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Firenze, 22/3/2016
            Al Sig. PREFETTO di Firenze
 
Io sottoscritto XXXXXXXXXXXXXXX residente in XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX, in qualità di proprietario e abituale guidatore dell'auto XXXXXXXXXXXX targata XXXXXXX faccio ricorso alla S.V. contro l'allegata multa n. 164149//2015 fatta alle ore 22.19 del 28/11/2015 dal vigile urbano matricola n. XXX del Comune di Firenze in Piazza degli Strozzi fronte civico 5, allegato in copia. Il mio ricorso è dovuto ai seguenti motivi di legittimità e di merito:
 

Primo motivo: silenzio sul contrassegno disabili

Sono un c.d. handicappato con significative difficoltà di deambulazione e pertanto, ai sensi dell'art. 6 D.P.R. 384 del 1978, sono titolare del contrassegno celeste n. XXX rilasciatomi dal Comune di Firenze e allegato in copia.
Molte persone a Firenze sanno che tale contrassegno è permanentemente esposto sul parabrezza della mia auto. E l'Amministrazione comunale non può affatto supporre che io sia così imbecille da aver tolto il contrassegno dal parabrezza proprio in quella occasione.
Nell'occasione che ha dato luogo alla multa allegata tale contrassegno era regolarmente esposto all'interno del parabrezza dell'auto. Oltre alla considerazione logica di cui al capoverso precedente, c'è un testimone il Sig. XXXXXXXXXXXX XXXX XXXXXXXX XXXXXX XXXXXXXXXXXXXXX.
Pertanto, il fatto che nel verbale non si menzioni tale contrassegno è un grave difetto di motivazione.
 

Secondo motivo: sanzione accessoria

Nel verbale c'è scritto “Sanzione accessoria: rimozione/blocco del veicolo”. Il fatto che sia stato scritto questo conferma che non si tiene conto del fatto che nel parabrezza c'era il contrassegno disabili. Infatti questa sanzione accessoria non è consentita per le auto al servizio delle persone disabili.
Va poi rilevato il fatto che tale sanzione accessoria non è stata eseguita: perché? Quì ci sono due ipotesi. O chi ha fatto la contravvenzione è venuto meno ai suoi doveri, e allora non capisco perché non sono stati presi i dovuti provvedimenti nei confronti di questa persona. Oppure questa persona ha visto il contrassegno disabili e ne ha dedotto che non poteva eseguire la sanzione accessoria. Però, se ha visto il contrassegno disabili, perché non l'ha menzionato nel verbale della contravvenzione? Per pregiudicare le mie possibilità di ricorso? Evidentemente questo è ampiamente illegittimo ed è motivo sufficiente per annullare il verbale.
 

Terzo motivo: diritti fondamentali e disabilita

In quell'occasione mi ero recato ad una rassegna cinematografica, finanziata anche sia dalla Regione Toscana che dal Comune di Firenze, che si teneva nell'attiguo cinema Odeon. Non c'è alcun dubbio che è un mio diritto inviolabile, anche come “disabile”, poter frequentare tale rassegna.
E non c'è alcun dubbio che il Comune di Firenze non può sostenere una rassegna cinematografica nella quale non sia possibile l'accesso per i disabili.
Purtroppo per me, pur riuscendo a camminare con molte difficoltà, posso farlo soltanto per pochi metri.
In tal senso ci sono molte attestazioni mediche, sopratutto all'ospedale di XXXXXXXXXi in merito ai numerosi traumi cranici da me subiti nel cadere camminando e si sottolinea che dal trauma cranico possono conseguire gravissime lesioni o la morte.
I sacrifici che io faccio nel camminare sono così evidenti che tante volte, nelle situazioni più diverse, persone a me sconosciute, mi fanno i complimenti per il fatto che io riesco a camminare e mi offrono il loro aiuto.
A volte il modo con cui queste persone mi offrono il loro aiuto è perfino commovente. Da un punto di vista giuridico, se non altro, è rilevante il fatto che l'art. 1 Cost. stabilisce che la sovranità appartiene al popolo. E questo è forse il motivo principale per cui chi ha fatto la contravvenzione in realtà è un/a dipendente delle persone comuni, e il loro pensiero non è indifferente e deve essere tenuto in considerazione.
Inoltre una volta, che non c'era nessun'altra possibilità di parcheggiare, misi la mia macchina nello spazio, in quel momento vuoto, al di là della strada, riservato alla polizia giudiziaria. All'uscita dal cinema trovai la catena chiusa. Proprio in quel momento passò casualmente una macchina dei carabinieri, che si fermò prontamente alla mia richiesta. Le mie difficoltà nel camminare sono così evidenti che i carabinieri non solo mi aprirono immediatamente la catena, ma mi vollero aiutare a salire in macchina e a mettere il mio deambulatore nell'auto. E gli stessi carabinieri mi dissero che il problema non ero certo io, ma sono i numerosissimi abusi che anche loro vedono quotidianamente
Quindi, anche da questo punto di vista, non c'è alcuna ombra di dubbio che è mio diritto fondamentale poter parcheggiare vicinissimo a tale cinema.
 
