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Luca Pampaloni (Associazione Vita Indipendente ONLUS )

Firenze, Palazzo Guadagni Strozzi Sacrati, 14 dicembre 2012

In un’epoca di semplificazioni burocratiche per le imprese e per la generalità dei cittadini (e, secondo l’articolo 3 della Costituzione, le persone con handicap grave dovrebbero essere fra le prime beneficiarie di queste semplificazioni), la domanda per il contributo per la vita indipendente è formulata in modo inutilmente pesante.
Come primo esempio di ciò, va menzionato il fatto che, oltre al già inutilmente complesso formulario, è stata inserita una ulteriore domanda di più pagine e richiedente informazioni quasi tutte inutili o già in possesso dei servizi sociali. Già di per sé, questa sarebbe una vessazione se fosse effettuata nei confronti di “normali” cittadini. Se si pensa che molte delle persone che compilano questa domanda hanno grossissime difficoltà a scrivere o addirittura possono scrivere solo con l’aiuto di altre persone, l’abuso effettuato con questa complicazione è davvero mostruoso, oltre che contro tutti i principi dell’ordinamento giuridico vigente.
In questa domanda, subito dopo il predicato “chiede”, è scritto: “di poter usufruire, sulla base del progetto allegato alla presente domanda e in base alla valutazione effettuata dalla UVM competente, del contributo previsto per la vita indipendente”. Questa formulazione è inaccettabile, perché le parole “e in base alla valutazione effettuata dalla UVM competente” prefigurano un consenso del disabile alla valutazione dell’UVM che evidentemente non può essere dato a priori. Infatti, va ricordato che l’ordinamento giuridico vigente prevede sempre la possibilità per ogni cittadino di esperire vari tipi di ricorso verso gli atti della pubblica amministrazione, dando per scontato che il cittadino non debba esprimere un consenso preventivo.
Per la firma di chi è impossibilitato a firmare, questa volta bisogna andare dal pubblico ufficiale. Questa è una inutile complicazione che, dal momento che chi è in queste condizioni necessita dell’aiuto dell’assistente personale per recarsi dal pubblico ufficiale, obbliga il disabile a spreco di tempo e di denaro.

 Inoltre, alcune zone hanno sì reso scaricabile il modulo della domanda da internet, ma in formato “.pdf”, cioè in un modo che ne rende impossibile la compilazione tramite personal computer e la lettura da parte dei ciechi. Va ricordato che molte delle persone che compilano questa domanda hanno grossissime difficoltà a scrivere e che per queste persone il personal computer costituisce molto ma molto di più di ciò che la penna costituisce per chi può scrivere normalmente con le mani o per chi può visualizzare normalmente un documento con gli occhi. Quindi, non predisporre la domanda in modo accessibile e compilabile da tutti i disabili aventi diritto è un’altra complicazione mostruosa ed incostituzionale, tanto più che tale predisposizione e quella per la firma digitale non costano assolutamente nulla.
L’articolo 2 della Costituzione stabilisce che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. È evidente che tra i diritti inviolabili sono la dignità e la libertà personale. Ed è altrettanto evidente che la famiglia sia una delle “formazioni sociali ove si svolge” la personalità di ogni essere umano, disabile compreso. Legare in qualche modo l’erogazione del contributo per la vita indipendente all’esistenza e composizione del nucleo familiare viola spudoratamente l’articolo 2 della Costituzione, proprio perché tale contributo serve al cittadino disabile proprio per godere delle libertà inviolabili sancite dall’articolo 2.
Data la natura ora richiamata del contributo per la vita indipendente, esso non può essere in alcun modo confuso con un mero aiuto economico.
Va tenuto presente che soprattutto i disabili di lunga data risiedono in abitazioni adattate alle loro esigenze, spesso solo grazie a pesanti sacrifici di loro familiari che se ne sono accollati la proprietà, perché siffatte abitazioni non possono essere reperite facilmente sul mercato degli alloggi. Inoltre, spesso le abitazioni in cui risiedono disabili sono più ampie, proprio perché ci si possa muovere con la carrozzina. Quindi, chi deve valutare se erogare o meno il contributo per la vita indipendente non può considerare in alcun modo le informazioni sull’abitazione come indice di minor necessità di tale contributo. Perciò, tutto il quadro sull’abitazione è inutile, dannoso per i disabili e quindi incostituzionale rispetto agli articoli 2 e 3 della Costituzione.
Stesso discorso va fatto per il reddito. Ai disabili gravi condurre una vita alla pari degli altri cittadini richiede costi enormi. Oltre a quanto detto sopra per l’abitazione, va ricordato quanto segue:
a) con l’handicap grave è quasi impossibile muoversi in autobus, per cui bisogna sempre usare l’auto, che costa di più;
b) per chi non può muoversi dalla carrozzina è necessaria un’auto più grande adattata, e questo costa, sia per la maggior grandezza dell’auto che per gli adattamenti;
c) se per qualsiasi motivo uno può o deve fare un viaggio, gli alberghi accessibili costano di più oltre ad essere difficili da trovare;
d) gli ausili tecnici forniti dalla Regione spesso non bastano, e/o la loro qualità è insufficiente, per cui bisogna aggiungere del denaro anche per questo;
e) a volte capita che i disabili hanno maggiori necessità sanitarie che i non disabili, e questo in un modo o in un altro viene a costare;
f) quasi sempre almeno un familiare di un disabile grave non può permettersi di lavorare oppure può lavorare molto meno che se non dovesse aiutare il disabile, per cui è necessario avere il denaro per far vivere anche questo familiare;
g) quando arriva l’età della pensione, se non è già morto, questo familiare del disabile si trova senza pensione, o con una pensione molto inferiore che se non avesse dovuto aiutare il disabile.

