto, come tra tutte le persone, ci sono anche i genitori non intelligenti. Inoltre essere genitori è già un compito difficile di per se, ma lo è ancora di più essere genitori di disabili. Per cui capita di sicuro che anche genitori molto in gamba sbaglino nel relazionarsi con i loro figli.

Inoltre, anche se genitori intelligenti stanno molto attenti a non condizionare i loro figli disabili, è però inevitabile che le loro reazioni spontanee siano diverse da quelle di un giovane: così, ad esempio, di fronte ad un giovane (disabile), che torna alle tre del mattino, la faccia di un genitore (anziano) non può che essere diversa da quella di un coetaneo di quel figlio. E lo stesso discorso vale per l'alimentazione dei giovani, per il modo di vestirsi, ecc. Oppure ancora, di fronte ad altri giovani che venissero in casa del disabile, la tolleranza, anche solo istintiva, dei genitori, sarà sicuramente diversa da quello che accadrebbe se quel disabile vivesse da solo o con coetanei.

C'è poi un'altra questione altrettanto importante. Quando si nasce conosciamo soltanto gli istinti basilari della vita: nel crescere si impara a vivere nel mondo d'oggi guardando come gli altri vivono. Quindi per ogni persona sono essenziali i "modelli di vita" degli individui che la circondano. Se un disabile viene costretto a vivere con i genitori, viene costretto a conoscere in larga prevalenza un modello di vita diverso da quello proprio della sua età, e quindi viene spinto a vivere come se fosse più anziano. Ad esempio, è probabile che, inconsapevolmente, assimili più degli altri giovani un modo di vestirsi, di lavarsi, di nutrirsi, di vivere il tempo libero, diverso da quello della sua età. E' chiaro che agli occhi degli altri giovani questo farà apparire quel disabile più anziano di loro, quindi lo farà apparire diverso e contribuirà sicuramente al suo isolamento.

Quindi quel giovane (con alcune difficoltà diverse da quelle degli altri) potrebbe imparare a vivere pienamente la propria vita. Viceversa è anche costringendolo a stare in famiglia che lo si rende disabile, perché lo si spinge a vivere in maniera diversa da quelle che sono le sue potenzialità.

La violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione è palese e svergognata.

In particolare nella Legge regionale in oggetto c'è scritto espressamente che la famiglia deve fornire l'assistenza al disabile per "tutto l'arco della vita"[39]. In tal modo si tenta di condannare definitivamente il disabile ad una situazione di netta inferiorità anche rispetto agli animali. E tutto questo per far risparmiare un po' di soldi ai lorsignori, denaro che poi viene spesso sprecato nelle guerre, nella produzione di merci inutili ecc.

Il punto è ripreso anche più avanti laddove si sostiene "la permanenza nel domicilio familiare di soggetti non autosufficienti"[40]. Da notare che su questo punto, nella Legge regionale qui in esame, è scritto non nel proprio domicilio ma in quello "familiare".

E ancora si tratta di sostegno alle famiglie "impegnate"[41] nella cura dei disabili. Cioè, a differenza della legislazione passata della Regione Toscana, in questa nuova Legge regionale non si sostengono più le famiglie per consentire loro di vivere la propria vita senza la schiavitù di doversi occupare sempre del familiare disabile, bensì si vogliono costringere le famiglie a "portare questa croce" per tutta la vita.

Lo stesso discorso è ripreso poco più avanti nella stessa Legge dove si sostengono "famiglie con a carico soggetti non autosufficienti"[42].

Considerazioni simili valgono quando si punta al mutuo aiuto tra le famiglie[43].

Del resto nella Legge regionale in oggetto si sottolinea anche che "le famiglie sono direttamente coinvolte nell'ambito dell'organizzazione dei servizi"[44]. Cioè a dire i servizi vengono finalizzati alle famiglie di origine del disabile, e non al soggetto che, in ottemperanza alle basi del diritto naturale, vuol formarsi una propria famiglia.

Insomma, tanto per togliere ogni dubbio su quali sono le reali intenzioni, in molti punti della Legge regionale in oggetto è sottolineato che il disabile deve stare attaccato alla famiglia.

