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Elementi di uno scontro su una finta sperimentazione preparatoria alla legge sulla “Vita Indipendente” nella Regione Toscana

Questo rapporto presenta alcuni degli incredibili punti salienti di un periodo fatto di incontri e lettere intercorsi fra l’Associazione “Vita Indipendente”e la Regione Toscana (tramite dei funzionari dell’assessorato sicurezza sociale ed alcuni assessori), tra il 4 novembre 2003 (giorno in cui alcuni aderenti all’Associazione manifestarono davanti al Consiglio regionale) e il 17 febbraio 2005 (giorno dell’ultima lettera inviata dall’Associazione all’Agenzia Regionale di Sanità).
1. Il nuovo Statuto della Regione
Il nuovo Statuto della Regione Toscana prevede la vita indipendente come unico obbiettivo per disabili e anziani. Inoltre il punto è previsto come “diritto da garantire” dalla legge nazionale n. 162 del 1998. Per questi, e per molti altri motivi, non c’è dubbio che si tratta di un argomento di estrema importanza.
Ma nei propri comportamenti la Regione Toscana ha voluto stracciare questo tema, così come gli altri principi, sulla “sperimentazione”. Ed ecco quello che non avremmo mai voluto dover documentare:
2. La sperimentazione imposta
La Regione Toscana ha imposto la sperimentazione all’associazione “Vita indipendente”. Su questo non deve esserci ombra di dubbio. Con il senno del poi da molti punti di vista è stato un errore non opporsi fino in fondo alla sperimentazione. Però l’unica alternativa lasciata dalla Regione sarebbe stata fare una lotta durissima. Non opponendoci alla sperimentazione è comunque servito per verificare fino in fondo che attualmente non è possibile alcun dialogo dignitoso con la Regione Toscana.
3. L’assurdità della sperimentazione
L’assistenza personale per la vita indipendente è una realtà da numerosi anni in molti Paesi occidentali. Inoltre, è stato visto poco sopra, la tutela giuridica del punto non è indifferente. Di conseguenza voler fare la sperimentazione su questa materia è come se in un “Paese delle banane” dicessero che vogliono sperimentare il sistema parlamentare, che è realtà da parecchi anni in molti Paesi. Ma questo è il livello della “Giunta Martini”.
4. Le menzogne
Nel Consiglio Regionale riunito in seduta solenne il 30 novembre 2003 il Presidente Martini disse che la sperimentazione per la vita indipendente era già in corso, citando i soldi spesi e il numero di soggetti coinvolti. Mentre dagli atti ufficiali della Regione risulta che a quella data era stata appena costituito il “gruppo di lavoro” che doveva stabilire i criteri per effettuare tale sperimentazione.
A metà gennaio 2005, a spese dei cittadini, il Presidente Martini ha inviato in tutte le case un opuscolo, chiaramente con fini elettorali, in cui c’é scritto che tale sperimentazione é già in corso, e cita i soggetti e le somme coinvolti. Ma in una lettera da lui firmata, e datata 11/2/2005, il Presidente Martini scriveva invece che, per avviare tale sperimentazione, la Regione avrebbe raccolto le domande entro il 28/2/2005. All’inizio di marzo 2005 risulta che neanche questo è stato attuato.
5. L’imposizione della precarietà
L’Associazione “Vita indipendente” aveva elaborato la proposta di articolo di legge istitutivo dell’assegno regionale per la vita indipendente; ma la Regione ha voluto procedere solo con deliberazione. Giorni fa, il Presidente della Commissione Cultura del Consiglio regionale ha dichiarato che hanno fatto una legge per l’arte contemporanea, e non una deliberazione, perché la legge dà maggior certezza ai finanziamenti. Nulla contro l’arte, ma così è ancor più chiaro che la Regione non vuol dare certezza ai finanziamenti per la vita indipendente.