 

Quarto motivo: i posti auto per disabili

Fuori da quel cinema, dove, si ripete, si svolgono rassegne cinematografiche finanziate anche sia dalla Regione Toscana che dal Comune di Firenze, ci sono tre posti auto riservati ai disabili. Misura questa ampiamente insufficiente sia perché si tratta di un cinema con quasi seicento posti e sia perché in una zona così centrale e piena di vita notturna, tre posti auto per disabili sono un numero irrisorio.
In più la sera in oggetto uno dei tre posti auto per disabili, quello proprio lungo il marciapiede accanto al cinema, era pieno di motorini. E chi mi ha fatto la contravvenzione si è guardato bene dall'adempiere al suo dovere previsto dal Codice della strada di far rimuovere quei motorini. Evidentemente la Polizia municipale non può fare la contravvenzione a me perché non ho potuto parcheggiare nel posto auto per disabili che essa stessa non aveva provveduto a far sgomberare.
È anche pesantemente offensivo, innanzitutto nei miei confronti, ma perfino anche di chi a suo tempo pagò con la vita perché ci fosse questa Costituzione repubblicana, che non si adempia al dovere di rimuovere quei motorini, e si faccia invece la contravvenzione a chi come me fa tutti quegli sforzi per non rimanere chiuso in casa ad aspettare la morte, o per evitare rovinose cadute per camminare essendosi trovato costretto a parcheggiare l'auto inammissibilmente lontano.
 

Quinto motivo: la mia auto non dava noia

È perciò evidente che non avevo alternativa giuridicamente lecita rispetto a quella di mettere la mia auto dove ho parcheggiato.
Non fare questo mi avrebbe messo di fronte a due alternative. O rinunciare ad andare al cinema, e quindi consentire all'Amministrazione comunale di violare un mio diritto fondamentale. Oppure parcheggiare troppo lontano (per me) con altissimo rischio di una caduta rovinosa nel recarmi poi a piedi al cinema.
È perciò evidente che mi trovavo nell'impossibilità assoluta di fare diversamente da come ho fatto.
D'altra parte la mia auto, dov'era parcheggiata, non dava noia a nessuno e non era di alcun intralcio alla circolazione.
A questo va aggiunto, come mi è stato detto sia da un ex assessore alla mobilità del Comune di Firenze e sia dai Carabinieri, non sono le poche auto di chi è veramente disabile a dare noia. Noia la danno coloro che abusano, in vario modo, del contrassegno disabili. E il Comune di Firenze non può non fare quasi niente contro gli abusi e poi multare chi è veramente “disabile” e cerca di vivere egualmente.
Sono numerosi anni che riesco a frequentare quelle rassegne cinematografiche finanziate sia dalla Regione Toscana che dal Comune di Firenze. In tutti questi anni a quelle rassegne ho visto solo altre tre persone con disabilità motorie significative. Questa è una vergogna, innanzitutto per il Comune di Firenze, tanto che questo fatto può far sorgere dei dubbi sulla legittimità giuridica delle deliberazioni con cui detti enti destinano dei fondi a queste manifestazioni.
Questo fatto rende ancora più inaccettabile che, visto che sono uno dei pochissimi disabili gravi che riesce ad andare a quelle rassegne, mi si faccia anche la contravvenzione. Se non fosse tragico, sarebbe una barzelletta.
 

Sesto motivo: la zona pedonale

La mia auto era parcheggiata nella zona pedonale, ma questo non è scritto nel verbale della contravvenzione. E anche questo è un grave difetto di motivazione.
Il Codice della strada (art. 3 co. 1 n. 2) del d.lgsl. 285 del 1992) prevede che i disabili possono parcheggiare nelle zone pedonali, salvo eccezioni indicate. Ma lì non era indicato in alcun modo il divieto per i disabili.
Si badi bene: il Codice della strada non stabilisce che i disabili possono entrare nelle zone pedonali solo se indicato che ciò è consentito. Viceversa il Codice stabilisce che i disabili possono entrare e parcheggiare, a meno che non sia diversamente indicato. E lì non era indicato.
Va anche rilevato che, in base al Codice della Strada i divieti di accesso e sosta per le auto dei disabili nelle zone pedonali, devono essere un eccezione, e non può essere la regola. Questo per vari motivi, il primo dei quali dipende dal fatto che l'accesso e la sosta per i disabili nella zona pedonale è contenuto perfino nella definizione stessa di “zona pedonale”.
 

Settimo motivo: l'art. 20 della Convenzione dell'Onu sui disabili: “Mobilità personale”

Per quanto interessa in questa sede l’art. 20 della Convenzione Onu sui disabili (ratificata dall’Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18.) stabilisce che: “Gli Stati parti adottano misure efficaci a garantire alle persone con disabilità la mobilità personale con la maggiore autonomia possibile, provvedendo in particolare a: - a) facilitare la mobilità personale delle persone con disabilità nei modi e nei tempi da loro scelti e a costi accessibili”.