Questo significa un ribaltamento totale di affermazioni assai importanti contenute nella precedente legislazione. In particolare nella Legge regionale Toscana n. 72 del 1997 nel comma 2 dell'articolo 22 si stabiliva la necessità di non pregiudicare i diritti e i rapporti fra i singoli soggetti del nucleo familiare.

E alla lett. e) del comma 3 dello stesso articolo 22 si rafforzava ancora l'importanza dell'obiettivo aggiungendo la necessità di non pregiudicare "l'armonico sviluppo delle relazioni familiari e della coppia". Ed è davvero triste dover concludere che, anche a maggioranza partitica immutata, quelli erano altri tempi.

Il fatto ancora più grave è che il tema dei rapporti con la famiglia è affrontato in maniera innovativa dalla legislazione nazionale. Fra l'altro dalla legge-quadro sull'assistenza del 2000. Infatti il comma 2 dell'articolo 16 della Legge nazionale 8 novembre 2000, n. 328, impone di tener conto dell'esigenza di "…………. riconoscere l'autonomia di ciascun componente della famiglia".

In questo senso si può dire che la Legge regionale della Toscana qui in esame contrasta con la legislazione nazionale quadro per settore. Secondo me si può ipotizzare che su questo punto la Legge regionale della Toscana in esame sia incostituzionale. Se questo fosse vero sarebbe assi grave, sia sotto l'aspetto più propriamente giuridico che sotto quello più politico visti tanti discorsi che vengono fatti.

In quanto a passi indietro la Legge regionale in oggetto non scherza davvero. Fra l'altro la lettera h) del comma 4 dell'articolo 1 della Legge Regionale della Toscana n. 72 citata garantiva "l'accesso e la fruibilità delle prestazioni in tempi che siano compatibili con i bisogni". Anche questo punto sulla rapidità degli interventi, è scomparso dalla Legge regionale qui in esame.

In sintesi va dunque rilevato che, con la Legge regionale in oggetto, la Regione Toscana intende dare un grande spintone all'indietro sia alla legislazione italiana in tema di disabilità che alla precedente legislazione regionale in materia. Ed è davvero tutto dire.

Nell'assegnazione dei servizi è prevista l'esclusione del criterio massimo ribasso nell'offerta[45] da parte delle cooperative. Se questo viene applicato, e non solo alla lettera, è un elemento positivo. Anche se, ai fini della "vita indipendente", soltanto a condizioni molto particolari e specifiche, le cooperative possono avere un ruolo rilevante.

Viene stabilito che, per quanto riguarda chi lavora nei servizi assistenziali devono essere rispettati i contratti collettivi di lavoro[46]. Anche questo punto è importante perché nel settore c'è troppo lavoro nero. E, se i lavoratori vengono trattati male, questo va a scapito anche degli utenti.

Il problema grave in proposito è che i sindacati hanno firmato dei contratti di lavoro in questo campo davvero pessimi. Viceversa quello degli assistenti personali è un lavoro importante, delicato e impegnativo.

E' importante perché riguarda tantissimi, se non tutti, gli aspetti della vita del soggetto, e molti di questi sono di estremo rilievo.

E' un lavoro delicato perché l'assistente personale si trova ad aver a che fare con i punti sui quali l'utente è più vulnerabile, e ha maggiore necessità di essere rispettato ed aiutato. Per cui l'assistente personale deve prestare molta attenzione a quello che fa.

E' un lavoro impegnativo perché l'assistente personale è solo, di frequente la disabilità è molto grave, le necessità sono tante, anche faticose, il tempo è spesso insufficiente, magari le istruzioni ricevute sul come lavorare sono incomplete.

Quando per situazioni di questo tipo firmano contratti estremamente scadenti, è evidente che i sindacati sono distanti anni luce dalla realtà e dai bisogni reali degli individui. Per cui è indispensabile che noi disabili diventiamo consapevoli della necessità di attuare condizioni di lavoro per lo meno accettabili per i nostri assistenti personali.

Nella Legge regionale in oggetto, anche se con nomi diversi e nuovi, sono previsti ancora una volta gli istituti. Sono infatti previste strutture per non autosufficienti fino a ottanta posti letto[47], strutture a bassa intensità assistenziale con la stessa capienza[48] e strutture per i soggetti maggiormente autonomi fino a venti posti letto[49].