6. Gli sprechi della Regione
Per preparare la sperimentazione, la Regione aveva costituito un “gruppo di lavoro” formato pressoché interamente da persone che non conoscevano la materia. Sarebbe un po’ come se, per costruire il ponte sullo stretto di Messina fosse costituito un gruppo di lavoro formato sì da ingegneri ma informatici. È evidente che, oltre ad altre considerazioni perfino più gravi, nel costituire un “gruppo di lavoro” siffatto, la Regione ha sprecato tempo e denaro in un duplice modo, e cioè sia per il costo per il funzionamento di tale “gruppo” e sia perché, lavorando in questa maniera, il denaro per la sperimentazione non verrà sicuramente speso al meglio.
7. Le discriminazioni personali
Alla faccia delle disposizioni dell’Unione Europea, della Costituzione e delle leggi nazionali sono state fatte pesanti discriminazioni. Più precisamente, e nonostante gli avvertimenti dell’Associazione, dalla sperimentazione per la vita indipendente sono stati esclusi numerosi disabili gravi. E in particolare:
a) i minorenni. Ciò significa castrare le possibilità di vita per i disabili. Abituare all’indipendenza fin dall’infanzia è di assoluta importanza, soprattutto in presenza di disabilità;
b) gli ultrasessantacinquenni che diventano disabili. Ciò significa far morire prima le persone. Ci vuole infatti poco a capire che togliere ogni indipendenza ad un anziano significa invitarlo a morire prima;
c) i disabili sensoriali. Intanto è un significativo passo indietro rispetto alla legge nazionale n. 104 del 1992. Essa prevede che anche chi ha disabilità sensoriali possa trovarsi in situazioni di gravità, e fra questi ci sono anche i sordo-ciechi. È veramente scandaloso ed ignobile escludere queste persone dalla possibilità di avere un po’ d’assistenza per la loro indipendenza. Ciò contrasta sicuramente con ambedue i commi dell’art. 3 della Costituzione per quanto riguarda i sordo-ciechi. In primo luogo, non si può certo sostenere che un sordo-cieco incontri nella vita meno difficoltà, ad esempio di una persona in carrozzina per via della paraplegia o tetraplegia. Il punto sembra sicuro oltre ogni ragionevolezza. Inoltre, con una disposizione siffatta, si creano ulteriori diversità tra i disabili, e ciò cozza anche con l’imperativo imposto dal comma 2 dell’art. 3 della Costituzione;
d) i disabili psichici. La cosa è particolarmente grave innanzitutto se si pensa a tutto il discorso della “legge Basaglia” sulla chiusura dei manicomi e sulla loro attuale riapertura di fatto. Il punto è che, pur avendo disabilità psichiche, proprio con adeguata assistenza personale, ovviamente diversa da quella necessaria a chi ha altre disabilità, è possibile fare una vita piena. Viceversa, senza assistenza personale, la vita è limitata moltissimo;
e) i disabili mentali. Anche in presenza di queste disabilità, con adeguata assistenza personale, è possibile fare una vita piena. Senza questo, le difficoltà possono essere enormi. Per cui si può parlare di vere e proprie discriminazioni attuate contro queste persone.
8. Il tetto mensile
E’ stato imposto un tetto mensile di finanziamento nettamente inferiore a quello ordinato dal Tribunale di Firenze al Comune di Firenze e a quello in atto in numerose altre realtà italiane ed europee. Ad esempio, in caso di disabilità molto gravi per l’assistenza personale per la vita indipendente nel Nord Europa per i finanziamenti pubblici il limite mensile è intorno agli € 10.000, a Grugliasco (TO) e in Friuli tale limite è a € 3.000, a Firenze (a seguito di un’ordinanza del tribunale) e a Roma tale limite è a € 2.500. La Regione Toscana ha invece imposto il limite mensile di € 1.680. Per cui, o si dice che il Comune di Firenze e quello di Roma, la Regione Friuli e i Governi di altri Paesi sprecano i soldi, oppure fare la sperimentazione in questo modo rivela anche da tale punto di vista che in realtà non si tratta di sperimentazione, ma di un espediente per finanziare la vita indipendente attraverso la precarietà. In altri termini, da un punto di vista più che altro accademico, con molti dubbi, si potrebbe affermare che forse, “a regime”, dopo aver
verificato che la cosa funziona, poteva anche avere un senso stabilire un tetto individuale inferiore a quello praticato altrove. Ma iniziare così, cioè con tutti i dati in contro tendenza rispetto a dove sono arrivati altri, rivela che la sperimentazione in realtà è solo un espediente perché si “sperimenta” ciò che è appurato come inevitabile.