Garantire

In primo luogo si evidenzia che su questo punto la Convenzione stabilisce che è necessario “garantire” (anziché facilitare, o dizioni simili utilizzate altrove), insomma è un verbo alquanto preciso, che non lascia troppi margini in quanto alla sua imperatività.

Misure efficaci

In secondo luogo in questo testo non è stato ritenuto sufficiente nemmeno il vocabolo “garantire”, bensì ad esso è stata premessa la dizione “misure efficaci”, a sottolineare che la mobilità deve essere garantita per davvero, o, in altre parole, non è sufficiente che siano prese delle misure astratte, bensì deve essere verificato che queste siano realmente efficaci. In altre parole ancora, nel leggere questa disposizione della Convenzione, non si può omettere di prendere atto del significato del fatto che avrebbe potuto essere stabilito, più brevemente, soltanto che: “gli Stati parti garantiscono ….”. E invece si è voluto inserire anche “misure efficaci”. Di sicuro non lo si è fatto per perdere tempo o per far sì che ciò fosse privo di rilevanza. Perciò, nel prendere le proprie decisioni in proposito, qualsiasi organo della Repubblica, quindi anche l’Amministrazione comunale, è tenuto a verificarne l’efficacia concreta. E diventa perciò rilevante a questi fini il fatto che, l’essere costretto a parcheggiare a 100 o più metri di distanza, per me non è sicuramente una misura efficace per garantire la mobilità, anzi raggiunge proprio l’obbiettivo opposto.

Maggiore indipendenza possibile

In terzo luogo nella prima parte di questo articolo viene stabilito un altro parametro essenziale e cioè “la maggiore indipendenza possibile”. Cioè a dire che, non solo deve essere garantita la mobilità con misure efficaci, ma, laddove esistano più possibilità di scelta, è doveroso optare per quelle soluzioni che garantiscano la maggiore indipendenza possibile del soggetto disabile.
Ciò è dovuto innanzitutto al fatto che la mobilità con la maggior indipendenza possibile è quella che assicura di più il superamento delle insicurezze, e delle paure, e il raggiungimento di una più adeguata consapevolezza, ma è anche quella che consente il mantenimento o il miglioramento delle proprie condizioni psico-fisiche e mentali.
Inoltre in questo punto della Convenzione Onu è recepito il fatto che la mobilità fine a se stessa ha poco significato. La mobilità è importante quale strumento di libertà ed autodeterminazione, principi questi ben presenti anche nell’art. 2 Cost., ed è quindi essenziale che venga garantita adottando quelle scelte che consentono la maggiore libertà di scelta possibile per il disabile.
Viceversa, costringendomi a parcheggiare a 100 o più metri di distanza, mi si mette nella condizione di rinunciare alla mia mobilità. Oppure mi si costringe a dipendere dall’assistenza personale o da carrozzine elettriche di una certa capacità. Ben inteso, assistenza personale e/o certe carrozzine elettriche sono formidabili strumenti di autodeterminazione quando non è possibile fare diversamente. Ma sono una grave limitazione all’indipendenza individuale quando il disabile ha le capacità per raggiungere da solo quel luogo. Quindi, costringermi a non parcheggiare accanto a quel cinema, viola sia il più generale diritto alla libertà di circolazione che questo punto sulla mobilità della Convenzione, il quale è esplicito e tassativo. Si viola perché mi costringe a muovermi con un grado di indipendenza inferiore a quello possibile.
In quarto luogo nella lett. a) di questo articolo 20 ci sono altri due parametri vincolanti in tema di mobilità per i disabili.

Modi scelti dal disabile

Innanzitutto in questo punto della Convenzione viene stabilito che la mobilità deve essere garantita ai disabili nei modi da loro scelti. Cioè a dire, quando esistono più possibilità per garantire la mobilità dei disabili, deve essere scelta quella opportunità, che consente al disabile di scegliere da se stesso il modo in cui muoversi. Il punto è evidente: non si tratta di far muovere un oggetto, bensì un essere umano. Il fatto è che solo il disabile può sapere qual è il modo che soddisfa maggiormente i propri bisogni e desideri di mobilità. Inoltre, in genere, la mobilità non è un bisogno fine a se stesso, ma è finalizzata al godimento di altre necessità vitali, e quindi solo il disabile può sapere quali sono le modalità, che gli consentono il maggiore soddisfacimento di detti bisogni. Infine, ma non meno importante, il fatto è che quasi sempre è solo il disabile stesso che sa qual è il modo meno faticoso per lui per muoversi. Viceversa, con la pedonalizzazione priva di talune attenzioni verso i disabili, mi si costringe a muovermi (se ci riuscissi) nel modo imposto dall’Amministrazione comunale, ad esempio con la carrozzina elettrica di notevole capacità o con un’adeguata assistenza personale. Si viola quindi palesemente questo punto della Convenzione.