In linea di massima, per taluni aspetti, negli istituti può essere meno peggio che nelle case-famiglia perché, essendoci un numero assai più alto di soggetti, il controllo sull'individuo può essere meno capillare.

Però siamo molto lontani dal fare tutto il possibile per evitare la segregazione dei disabili. E questo è davvero inaccettabile, tanto più se si considera che una quantità spaventosa di risorse viene sprecata negli istituti.

Risulta poi che il "piano sociale integrato" deve stabilire, fra l'altro le priorità per i disabili[50], la compartecipazione alla spesa[51] e i "benefici aggiuntivi …. a favore degli invalidi civili" [52]. Il fatto è che il piano sociale integrato viene approvato con un atto che non ha natura legislativa. Cioè, quando nella Legge regionale in oggetto si rimandano al piano sociale integrato questioni così importanti, in realtà vengono delegate a provvedimenti non legislativi questioni assai fondamentali per la vita dei disabili.

Va allora rilevato che nella storia d'Italia i primi passi significativi in tema d'invalidità civile sono stati fatti quando questo argomento è stato affrontato con delle leggi, quindi con atti sottoposti ad un procedimento particolare di approvazione da parte di chi è eletto dal popolo. Nel rimandare temi tanto importanti al piano sociale integrato si fa un passo indietro grave anche su questo punto.

Purtroppo la questione non riguarda soltanto i disabili. E in questo modo si conferma la prassi, affermatasi anche per molte altre questioni nel Parlamento italiano negli anni '90, di delegare ad atti non legislativi questioni fondamentali, che prima erano tutelate dalle leggi. Ovvero sono il Parlamento e i Consigli regionali che si svuotano da loro stessi, ma nel contempo lorsignori aumentano i loro stipendi già colossali.

E' costituita una "Commissione regionale per le politiche sociali"[53] con tantissime persone dentro. Anche qui mi viene da pensare ai pletorici comitati ministeriali, e si è molto lontani dal modo innovativo di gestire la "cosa pubblica", che avrebbero dovuto svolgere le regioni.

Un discorso analogo vale per l'"articolazione zonale della conferenza dei sindaci" che "adotta la carta di cittadinanza sociale"[54] con un sacco di rappresentanti di tanti enti e senza la partecipazione attiva e diretta degli utenti.

Viene scritto che "il piano integrato sociale regionale" dovrà stabilire dei criteri ulteriori, e quindi più specifici, per quanto riguarda l'accertamento dell'ISEE per chi ha l'"handicap grave"[55].

In primo luogo, a scanso di equivoci, va ricordato che, per le erogazioni di denaro per l'assistenza personale a chi ha un "handicap grave", l'ISEE è applicabile esclusivamente tenendo conto della "situazione economica del solo assistito".

Infatti "Limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell'ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave …… al fine di favorire la permanenza dell'assistito presso il nucleo familiare di appartenenza …. evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione ……"[56]

In proposito si potrebbe osservare che, ad un'interpretazione assai restrittiva, questa disposizione sarebbe applicabile soltanto ai disabili "gravi" che intendono ricorrere all'assistenza personale per rimanere nella famiglia di origine, in sostanza per restare con i genitori.

Un'osservazione del genere non sembra di alcun ostacolo ai fini della "vita indipendente".

In primo luogo perché, in base a scelte del tutto soggettive, "vita indipendente" può voler dire anche continuare a vivere con i genitori, e ricorrere all'assistenza personale per essere più indipendenti.

In secondo luogo perché l'interpretazione restrittiva ipotizzata poco sopra metterebbe in posizione di ulteriore svantaggio i disabili "gravi" che intendono ricorrere all'assistenza personale per formare una propria famiglia. E questa interpretazione sarebbe illegittima per contrasto con gli articoli 31 (agevolazioni per la formazione della famiglia) e 3 (eguaglianza formale e sostanziale) della Costituzione.

Di conseguenza l'assistenza personale per la "vita indipendente" di chi ha un "handicap grave" va erogata tenendo conto soltanto della "situazione economica" del soggetto destinatario della prestazione.