9. La sperimentazione come espediente
Il fatto che non sia una cosa seria risulta evidente anche rilevando che la ASL di Pistoia ha ridotto il tetto di finanziamento individuale a circa il 60% di quello stabilito dalla regione. Questo allo scopo di dare un po’ di soldi a tutti quelli che li hanno chiesti.. E’ evidente che così non si può trattare di sperimentazione. Infatti, se davvero si trattasse di sperimentare cose nuove, non avrebbe senso uscire dai binari stabiliti nei criteri sperimentali, altrimenti non è più sperimentazione.
Due anni fa, la Regione Toscana disse all’Associazione “Vita indipendente“ di voler fare la sperimentazione perché i tempi per iniziare sarebbero stati più brevi rispetto a quelli necessari per arrivare ad una legge regionale. Poi sono passati due anni, con ampi sprechi di tempo da parte della Regione, senza che la sperimentazione sia iniziata. Anche da questo punto di vista è evidente che la sperimentazione è solo un espediente per fare le cose in condizioni di estreme precarietà per i disabili. A questo punto si può parlare però anche di comportamento e di atti giuridicamente illegittimi da parte della Regione. Infatti, la legge 162 del 1998 stabilisce che è compito delle Regioni “garantire il diritto” alla vita indipendente. Allora, se la sperimentazione è fatta per esigenze oggettive e serie, in via iniziale, forse può essere anche ammissibile. Ma, laddove la sperimentazione è solo un espediente per aggirare l’imperativo imposto dalla legge statale di fornire garanzie ai cittadini, allora siamo sicuramente nel campo dell’illegittimità. E si può seriamente pensare al fatto che tutta la faccenda sia impugnabile davanti al TAR.
Se davvero si trattasse di sperimentare una cosa nuova, sarebbe veramente importante che i controlli (che la Regione vuol fare) venissero fatti con adeguata professionalità. Altrimenti non si può davvero parlare di sperimentazione. Sarebbe come costruire un nuovo tipo di trattore e farlo collaudare ad un chimico. Ebbene la Regione Toscana ha affidato i controlli sulla sperimentazione per la vita indipendente all’Agenzia Regionale di Sanità. Purtroppo è facilissimo dimostrare che questa Agenzia non sa assolutamente niente di che cos’è la vita indipendente, né si è sprecata per farlo. Si pensi che alla sperimentazione accedono solo disabili motori in stato di gravità, e nei test vi sono domande del tipo: se la sua salute gli permette di “camminare per un chilometro” o “fare un giretto in bicicletta”, tra l’altro, confondendo tra lo stato di salute e la disabilità. Questo conferma ulteriormente il fatto che alla Regione non interessa che questi soldi vengano spesi in maniera appropriata. Ossia, anche da questo punto di vista, è evidente che non si tratta di sperimentazione, bensì è un espediente per affermare la precarietà.
10. Le discriminazioni territoriali
Con questo espediente della sperimentazione, la vita indipendente viene finanziata solo in alcune zone della Toscana, e quindi vengono esclusi da finanziamento molti disabili che sono in condizioni analoghe a quelle di chi viene ammesso dal finanziamento. Se si trattasse davvero di sperimentazione, la cosa potrebbe essere ammissibile. Ma, siccome in realtà questa sperimentazione è solo un espediente, si può allora parlare di illegittimità anche sotto questo profilo per discriminazione verso i disabili che abitano in molte zone del territorio regionale.