Tempi scelti dal disabile

Va poi osservato che, secondo quanto stabilito da questo punto della Convenzione, la mobilità deve essere garantita nei tempi scelti dal disabile stesso. Anche qui valgono sostanzialmente le stesse considerazioni appena fatte a proposito dei “modi”. In estrema sintesi e a mero titolo esemplificativo: il disabile non è un oggetto da portare al cinema, tanto per dire che si fa qualche cosa per lui, ma, se va al cinema, ci deve poter andare quando fa piacere a lui.
Oppure, se va ad un incontro politico, o a trovare degli amici, o in libreria e così via, è evidente che è diritto fondamentale del disabile poterci andare nei tempi da lui scelti. Mentre non è detto che ciò sia sempre possibile, o comunque è in ogni caso più complicato, se mi si costringe a dipendere dall’assistenza personale quando non indispensabile.

Partecipazione

Si evidenzia pure che questo punto dei modi e dei tempi “scelti” dal disabile, non solo è inequivocabilmente chiaro e precettivo nell'articolo ora in esame, ma è anche una costante di tutta la Convenzione. Nel senso che un aspetto fondamentale, presente in tutta la Convenzione, è che devono essere i disabili a decidere e scegliere ciò che riguarda la propria vita. Questo si estrinseca in vari modi, con disposizioni che a volte stabiliscono la doverosità di “partecipare”, altre volte quella di essere sentiti, altre volte ancora quella appunto di lasciare la scelta la singolo disabile. Però il fatto che il ruolo attivo del disabile sia una costante dominante nella Convenzione deve far riflettere con attenzione sull'importanza di questa facoltà, che non può essere disconosciuta al disabile.

Costi sostenibili

Infine in questa lett. a) dell’art. 20 della Convenzione vene stabilito un altro parametro immediatamente vincolante per la Pubblica Amministrazione, e cioè il fatto che la mobilità deve essere realizzata “a costi sostenibili”. Anche qui, se l’Amministrazione comunale mi impone di parcheggiare a 100 o più metri di distanza, mi costringe a ricorrere all’assistenza personale. Quindi, ad esempio, se volessi esercitare il mio diritto inviolabile a stare un pomeriggio intero a quella rassegna, questo mi costerebbe almeno € 100.
Oppure mi costringe a prendere una carrozzina elettrica per uso esterno di una certa capacità e con talune caratteristiche ed un automobile adeguata per portarsi dietro tale carrozzina. Quindi un costo che, come minimo, supera gli € 20.000 per andare a quel cinema o ad una conferenza. Intendiamoci bene: quando non c’è alternativa, è chiaro che ciò va fatto. Ma quando è agevolmente possibile evitare ciò, contrasta con questo punto della Convenzione costringermi a questi costi per la mobilità.
Per essere ancora più precisi: è indubbiamente indispensabile che la collettività metta a disposizione le risorse necessarie per far sì che la mobilità personale possa essere goduta anche da quei disabili per i quali è indispensabile l’assistenza personale e/o un’adeguata carrozzina elettrica con idoneo mezzo di trasporto. Se però si costringe a sostenere questi costi anche tutti quei disabili, che potrebbero cavarsela con le proprie gambe o con carrozzine manuali, allora il costo complessivo diventa molto altro per la collettività. E quindi si torna a violare questo punto della Convenzione sui costi sostenibili e l’art. 97 Cost.
 

Ottavo motivo: la partecipazione alle attività culturali

Sempre ad evidenziare il fatto che taluni precetti sono fondamentali e dominanti in tutta la Convenzione, si osserva poi che nell’art. 30 della medesima viene stabilito che: "Gli Stati parti riconoscono il diritto delle persone con disabilità a prendere parte su base di uguaglianza con gli altri alla vita culturale e adottano tutte le misure adeguate a garantire che le persone con disabilità ................. c) abbiano accesso a luoghi di attività culturali, come teatri, musei, cinema, biblioteche e servizi turistici, e, per quanto possibile, abbiano accesso a monumenti e siti importanti per la cultura nazionale".
Si osserva pure che in questo comma della Convenzione, per quanto riguarda “monumenti e siti importanti”, viene stabilito che l’accessibilità deve essere garantita “per quanto possibile”. Al fine delle pedonalizzazioni dei centri storici diventa insomma rilevante osservare che quest’ultima dizione “per quanto possibile” non viene utilizzata dalla Convenzione a proposito dei teatri, musei e cinema. Questo indica chiaramente, pure sotto un ulteriore profilo, che l’accessibilità a queste strutture deve essere comunque garantita. Ed è quindi sicuramente illegittimo, con le pedonalizzazioni, rendere l’accessibilità a questi edifici più difficile di quanto lo è già.
 