Il problema dell'ISEE per chi ha un "handicap grave" non era in alcun modo presente nella proposta di legge regionale elaborata dalla Giunta, e neppure nel testo in fase di elaborazione avanzata da parte dell'apposita Commissione consiliare. Il punto fu sollevato dall'"Associazione vita indipendente" nel corso di un'audizione davanti a tale Commissione durante la fase istruttoria della Legge regionale in oggetto. Fa piacere vedere che è stato recepito. Spiace che ciò sia avvenuto solo in parte, o, più esattamente, con intenti troppo vicini a Ponzio Pilato.

Da un lato è comunque positivo che dalla Legge regionale in oggetto siano previsti criteri ulteriori per l'ISEE. Innanzitutto perché ciò significa il riconoscimento di un principio, e cioè che l'ISEE così com'è regolato dalla normativa nazionale non va bene per chi ha l'"handicap grave".

Inoltre il fatto che il riconoscimento di questa inadeguatezza sia presente nella Legge regionale in oggetto può essere utile per i disabili di altre regioni come principio che sta entrando nell'ordinamento giuridicomma Nel senso che, per chi vive altrove, può essere meno difficile richiedere l'affermazione dello stesso principio.

Si può infine sostenere che, fino a che non verranno emanate ulteriori disposizioni dalla Regione, in Toscana l'ISEE non può essere applicato per nessuna prestazione destinata a chi ha l'"handicap grave" e ai relativi familiari. E questo può essere di notevole interesse per tutti i disabili "gravi" che abitano nei comuni della Toscana dove l'ISEE viene applicato anche a loro e/o ai loro familiari.

Dall'altra parte però, nella disposizione sull'ISEE contenuta nella Legge regionale in oggetto e ricordata poco sopra, ci sono due questioni che sembrano inammissibili.

In primo luogo il legislatore nazionale ha stabilito con un atto avente forza di legge i criteri per l'accertamento dell'ISEE. Dunque ha stabilito che la questione è talmente rilevante che dev'essere regolata con un atto avente forza di legge. Sembra perciò inammissibile, se non altro sotto il profilo dell'opportunità, che la Legge regionale in oggetto, per quanto riguarda l'"handicap grave", rinvii tutto al "piano integrato sociale regionale", cioè ad un atto privo di rilevanza legislativa.

Anche su questo punto si consolida la prassi, avviata negli anni '90 a livello nazionale, di rinviare ad atti di natura amministrativa molte questioni di estrema importanza, limitando così sia il ruolo delle assemblee elettive che talune tutele per i cittadini.

In secondo luogo ciò è ancor più inammissibile perché il "piano integrato sociale regionale" è sostanzialmente elaborato dalla Giunta regionale, i cui uffici, in tema di disabilità, si sono dimostrati, non solo ampiamente incompetenti, ma perfino assai più ignoranti dei corrispondenti uffici ministeriali.

In primo luogo è di dubbia costituzionalità il modo in cui, nella Legge regionale in oggetto, viene affrontato il punto della "vita indipendente"[57] per i disabili. Infatti nel nuovo Statuto della Regione Toscana la "vita indipendente" è posta come unico obbiettivo della Regione per i disabili e gli anziani. Viceversa nella Legge regionale in questione tale obbiettivo è indicato dopo altri ed in mezzo ad altri. E' una violazione dello Statuto grave, perché su questo punto lo Statuto non consente equivoci. Ma è ancora più grave se si pensa che lo Statuto è stato approvato poco prima della Legge regionale in oggetto. Ed è grave se si aggiunge il fatto è che, nel corso di un'audizione davanti all'apposita Commissione del Consiglio regionale durante la fase istruttoria della Legge regionale in oggetto, l'"Associazione vita indipendente" aveva fatto rilevare molto chiaramente che vi sarebbe stato un netto contrasto con lo Statuto qualora il punto fosse stato approvato così come è poi avvenuto.