11. Il diritto di vivere all’ultimo posto
La Regione toscana ha stanziato € 480.000 per la sperimentazione per la vita indipendente. Solo per citare qualche esempio, per il territorio di propria competenza, assai più ristretto, il Comune di Firenze ha stanziato un milione di euro per la vita indipendente, la Regione Friuli ha stanziato € 1,8 milioni, la Regione Veneto (centro destra) ha stanziato € 4 milioni. Va altresì rilevato che, a fronte di un finanziamento di € 480.000 per la vita indipendente, la Regione Toscana ha stanziato € 1,5 milioni per l’arte contemporanea e un milione di euro per le elezioni primarie, alle quali hanno partecipato il 5% degli aventi diritto.
12. Il disprezzo per i lavoratori
L’Associazione “Vita indipendente” ha insistito molto affinché nei criteri della sperimentazione venisse indicata una retribuzione oraria minima da garantire agli assistenti personali. Questo è molto importante perché nel settore è largamente diffuso il lavoro sottopagato. La Regione peraltro all’insaputa dell’Associazione, ha eliminato questo punto dalla deliberazione. La faccenda è particolarmente grave perché:
a) vi è violazione del co. 1 art. 36 Cost. Infatti questo comma stabilisce che i lavoratori debbano ricevere una retribuzione adeguata al lavoro svolto. E’ stato fatto notare ampiamente alla Regione che nel settore questo non accade quasi mai. E la Regione si è rifiutata di attuare questo precetto costituzionale;
b) siccome nel settore il lavoro è ampiamente sottopagato, è evidente e giustificabilissimo, che i lavoratori, appena possono se ne vanno. Ossia, questo è probabilmente il motivo principale per cui i disabili devono cambiare spessissimo gli assistenti personali. Questo è estremamente grave perché si tratta di attività particolarmente personali. Ed è ancora più grave nell’ottica della vita indipendente nel cui ambito la personalizzazione delle prestazioni è più che mai essenziale. Il fatto è che, con un frequente ricambio di assistenti personali, questi non hanno il tempo per personalizzare adeguatamente le prestazioni. Inoltre, siccome per i disabili è comunque molto impegnativo dover sempre spiegare tutte le proprie esigenze di personalizzazione, con il frequente ricambio di assistenti personali, è evidente che i disabili rinunciano di fatto ad una parte più o meno essenziale della personalizzazione, e quindi della propria vita;
c) con l’assistenza personale si tratta di mettere le mani sul corpo della persona disabile e su cose personalissime della sua vita. E’ quindi un compito estremamente impegnativo. Va affermato il principio fondamentale per cui è più importante adottare le adeguate attenzioni nel mettere le mani sul corpo di un’altra persona piuttosto che su un computer, su un’automobile da riparare, su un oggetto da vendere. Di conseguenza è essenziale che l’assistenza personale venga fatta da persone con un certo grado di capacità. Viceversa, siccome si tratta di lavoro ampiamente sottopagato, è evidente che le persone più brave non si dedicano a questo lavoro, oppure, se lo fanno, appena possono se ne vanno. Ossia, rifiutandosi di prevedere una retribuzione adeguata per gli assistenti personali, di fatto la Regione ha anche stabilito che i disabili, perfino nell’ambito della vita indipendente, debbano rinunciare a molte cose della loro personalità.
13. Il clientelismo
L’Associazione Vita indipendente aveva indicato dei criteri piuttosto precisi per l’assegnazione dei fondi al singolo disabile. Il punto è importante innanzitutto per far sì che questi fondi non vengano utilizzati per scopi diversi da quelli ai quali sono stati destinati. E la questione riveste un’importanza particolare se si considera il forte clientelismo che c’è stato in Italia nel campo della disabilità. All’insaputa dell’Associazione, la Regione ha imposto l’eliminazione di ogni criterio per l’assegnazione dei fondi. In altre parole, la Regione ha violato il precetto stabilito dall’art. 97 Cost. in base al quale i fondi devono essere utilizzati in maniera appropriata, dando via libera al clientelismo.