Nono motivo: l'illegittimità giuridica di certe pedonalizzazioni

Non potendo dedurre dal verbale di contravvenzione il motivo per cui è stato fatto, ho telefonato alla polizia municipale per chiarimenti. Trovo inammissibile che si debba telefonare per capire il motivo della contravvenzione, e questo è un ulteriore motivo che rende illegittimo il verbale. Inoltre non so quale rilievo si possa dare a quello che mi è stato detto per telefono.
Tuttavia ci sono dei motivi giuridici di ordine più generale, che rendono ancor più illegittimo vietare l'accesso e la sosta ai disabili nelle zone pedonali.
Queste “pedonalizzazioni” sono senza dubbio provvedimenti positivi, se non altro sotto il profilo della realizzazione e salvaguardia di alcuni di quei valori, che sono al vertice dell'ordinamento costituzionale.
Tuttavia il fatto decisivo da osservare è che la salvaguardia di questi diritti fondamentali deve essere realizzata senza pregiudicare altri diritti parimenti importanti, eventualmente coinvolti. E non c'è alcun dubbio che i diritti fondamentali delle persone disabili hanno pari rilevanza giuridica di quelli delle persone cosiddette normodotate. E questo tipo di pedonalizzazioni, che mi pare onesto definire “selvagge”, incidono pesantemente sui diritti fondamentali di chi ha gravi disabilità.
A questo fine è dunque essenziale rilevare che, quando si tratta di pedonalizzazione e persone veramente disabili, la salvaguardia dei diritti fondamentali, che vengono coinvolti, non crea affatto conflitti, se ci sono la volontà e la capacità di lavorare seriamente.
In primo luogo va rilevato che, per quanto riguarda sia il possesso che l'utilizzo dei “contrassegni arancioni” per disabili, ci sono abusi davvero eccessivi.
Innanzitutto ci sono molti abusi riconducibili a fatti, diciamo così, di costume diffuso e che possono essere così elencati:
  • utilizzo di contrassegno intestato a persone defunte;
  • utilizzo di contrassegno falso o falsificato;
  • utilizzo di contrassegno intestato a chi è ricoverato permanentemente;
  • utilizzo di contrassegno intestato a persone, che non escono mai di casa;
  • utilizzo del contrassegno su un’auto, che in quel momento non è al servizio di una persona disabile;
  • persona disabile titolare di contrassegno, che viene fatta salire appositamente in auto per consentire ad una o più persone non disabili di beneficiare del contrassegno;
  • persona disabile che utilizza il proprio contrassegno per accompagnare persone normodotate in luoghi dove altrimenti queste dovrebbero andare senza auto;
  • interpretazione discutibile della dizione “con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta”, di cui al co. 1 art. 12 DPR 503 del 1996, durante l’accertamento medico per il rilascio del contrassegno;
  • interpretazione discutibile della dizione “con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta” durante l’accertamento medico per il rinnovo del contrassegno.
Sono abusi così palesi che è perfino semplice individuare dei rimedi. Se è semplice per un cittadino qualunque, tanto più sono tenuti a farlo le istituzioni pubbliche:
  • la dizione “al servizio del disabile”, di cui al n. 2) del co. 1 dell'art. 3 e al co. 1 dell'art. 188 del Codice della Strada: sarebbe opportuno riformulare questa disposizione in modo da richiedere, come minimo, che il disabile sia a bordo del veicolo durante l’utilizzo del contrassegno. Durante l'incontro in cui discuteva queste pedonalizzazioni selvagge con le organizzazioni “dei” disabili, l'allora sindaco Renzi disse che la mia proposta in tal senso era l'unica valida, che era emersa dall'incontro. Però poi si è guardato bene dall'attuarla;
  • la dizione “con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta”, di cui al co. 1 art. 12 DPR 503, andrebbe specificata meglio;
  • probabilmente è poi insufficiente il fatto che quest’ultimo DPR preveda un solo tipo di contrassegno. Fra l'altro c'è chi può comunque camminare per 100 o 200 metri, e chi invece può camminare solo per pochi metri. Si tratta di due situazioni oggettivamente diverse, che sarebbe doveroso regolamentare in maniera differente;
  • la procedura di rinnovo è irragionevolmente complicata per le persone con gravi disabilità permanenti o progressive, mentre è troppo semplice per gli altri titolari del contrassegno (prima arancione e ora) celeste.
Va poi aggiunto con pari rilievo che tali abusi non sono in alcun modo imputabili a chi è veramente disabile, e quindi non vi è nessuna ragione giustificabile per far ricadere su queste persone le difficoltà da affrontare per via di tali abusi. Anche la pattuglia di carabinieri che si fermò prontamente ad aiutarmi mi faceva notare che è davvero inammissibile che gli abusi di chi è normodotato vengano fatti ripagare a chi non lo è.
Ed è in un contesto del genere che si inseriscono due distinte decisioni nelle quali la Corte di cassazione civile ha stabilito che il contrassegno (prima arancione e ora) celeste “autorizza la circolazione e la sosta …….. anche all'interno ……… delle aree pedonali urbane” (sentenza n. 719 del 16 gennaio 2008), e ciò vale a prescindere da quello che viene registrato o meno nelle varie apparecchiature telematiche (sentenza n. 1292 del 22 gennaio 2008). Sono sentenze molto chiare e forti davanti alla quale sia il Comune di Firenze sia la polizia municipale si devono inchinare.