Questo è grave anche perché così facendo il cittadino viene indotto ad attribuire scarsa importanza al sistema giuridico vigente. Inoltre l'approvazione del nuovo Statuto è costata un bel po' di soldi, perché ha richiesto una fase preparatoria lunga e complessa con un sacco di spese amministrative. Dunque, anche da questo punto di vista assai pratico, lo Statuto dovrebbe essere tenuto nella dovuta considerazione. E invece, violandolo in maniera palese poco dopo la sua approvazione, si sprecano le risorse da un doppio punto di vista, sia sotto il profilo finanziario che dal lato della credibilità istituzionale.

Siccome nel testo letterale in questione la "vita indipendente" è fra "gli interventi e i servizi per le persone disabili"[58] ed è legato a "progetti innovativi"[59], a prima vista potrebbe sembrare inoltre che la "vita indipendente" è posta come una possibilità dopo molte altre, e solo quando ci sono degli interventi specifici a tal fine. In altre parole, si potrebbe pensare che il disabile può pretendere la "vita indipendente" solo se gli enti preposti decidono di intraprendere qualche iniziativa in proposito.

Se così fosse, ciò vorrebbe dire che, leggendo in questa maniera il testo in oggetto, la "vita indipendente" non sarebbe un diritto, bensì un interesse ("interesse diffuso", prima che vengano intraprese le iniziative per la "vita indipendente", e, probabilmente, "interesse legittimo", dopo che tali iniziative sono state intraprese). E il punto chiave è che gli interessi si attuano a seconda delle decisioni delle maggioranze politiche, mentre i diritti soggettivi perfetti devono essere rispettati, e salvaguardati, a prescindere dalle decisioni politiche.

In realtà, ad una lettura più attenta, non c'è invece dubbio che tali progetti e servizi per la "vita indipendente" devono essere comunque, e in ogni caso, realizzati dai Comuni.

Innanzitutto perché la "vita indipendente" significa consentire ai disabili l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dall'articolo 2 della Costituzione. E il concreto esercizio di queste libertà deve essere garantito in ogni caso per le ragioni viste in precedenza a proposito delle risorse disponibili.

Le iniziative necessarie per la "vita indipendente" dei disabili devono in ogni caso essere intraprese dai comuni anche per un altro motivo legato alle norme fondamentali della Costituzione.

Il fatto è che il comma 2 dell'articolo 3 della Costituzione impone alla Repubblica di eliminare gli ostacoli che nella vita i disabili incontrano in più rispetto alle persone normodotate. In proposito, da un punto di vista giuridico, c'è una questione fondamentale. Sotto un primo profilo la norma costituzionale appena menzionata ha un valore assai limitato. Infatti, se il Parlamento, o il Consiglio regionale, decidono di non fare niente per i disabili, può essere impossibile, o molto difficile, costringerli a fare una legge ricorrendo ai giudici.

Però, da un altro punto di vista, tale disposizione è assai importante. Questo perché da essa scaturisce la norma secondo cui, in base alla Costituzione, il Parlamento e il Consiglio regionale non possono rinunciare all'obbiettivo di eliminare i maggiori ostacoli per i disabili, o non possono andare in una direzione che è in contrasto con tale obiettivo. Allora, sicuramente, il Consiglio regionale non può tornare indietro nella strada dell'eguaglianza concreta per i disabili. Infatti tornare indietro significherebbe, non solo non eliminare i maggiori ostacoli per i disabili, ma vorrebbe dire creare di nuovo gli ostacoli che erano stati eliminati. Questo sarebbe sicuramente in contrasto con il comma 2 dell'articolo 3 della Costituzione.

In più, non ci sono strumenti giuridici per costringere il Parlamento e il Consiglio regionale a fare una legge, ma, per ora, ci sono strumenti giuridici per eliminare una norma di legge in contrasto con la Costituzione.

Più precisamente, nessun giudice può costringere il Consiglio regionale a fare una legge per la "vita indipendente" dei disabili. Ma, se una legge regionale, anziché limitarsi a regolamentare in maniera diversa la materia senza fare passi indietro inequivocabili, torna indietro nella strada della "vita indipendente", allora questa norma può essere eliminata dalla Corte costituzionale.

Il punto chiave è allora che, in base alla Legge regionale 72 del 1997, non c'era dubbio che i comuni erano obbligati a fare qualcosa per la "vita indipendente" dei disabili.