14. I diritti fondamentali calpestati
Nei criteri per controllare la sperimentazione l’Agenzia Regionale di Sanità vuol sapere se il soggetto svolge attività politiche. Da un lato questo conferma che loro non sanno nulla di che cos’è la vita indipendente. O che comunque quello che la Regione vuole finanziare non è la vita indipendente. Dall’altro lato è evidente la violazione di numerose garanzie costituzionali, fra cui gli artt. 2 e 3. Inoltre l’Agenzia Regionale di Sanità vuole la totale libertà di intervistare gli assistenti personali. Il fatto è che, quando un disabile ha notevoli necessità assistenziali, l’assistente personale viene a conoscere molte cose ultrapersonalissime del soggetto (come ad es. i suoi amori o il suo conto corrente). Perciò chiedere la totale libertà di intervistare l’assistente personale significa voler fare sui disabili controlli più invadenti di quelli che avvengono in quasi tutte le carceri, e pari soltanto a quelli che avvengono nelle prigioni più crudeli, come Guantanamo. Questo significa fare carta straccia della Costituzione, di parecchie leggi nazionali e di molte altre cose.
15. Il ricatto
Nell’aiutare una persona con una disabilità davvero grave è inevitabile che l’assistente personale venga a conoscere molte delle vulnerabilità che il disabile ha, come tutte le persone hanno. Stabilire, come ha fatto la Regione, che queste vulnerabilità possono essere divulgate ad altri, senza che ce ne sia bisogno per l’espletamento del servizio, significa creare le condizioni perché possano essere inflitte enormi sofferenze al soggetto disabile.
E’ inoltre evidente che, se vuole, l’assistente personale può in tal modo avere anche dei potentissimi strumenti di ricatto nei confronti del soggetto disabile.
Da un punto di vista strettamente giuridico si può anche dire che, per certi versi, nel rapporto di assistenza personale il soggetto disabile è parte debole. Nel senso che può essere in una posizione di estrema vulnerabilità, e anche ricattabilità (in mille modi), da parte dell’assistente personale. Quindi è una situazione che va tutelata con la massima attenzione.
Viceversa la Regione, attraverso l’Agenzia Regionale di Sanità, fa esattamente l’opposto.
16. Il disprezzo verso i disabili
Per poter accedere alla sperimentazione impongono ai disabili di firmare una serie di fogli per l’autorizzazione al trattamento dei “dati sensibili”. Nella realtà concreta non viene dato ai soggetti il tempo di leggere con attenzione quei fogli, e non viene nemmeno lasciata loro una copia dei fogli firmati. Data la delicatezza della materia, si commenta da sé la considerazione in cui la Regione tiene la legalità e il rispetto per gli individui.
Nei fogli che la regione, tramite l’Agenzia Regionale di Sanità, impone di firmare ai disabili, per quanto riguarda i “dati sensibili” c’è scritto che il disabile decide liberamente di firmare. Però, prima di questo, c’è scritto, e va ripetuto che c’è scritto, che, se il disabile non firma, non gli danno i soldi per l’assistenza personale. Da un lato questa è ipocrisia pura ed è prendere in giro alla grande le persone. Dall’altra, come minimo, è sicuramente violato il co. 2 art. 3 Cost. E la cosa è così spudorata, che fra l’altro si tratta di uno dei non comuni casi in cui questo comma della Costituzione potrebbe essere utilizzato per dichiarare l’illegittimità costituzionale dei controlli imposti dall’Agenzia Regionale di Sanità.
Chiudiamo qui la relazione perché è già molto lunga, ma di violazioni ce ne sarebbero ancora da raccontare.