Va poi sottolineato il fatto che l'inderogabilità della solidarietà dell'art. 2 Cost, i precetti dell'art. 3 Cost. e la dignità tutelata da varie disposizioni di primaria importanza giuridica non possono essere affatto rispettati se non si tiene conto della realtà. Si ribadisce dunque che non sono le auto dei pochi disabili gravi, che si trovano nella situazione di dover accedere e sostare in certe zone pedonali, a pregiudicare in alcun modo la vivibilità e la salubrità dei centri cittadini.
Tanto più che esistono vari modi, anche cumulabili tra loro, per far sì che nelle zone pedonali possano accedere soltanto i veri disabili, che non possono fare diversamente.
Va anche precisato che la Corte costituzionale ha più volte chiarito che sull’integrazione sociale dei disabili convergono i valori fondamentali della Costituzione (sentenze n. 38 del 1960, n. 52 del 1985, n. 1088 del 1988, n. 346 del 1989, n. 406 del 1992, n. 88 del 1993, n. 193 del 1994, n. 167 del 1999, n. 341 del 1999, n. 329 del 2002, n. 467 del 2002, n. 350 del 2003 e n. 233 del 2005). Quindi è necessario essere consapevoli che, se si vuole rimanere nella legalità, quando si tratta di alcune necessità del disabile, non si ha a che fare con questioni di secondaria importanza.
In proposito va osservato che certe pedonalizzazioni incidono sul diritto inviolabile (anche dei disabili) all’integrazione sociale, così come tutelato anch’esso dall’art. 2 Cost.
Esse incidono anche sulla libertà di circolazione, di cui all’art. 16 Cost. nonché sulla libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero dell'art. 21 Cost. A quest'ultimo proposito si rileva che, secondo qualche autorevole giurista, si tratta della libertà più fondamentale di tutte fra quelle garantite dalla Costituzione. Il fatto è che questa libertà include quella di poter formare il proprio pensiero, e a tal fine la libertà di frequentare manifestazioni culturali è essenziale.
Tornando al co. 1 dellart. 3 Cost. è rilevante osservare che costringere taluni disabili a parcheggiare a 100 o più metri di distanza significa porli in una situazione impossibile, e quindi vuol dire essere irragionevoli.
È poi comunque indiscutibile che vi sia in ogni caso violazione del secondo comma dell’art. 3 Cost. quando viene fatto qualcosa, che va in una direzione opposta a quella da esso indicata.
È molto importante osservare che il “modello sociale” è stato recepito sia nella lett. e) del Preambolo che nell’art. 1 della Convenzione Onu sui disabili. Questo “modello” che  attualmente è giuridicamente vincolane in Italia, ribalta diverse cose. Esso stabilisce infatti che la disabilità non è più un fatto riconducibile al singolo, bensì è causata dal modo in cui è organizzata la collettività. Ciò impone di osservare ben maggiori cautele nel porre dei limiti, in questo caso alla mobilità, delle persone disabili.
Venendo alla legislazione ordinaria, va in primo luogo osservato che, nella sua prima versione, il n. 2) del co. 1 dell'art. 3 del Codice della Strada definiva come “AREA PEDONALE URBANA: zona interdetta alla circolazione dei veicoli, salvo quelli in servizio di emergenza e salvo deroghe per i velocipedi e per i veicoli al servizio di persone con limitate o impedite capacità motorie, nonché per quelli ad emissioni zero aventi ingombro e velocità tali da poter essere assimilati ai velocipedi.
Dunque è lo stesso Codice della Strada ad attribuire ai veicoli al servizio dei disabili lo stesso rilievo previsto per le biciclette e per i mezzi ad emissioni zero di piccole dimensioni. Ed è quindi lo stesso Codice della Strada a riconoscere che non sono i singoli veicoli dei disabili veri a rovinare la vivibilità delle aree pedonali.
Inoltre il co. 1 dell’art. 11 del DPR 503 del 1996 stabilisce che “Alle persone detentrici del contrassegno di cui all'art. 12 viene consentita, dalle autorità competenti la circolazione e la sosta del veicolo al loro specifico servizio, purché ciò non costituisca grave intralcio al traffico, nel caso di sospensione o limitazione della circolazione per motivi di sicurezza pubblica, di pubblico interesse o per esigenze di carattere militare, ovvero quando siano stati stabiliti obblighi o divieti di carattere permanente o temporaneo, oppure quando sia stata vietata o limitata la sosta”.
Insomma l'accesso e la sosta delle auto dei disabili nelle zone pedonali è la regola, e i divieti in proposito sono ammessi solo in pochissimi casi.
Infatti le agevolazioni per le auto dei disabili sono previste:
  • per limitazioni “per motivi di sicurezza pubblica, di pubblico interesse”, insomma i motivi che possono indurre a creare le aree pedonali;
  • ma anche per limitazioni dovute pressoché ad ogni motivo con la dizioni “ovvero quando siano stati stabiliti obblighi o divieti di carattere permanente o temporaneo, oppure quando sia stata vietata o limitata la sosta”;