Con questa nuova Legge regionale, se la si interpreta nel senso che i comuni non sono obbligati ad intraprendere progetti per la "vita indipendente", allora vorrebbe dire che si fa un passo indietro rispetto alla Legge regionale del 1997. E quindi si può chiedere alla Corte costituzionale di eliminare questa norma, o di reinterpretarla. Viceversa, se questa disposizione la si interpreta nel senso che i comuni devono fare i progetti per la "vita indipendente", allora questa disposizione, sotto questo profilo, è costituzionalmente corretta.

Perciò, anche da questo punto di vista, non c'è dubbio che i comuni devono intraprendere progetti per la "vita indipendente".

In più va rilevato che, se venisse adottata un'interpretazione nel senso che non è obbligatorio fare questi progetti, vi sarebbe un netto peggioramento rispetto alla Legge regionale n. 72 del 1997: quindi, anche da un altro punto di vista, sebbene sempre sotto lo stesso profilo, vi sarebbe incostituzionalità.

Infatti nella Legge regionale del 1997 al disabile veniva lasciata la libertà di scegliere la "vita indipendente", anche se non vi erano in proposito iniziative da parte dell'ente proposto. Nel senso che i comuni sono tenuti comunque ad intervenire nel campo dei servizi sociali per i disabili, quindi questi interventi dei comuni ci sono sempre. E, nell'ambito di questi interventi, con la Legge regionale n. 72 i disabili potevano chiedere i finanziamenti per la "vita indipendente" anche se il Comune non aveva deciso questo tipo di intervento.

Se venisse adottata un'interpretazione peggiorativa, se si intendesse cioè che, con la nuova Legge regionale n. 41 del 2005, i disabili possono chiedere la "vita indipendente" soltanto quando il Comune istituisce progetti o servizi in tal senso, vi sarebbe un contrasto inammissibile con il comma 2 dell'articolo 3 della Costituzione.

Ovvero i progetti e i servizi per la "vita indipendente" devono essere realizzati dai comuni, anche perché, se si adotta un'interpretazione diversa, questa è costituzionalmente illegittima pure sotto questo profilo.

Inoltre la Legge nazionale n. 162 del 1998 (che integra la "Legge quadro" sull'handicap) stabilisce che le regioni devono "garantire il diritto" alla "vita indipendente".

Quindi, se una regione non fa niente in questo senso, da un punto di vista giuridico può essere molto difficile o impossibile intervenire giuridicamente. Ma non vi è dubbio che, quando interviene nel settore, la Regione non può emanare disposizioni che vanno in una direzione diversa da quella di "garantire il diritto".

Perciò, se si adottasse l'interpretazione secondo cui, con la nuova Legge regionale n. 41 del 2005, i comuni possono intervenire in tema di "vita indipendente", ma non sono obbligati a farlo, ne conseguirebbe che pure su questo punto la Legge regionale n. 41 sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione della "Legge quadro" sull'handicap.

Poiché il punto in questione, in termini letterali, può essere letto in maniera diversa, ne consegue che l'unica interpretazione corretta è quella secondo cui i comuni devono prendere delle iniziative in tema di "vita indipendente".

Va poi ricordato, come visto in precedenza, che l'autodeterminazione del singolo utente, e il rispetto per la sua specifica soggettività, sono fra i principi fondamentali della Legge regionale in oggetto, e sono anche alla base della "vita indipendente". Quindi, anche sotto questo profilo, i comuni devono realizzare interventi per la "vita indipendente". Infatti, posto che devono intervenire obbligatoriamente sul tema della disabilità, se non fanno quegli interventi indispensabili per tener conto dei principi fondamentali stabiliti dalla legge (e la "vita indipendente" rientra fra questi), violano sicuramente i propri doveri.

A tutto questo va aggiunto che la Legge in questione non incarica i comuni di realizzare la "vita indipendente", bensì attribuisce loro il compito di realizzare "modalità di vita indipendente"[60]. Ovvero pare di capire che i disabili possono pretendere le risorse per la "vita indipendente" soltanto se vengono stabilite le "modalità", ossia le regole, con cui fare tale "vita indipendente".