Considerato tutto ciò, risulta chiaro che la disabilità fa saltare tutti i parametri di riferimento per la valutazione dei redditi e della situazione economica. Perciò, anche la richiesta di notizie su tali argomenti risulta inutile e dannosa per il disabile, quindi incostituzionale.
Nella domanda sono richieste informazioni sul medico curante e sullo specialista di riferimento. Anche queste sono complicazioni inutili, perché già 50 anni fa il professor Milani aveva capito che la disabilità è soprattutto un fatto sociale. Infatti, il problema non è tanto una o più menomazioni fisiche e/o psichiche e/o sensoriali, ma le risorse che la società mette a disposizione per superare gli effetti di tali menomazioni. Questo “modello sociale della disabilità” è ora accolto anche nella convenzione ONU sui disabili. Tornare a medicalizzare la disabilità significa riportare indietro l’orologio della storia di oltre 50 anni.
Avere o non avere un lavoro o un’attività di studio da svolgere non può incidere sulla concessione o meno del contributo per la vita indipendente, comunque si valutino tali requisiti. Da un lato, infatti, chi ha un lavoro o un’attività di studio necessita di assistenza personale come chi non ce l’ha; dall’altro, molti disabili non hanno un lavoro proprio perché non hanno avuto l’assistenza personale necessaria per cercarlo e poi eventualmente per svolgerlo. Quindi, anche tali domande sono inutili e dannose per i disabili.
Discorso analogo va fatto per le domande su come il disabile si muove e sul trasporto. Sono assolutamente inutili e dannose per i disabili.
Nella domanda, si chiede se l’utente è disposto a rinunciare ai servizi in cambio del contributo. Considerata l’ampissima forbice esistente tra le necessità effettive di assistenza personale e la modesta entità del contributo per la vita indipendente anche nel suo livello massimo, per diverse persone disabili può essere estremamente pesante dover rinunciare ai servizi per avere il contributo. Anche questo contrasta insanabilmente con l’articolo 3 della Costituzione.
Il nota bene dopo la domanda se l’utente è disposto a rinunciare ai servizi in cambio del contributo indica la “assunzione” come unica forma di rapporto di lavoro tra utente e assistenti personali. Ciò è inaccettabile, perché esistono altre forme di rapporto di lavoro regolare e soprattutto perché si tratta di aiutare la persona disabile in tutta una serie di cose anche molto intime e personali che non sempre possono coniugarsi con la forma della “assunzione”. Inoltre, la formulazione del paragrafo è quasi terroristica.
La tabella sulle attività che una persona può o non può fare da sola banalizza quello che dovrebbe essere l’aspetto principale della domanda. Infatti, non si può ridurre la evidenziazione dei bisogni di assistenza personale al semplice porre delle crocette. Semmai, dovrebbe essere la persona disabile a specificare e quantificare i propri bisogni di assistenza personale.
La domanda contiene anche la richiesta di informazioni se l’utente si avvale già dell’aiuto di assistenti personali con spese a proprio carico. Questa domanda è un vero capestro. Infatti, dopo averci costretto per molti anni a utilizzare il lavoro nero (perché è evidente che coprire le necessità di assistenza personale costa moltissimo e, se un disabile non riceve alcun aiuto, cerca di risparmiare qualcosa), e deve essere chiaro che senza il lavoro nero molti di noi sarebbero crepati da un pezzo, pretendete che vi si dichiari che abbiamo utilizzato il lavoro nero che è illecito. Così, ci esponete al rischio di sanzioni. Ma la responsabilità di questa situazione è proprio delle stesse istituzioni che ora ci chiedono di far emergere il nero.
Nella domanda per il contributo vita indipendente si chiede anche di sapere quali altre persone sono coinvolte nell’assistenza al disabile. Queste informazioni sono utilizzate per scaricare su queste persone il peso dell’assistenza, riducendo di conseguenza il finanziamento. Ciò è assolutamente inaccettabile e incostituzionale, perché viola gli articoli 2 e 3 della Costituzione. Va ribadito che l’assistenza personale (e quindi il contributo per la vita indipendente che serve proprio a pagare l’assistenza personale) va intesa come aiuto essenziale all’esercizio da parte del singolo disabile delle libertà inviolabili sancite dalla nostra Costituzione. Continuare a considerare l’assistenza ai disabili come una cosa da fare gratis significa da un lato perpetuare lo sfruttamento dei familiari e dall’altro pretendere che il disabile debba essere grato a qualcun altro. Ma questo è tutt’altro che vita indipendente.
Nell’accezione corretta dei termini “vita indipendente” e “assistenza personale per la vita indipendente”, la richiesta di “descrivere dettagliatamente i risultati attesi e/o gli obiettivi di mantenimento, cambiamento e/o di evoluzione che si intende raggiungere con l’attuazione del progetto (es. mantenere il posto di lavoro, ridurre il rischio di istituzionalizzazione, alleviare la famiglia, andare a vivere da solo, con altre persone o con il partner, etc.)” è assolutamente inammissibile ed incostituzionale. Va infatti ricordato che il contributo serve al cittadino disabile proprio per godere delle libertà inviolabili sancite dall’articolo 2 della Costituzione e che quindi è estremamente riduttivo contemplare gli obiettivi esemplificati nel modello della domanda.