  • per di più le agevolazioni sono estese addirittura anche ai casi in cui le limitazioni sono stabilite “per esigenze di carattere militare”.
In un contesto normativo del genere pare difficile che le amministrazioni comunali possano legittimamente penalizzare i disabili con divieti brutali per le aree pedonali.
A proposito di questo art. 11 del DPR 503 si osserva pure che al co. 2 esso stabilisce che: “Le facilitazioni possono essere subordinate alla osservanza di eventuali motivate condizioni e cautele.”
Innanzitutto è ribaltato l’approccio rispetto alla prima versione del n. 2) del co. 1 dell'art. 3 del Codice della Strada: si conferma che le agevolazioni per i disabili non sono più possibili “deroghe”. Viceversa sono i limiti eventualmente posti a carico dei disabili a costituire possibili eccezioni alla regola generale dell’accessibilità.
Inoltre tali “facilitazioni” possono essere “subordinate”, ma non impedite, da eventuali condizioni e cautele e devono essere, ovviamente, adeguatamente motivate, cosa questa che sembra spesso mancare.
Si può insomma osservare che eventuali limitazioni poste ai disabili possono essere soltanto delle eccezioni per situazioni davvero particolari. Quindi, anche sotto questo profilo, è inammissibile che il Comune di Firenze utilizzi queste imitazioni come metodo diffuso per gestire le zone pedonali. Ovvero il divieto di accesso e sosta per i disabili nelle zone pedonali non può essere un sistema generalizzato per la gestione del traffico urbano.
A tutto questo va aggiunto che la lett. a) del co. 1 dell’art. 1 della legge 104/92, quindi la prima disposizione della legge-quadro sull’handicap, stabilisce che: “La Repubblica: - a) garantisce …… i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione …. nella società”.
Si evidenzia che questa disposizione di legge non si limita a disporre della libertà e dell’autonomia dei disabili, ma vi premette che si tratta di diritti, con l’ulteriore rafforzativo che tali diritti devono essere garantiti. Inoltre, a maggiore chiarimento e garanzia, vengono specificate sia le libertà che l’autonomia.
Dunque, anche sotto questo profilo di una norma contenuta comunque in una legge quadro, i diritti fondamentali dei disabili devono essere in ogni caso salvaguardati, e non possono quindi essere tenuti in spregio con le pedonalizzazioni.
Questo perché, con certe pedonalizzazioni, si incide negativamente sulle libertà, sull’autonomia e sull’integrazione sociale delle persone disabili.
A tutto questo va aggiunto che, diversamente da quanto è sinora accaduto nelle tradizionali Carte fondamentali, nella Convenzione Onu sui disabili c’è sì il quasi solito articolo sulla libertà di circolazione (l’art. 18), ma in più c’è l’art. 20 sulla mobilità per i disabili. Ciò a sottolineare l’essenzialità di garantire non solo in astratto, ma anche in concreto, la possibilità per i disabili di muoversi liberamente.
In precedenza in questo scritto è stato esaminato il rilievo dell'art. 20 della Convenzione cit.
A questo va aggiunto che nell’art. 26 della Convenzione si stabilisce la necessità di “misure efficaci ed adeguate” per “ottenere e conservare la massima autonomia, le piene facoltà fisiche, mentali, sociali e professionali, il pieno inserimento e la piena partecipazione in tutti gli ambiti della vita”. È evidente, per i motivi visti esaminando l’art. 20 più sopra, che prevedere le pedonalizzazioni senza talune agevolazioni per i disabili, significa cozzare pure contro i principi appena visti in questo articolo.
Si osserva poi che pure in questo articolo la Convenzione torna sul precetto dei “costi accessibili”. E quindi se ne sottolinea l’importanza.
Anche il rilievo giuridico in proposito dell'art. 30 della Convenzione cit. è stato esaminato in precedenza.
Vediamo ora la seconda versione dell’articolo 3 dell’attuale Codice della Strada.
In apparenza il punto cruciale per certe pedonalizzazioni parrebbe sia dato dal fatto che, con l'art. 01 del decreto legge 27 giugno 2003, n. 151 (così come integrato dalla relativa legge di conversione di cui all'art. 1 della legge 1° agosto 2003, n. 214), il n. 2) di detto comma del Codice della Strada è stato così riformulato:
AREA PEDONALE: zona interdetta alla circolazione dei veicoli, salvo quelli in servizio di emergenza, i velocipedi e i veicoli al servizio di persone con limitate o impedite capacità motorie, nonché eventuali deroghe per i veicoli ad emissioni zero aventi ingombro e velocità tali da poter essere assimilati ai velocipedi. In particolari situazioni i comuni possono introdurre, attraverso apposita segnalazione, ulteriori restrizioni alla circolazione su aree pedonali.
Innanzitutto, in questa nuova formulazione, viene ribadita la facoltà per i veicoli al servizio dei disabili di entrare nelle zone pedonali e si attribuisce di nuovo a tali veicoli lo stesso rilievo previsto per le biciclette. Inoltre questa facoltà non è prevista più come deroga, bensì entra nella definizione stessa di zona pedonale Ma soprattutto tale facoltà è parificata a quella prevista per i mezzi di emergenza e le biciclette, e diventa di rango superiore rispetto a quanto previsto per i mezzi ad emissioni zero.