Ad un primo esame questo punto è senz'altro pregevole. Infatti, non solo in Italia, vengono sprecate molte risorse in nome della "vita indipendente" per attività che non hanno nulla a che vedere con questa.

Sennonché la "vita indipendente" è uno strumento indispensabile per consentire ai disabili di vivere le libertà fondamentali e inviolabili. Spesso è anche indispensabile per garantire il concreto esercizio di libertà così primordiali che non vengono negate nemmeno a chi è nel carcere duro, quali, ad esempio, il modo di insaponare il proprio corpo.

Di conseguenza va rilevato che è ormai acquisito da tempo che il concreto esercizio delle libertà fondamentali va garantito subito, comunque, e a prescindere dalla necessità di stabilire eventuali paletti.

Ad esempio si può dire che la "vita indipendente" è indispensabile per il concreto esercizio di libertà fondamentali, che sono decisamente superiori al diritto di sciopero garantito dalla Costituzione italiana. Per il diritto di sciopero la Costituzione stabilisce dei paletti, però, siccome si tratta di un diritto fondamentale, il suo concreto esercizio è stato garantito fin da subito, prima che venissero stabiliti in concreto i limiti al suo esercizio.

A maggior ragione questo deve valere per la "vita indipendente", perché appunto in essa sono coinvolte libertà ancor più fondamentali. Perciò, se il punto venisse interpretato nel senso di legarlo alle "modalità", ne risulterebbe un profondo spirito reazionario presente nell'"anima" di chi ha voluto questa Legge regionale.

A ciò va aggiunto che, quando si tratta di libertà fondamentali, non si stabiliscono le regole su come esercitarle. Viceversa si stabiliscono i limiti oltre cui non andare. Ossia, si stabilisce cosa non può essere fatto, ma non come esercitare le libertà. Altrimenti si imprigionano le libertà. In questo senso vanno anche tutti i documenti esistenti a livello internazionali sulla "vita indipendente". Nel senso che è abbastanza chiaro cosa non può rientrare nella "vita indipendente", ma il concreto esercizio di questa deve essere lasciato all'intima discrezionalità del singolo.

Per cui, anche sotto questo profilo, è indispensabile una corretta interpretazione del vocabolo "modalità". Altrimenti, fra l'altro, si sconfina nell'assolutismo.

Da ultimo, ma non meno importante, va rilevato che nella precedente Legge regionale 72 del 1997 il discorso delle "modalità" non c'era. Per cui, anche sotto questo profilo, dipende come viene interpretato il punto in questione. Altrimenti il vocabolo "modalità" può concretizzarsi in un concreto ostacolo in più per i disabili, e quindi in una violazione anche del comma 2 dell'articolo 3 della Costituzione.

Va infine aggiunto che i disabili sono "parte debole" nel procedimento giurisdizionale. Questo è stato riconosciuto da oltre 30 anni, quando è stato stabilito per legge che le controversie giurisprudenziali riguardanti indennità e pensioni per i disabili sono di competenza del giudice del lavoro. In più va ricordato che in base alla Legge 162 del 1998 la "vita indipendente" deve essere garantita.

Perciò, in primo luogo, è sicuramente infelice, se non illegittimo, che la Regione Toscana sia ricorsa ad una formula così complicata come, quella dei "progetti innovativi e servizi", per incaricare gli enti locali di realizzare la "vita indipendente".

Va poi rilevato che per il disabile, parte debole, in caso di necessità è indispensabile poter ricorrere al giudice per veder garantita la possibilità di fare "vita indipendente". Ed è essenziale che possa farlo nella maniera più semplice possibile. Viceversa può essere assai difficile, o defatigante (come diceva il Sandulli a proposito del giudizio di ottemperanza), ottenere che il giudice stabilisca anche le "modalità" entro cui esercitare la "vita indipendente". Per cui, anche sotto questo profilo, la questione delle "modalità" può far sì che per il disabile diventi concretamente molto difficile ricorrere al giudice, e pure questa sarebbe una violazione non indifferente di alcune garanzie costituzionali fondamentali.

 

Raffaello Belli

[1] Pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana del 7 marzo 2005, n. 19

[2] Articolo 2 comma1 lett. c).