Viene insomma ribadito, e quindi anche consolidato, quanto già visto a proposito del co. 1 dell’art. 11 del DPR 503 del 1996, e cioè che la facoltà per i disabili di entrare nelle zone pedonali non è più una deroga, bensì è riconosciuta per legge. Inoltre è difficile immaginare un’area pedonale dove è precluso l’accesso ai mezzi di emergenza e alle biciclette. Anche sotto questo profilo è perciò difficile immaginare la legittimità di brutali limitazioni a danno dell’accessibilità dei disabili.
Nonostante tutto ciò, si sostiene che certe pedonalizzazioni sarebbero giustificate dal fatto che, in questa nuova formulazione del punto in questione è stata aggiunta la frase: “In particolari situazioni i comuni possono introdurre, attraverso apposita segnalazione, ulteriori restrizioni alla circolazione su aree pedonali”.
In primo luogo va osservato che questa frase inizia con "In particolari situazioni", cioè a sottolineare che le "ulteriori restrizioni" devono essere adeguatamente motivate per situazioni particolari. E il fatto che tali "ulteriori restrizioni" sono ammissibili soltanto per situazioni davvero eccezionali è ulteriormente rafforzato dall’aver previsto che deve essere messa “apposita segnalazione” (e quindi, oltretutto, non è certo sufficiente qualsivoglia atto amministrativo dell’autorità competente, neppure se oggetto di un comunicato stampa). Viceversa, nonostante questi due limiti posti nella stessa frase, tutta una serie di pedonalizzazioni non sono realizzate per situazioni particolari, bensì denotano il positivo e condivisibile, ma di ordine generale, obbiettivo di rendere più vivibili i centri storici.
Inoltre parrebbe difficile poter utilizzare questa frase per brutali limitazioni a danno dei disabili poiché tale frase è stata introdotta nell’ordinamento proprio dallo stesso capoverso che ha elevato al massimo rango la tutela prevista per l’accesso delle auto dei disabili alle aree pedonali.
Sempre a proposito di questa frase del Codice della Strada va poi rilevato che il co. 3 dell’art. 2 della legge n. 67 del 2006 sulla non discriminazione dei disabili stabilisce che: “Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”.
Si tratta di una legge successiva a quella che ha aggiunto la frase sopra riportata al Codice della Strada. Inoltre quest’ultima legge n. 67 è una legge speciale, mentre il Codice della Strada è una disposizione di carattere generale.
Per questi due motivi, detta frase del Codice della Strada deve essere interpretata alla luce della disposizione della legge n. 67 appena riportata. Cioè a dire che, anche da questo punto di vista, ulteriori restrizioni, eventualmente stabilite per le zone pedonali, non possono essere tali da porre i disabili in concreto, cioè nella vita vera, al di là di favole di comodo, “in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”. Insomma le restrizioni non possono essere tali da impedire ai disabili veri di esercitare i diritti fondamentali.
Infine, ma non meno rilevante: tale frase del Codice della Strada va senza dubbio interpretata alla luce dei numerosi e importanti parametri vincolanti stabiliti dalla Costituzione, dal DPR 503 del 1996, dalla legge 104/92 e della Convenzione Onu sui disabili, che abbiamo visto nel corso di questo scritto.
Stando doverosamente nella realtà della vita vera, supponiamo che, trovandosi costretto dalle pedonalizzazioni “selvagge” a parcheggiare lontano, durante il percorso da fare purtroppo la persona disabile cada, o si ribalti con la carrozzina, e che questo causi un  trauma cranico, il quale magari provoca poi gravi lesioni o la morte.
Qualora l'autorità competente in materia sia stata preventivamente consapevole della situazione di pericolo creata e del fatto che è pregiudicata la possibilità di esercitare i diritti fondamentali, viene da chiedersi se una grave lesione o una morte del genere sarebbero non rilevanti sotto il profilo penale. Oltre a ulteriori considerazioni di vario genere, che ognuno può fare nella propria coscienza.
 

Decimo motivo: la scrittura del ricorso

Per me scrivere materialmente questo ricorso sarebbe un sacrificio fisico enorme per cui sono dovuto ricorrere ad un assistente personale, che ho dovuto pagare. Quindi, con questa contravvenzione, il Comune di Firenze, non solo non ha in alcun modo rimosso gli ostacoli, che devono incontrare i disabili, ma me ne ha creati ulteriori. Tutto questo nel più completo spregio della legalità e nel più totale trionfo della povertà interiore di chi fa queste cose.

CHIEDO

Al Prefetto di Firenze di annullare la contravvenzione allegata senza spese per il sottoscritto.
Se i motivi sovraesposti vengono considerati insufficienti, chiedo alla S.V. di ricevermi, di salire nella mia auto al mio fianco e di venire con me sul luogo dove è stata fatta la contravvenzione per consentirmi di capire come avrei dovuto comportarmi per rispettare pienamente la legalità.
Con ossequio,
 
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