[3] Articolo 3 comma1 lett. a).

[4] Articolo 3 comma1 lett. b).

[5] Articolo 3 comma1 lett. g).

[6] Articolo 7 comma 2 e comma 3.

[7] Articolo 55 comma 2 lett. a).

[8] Articolo 1 comma 3 del DPCM 30 marzo 2001 n. 188 richiamato dall'articolo 19 comma 3 della Legge regionale in oggetto.

[9] Articolo 8 comma 2 lett. c).

[10] Articolo 4 comma 2 lett. b).

[11] Articolo 2 comma 3 e articolo 4 comma1.

[12] Articolo 2 comma 3.

[13] Articolo 17 comma 2.

[14] Articolo 4 comma 2 del DPCM 30 marzo 2001 n. 188 richiamato dall'articolo 19 comma 3 della Legge regionale in oggetto.

[15] Articolo 17 comma 3.

[16] Articolo 3 comma 2 lett. a).

[17] Articolo 7 comma 5.

[18] Articolo 35 comma 1.

[19] Articolo 36 comma 1.

[20] Articolo 48 comma 1.

[21] Articolo 48 comma 2.

[22] Articolo 36 comma 3.

[23] F. MERUSI, Opere pie, servizi sociali e riforma sanitaria, in AA. VV., Assistenza e beneficienza tra "pubblico" e "privato", Milano, Angeli, 1980, 154-5.

[24] Articolo 7 comma 6 lett. b).

[25] "Dichiarazione del Parlamento europeo sui diritti delle persone sordo-cieche" del 1° aprile 2004 (Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea n. 103 E del 29/04/2004 pag. 0840 – 0840).

[26] Articolo 7 comma 6 lett. b).

[27] Articolo 6, articolo 7 comma1 e articolo 11 comma 2.

[28] Articolo 7 comma 3.

[29] Articolo 8 comma 2 lett. b) e c).

[30] Articolo 7 comma 4.

[31] Articolo 7 comma 4 lett. b).

[32] Articolo 7 comma 4 lett. c).

[33] Articolo 8 comma 2 lett. d).

[34] Articolo 8 comma 2 lett. d).

[35] Articolo 8 comma 3.

[36] Articolo 9 a articolo 19 comma 5.

[37] Articolo 14 comma 4.

[38] Articolo 15.

[39] Articolo 15 comma 1 lett. a).

[40] Articolo 52 comma 2 lett. a).

[41] Articolo 15 comma 1 lett. b) e articolo 52 comma 2 lett. c).

[42] Articolo 52 comma 3.

[43] Articolo 15 comma 1 lett. c).

[44] Articolo 15 comma 2.

[45] Articolo 19 comma 1.

[46] Articolo 19 comma 2.

[47] Articolo 21 comma 1 lett. a).

[48] Articolo 21 comma 1 lett. b).

[49] Articolo 21 comma 1 lett. c).

[50] Articolo 27 comma 5 lett. c).

[51] Articolo 27 comma 5 lett. d).

[52] Articolo 27 comma 5 lett. k).

[53] Articolo 28 comma 1.

[54] Articolo 31 comma 1.

[55] Art 47 comma 2.

[56] Comma 2-ter dell'articolo 3 del Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109 (pubblicato sulla Gazz. Uff. del 18 aprile 1998, n. 90), comma aggiunto dall'articolo 3, comma 4, Decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130 (pubblicato sulla Gazz. Uff. del 23 maggio 2000, n. 118). Questa disposizione è stata poi confermata dal comma 1 dell'articolo 25 della legge 8 novembre 2000, n. 328 (pubblicata sulla Gazz. Uff. del 13-11-2000, n. 265, suppl. ord. n. 186), "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali".

[57] Articolo 55 comma 2 lett. c) e g).

[58] Articolo 55 comma 2.

[59] Articolo 55 comma 2 lett. c).

[60] Articolo 55 comma 2 lett. c).

 

Attachments:
Download this file (Legge_regionale_toscana_41_del_2005_e_disabili.pdf)Legge_regionale_toscana_41_del_2005_e_disabili.pdf[Scarica il commento alla legge regionale 41 del 2005]105 kB