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 Convegno internazionale “Vivere indipendentemente dalla disabilità”, Roma, 4 maggio 2011,
 
Per far sì che la vita indipendente si affermi in Italia ci sono un paio di difficoltà preliminari da superare.
In primo luogo è necessario accrescere la consapevolezza di sé delle persone disabili, soprattutto per evitare che venga attribuito a chi non è disabile un ruolo che non ha nulla a che vedere con la vita indipendente, e tanto meno con il buon senso. Ciò soprattutto per far sì che le vere esigenze di chi ha gravi disabilità vengano tenute in considerazione più di quanto è stato fatto, solo ad esempio, nello stabilire l’orario ufficiale di inizio stamattina per questa giornata.
In secondo luogo c’è la necessità di una maggiore consapevolezza di ciò che si può pretendere da un punto di vista giuridico. Troppo spesso vengono utilizzati solo pochissimi degli strumenti e degli argomenti giuridici, che ci sarebbero a disposizione.
 
Venendo alle questioni più specifiche da rivendicare, innanzitutto va respinto il fatto che, per la vita indipendente, sia possibile ricorrere soltanto ad assistenti personali accreditati presso gli enti pubblici. In Toscana, per ora, siamo riusciti ad ottenere un articolo di legge per cui questo non è richiesto per la vita indipendente. Il fatto è che accreditamento degli assistenti personali e vita indipendente sono antitetici sotto vari punti di vista.
 
La seconda questione da rifiutare è quella dei vouchers. In estrema sintesi si può dire che quelli dell’Inps sono costosissimi, e comunque non applicabili per la vita indipendente. Inoltre, costringerci ai vouchers, significherebbe ridurre la possibilità di scelta degli assistenti personali, complicare la ricerca di questi e sovraccaricare il costo dell’assistenza personale di oneri inutili per la prestazione. Perciò i vouchers sono da rifiutare. In Olanda, dopo essere stati adottati, sono stati messi da una parte perché causavano troppi problemi. E, se non ricordo male, anche in Belgio è stata vinta una lotta contro i vouchers.
 
La terza grossa questione è quella dell’Isee (in inglese “means test”). Secondo me è stata una delle più grosse schifezze fatte dal governo Prodi, soprattutto perché cozza contro il principio di eguaglianza contenuto in primo luogo in ambedue i commi dell’articolo 3 della Costituzione. Enil, fin dalla prima dichiarazione di Strasburgo del 1989, ha rifiutato questo. In Toscana siamo riusciti ad ottenere una norma di legge che esclude l’handicap grave dall’Isee. Alcuni di voi avranno già letto qualcosa in proposito. La Regione sta cercando di ridurre questa nostra conquista. Comunque domani altri spiegheranno meglio il punto.
 
La quarta questione è quella della rendicontazione del denaro ricevuto per la vita indipendente. È un grosso problema presente in molti paesi europei. In primo luogo va accennato al fatto che neppure in Svezia è richiesta la rendicontazione di tutto il denaro ricevuto. Ma soprattutto va sottolineato che questa rendicontazione è possibile laddove, come in Scandinavia, si ricevono somme sufficienti per avere sempre tutta la necessaria assistenza personale, ed è quindi ben possibile documentare di essere in regola con la normativa vigente. Viceversa è un atteggiamento per lo meno da menefreghisti esigere la rendicontazione quando le somme erogate sono così basse da costringere al contorsionismo semplicemente per sopravvivere.
Per quanto riguarda le linee guida del Ministero dell'ottobre 2014 ad un primo sommario esame si rilevano una serie di punti che paiono cozzare palesemente, se non altro, con i principi fondamentali della Costituzione e della Convenzione dell'Onu sui disabili.
In primo luogo il testo è stato diffuso in PDF formato immagine, cioè il più difficile per i non vedenti.    Non ci voleva niente ad un minimo di attenzione in più.    Tanto per dare un’idea del livello a cui sono.
 
  Al punto 3.1 delle linee guida è previsto che per i servizi per la vita indipendente vengano stabiliti criteri per “l'autorizzazione, funzionamento, riconoscimento, accreditamento”.
  Il fatto è che la vita indipendente è prima di tutto la possibilità di esercitare in concreto i diritti inviolabili nonché, fra i quali, aspetti privatissimi della propria intimità.    Fra queste libertà inviolabili c'è innanzitutto la libertà personale, poi la libertà di movimento, di manifestazione del pensiero, ecc.     Si tratta di diritti il cui esercizio è assolutamente insindacabili da chicchessia, e quindi anche dalla pubblica amministrazione.    Inoltre, il principio fondamentale, sia della Costituzione che della Convenzione Onu sui disabili, è l'eguaglianza.    E nessuna persona normodotata è sottoposta a criteri minimi, ad autorizzazioni, a riconoscimenti, ecc. su come intende lavare le proprie parti intime, sui criteri per decidere a quali manifestazioni pubbliche partecipare, sullo stabilire quando e come manifestare il proprio pensiero, ecc.    In più, per chi ha gravi disabilità, si tratta spesso di persone particolarmente vulnerabili e/o che è particolarmente agevole condizionare per via della notevole dipendenza materiale.    Per questi motivi, l'insindacabilità in tema di diritti fondamentali e di intimità è particolarmente importante per la vita indipendente di queste persone.
  A tutto questo va aggiunto che tutta la letteratura internazionale in tema di assistenza personale stabilisce che ci sia la totale libertà di scelta da parte dell'utente e che sia il singolo disabile a fare la selezione e la formazione.
  Inoltre, chi ottiene autorizzazioni e accreditamenti, di solito si fa pagare di più di chi non ha tutto ciò.    Poiché, per di più, tali autorizzazioni sono controproducenti ai fini della vita indipendente, ne consegue che questo punto è anche incompatibile con il fatto che i fondi erogati sono ampiamente insufficienti rispetto alle necessità.
  Pertanto per i servizi per la vita indipendente non devono essere stabiliti criteri per ”l'autorizzazione, funzionamento, riconoscimento, accreditamento”.
  In tutte le esperienze serie di vita indipendente è indispensabile e pacifico che i disabili possono scegliere senza limiti le prestazioni di cui hanno necessità.  La selezione della qualità si ottiene non con un filtro da parte della pubblica amministrazione ma lavorando sulla consapevolezza da parte delle persone disabili. Questo per 2 motivi. Uno specifico, e cioè che solo il singolo disabile è sovrano assoluto della propria intimità e dei propri diritti inviolabili.  Il secondo motivo più generale, e cioè che oggi è ormai pacifico che i disabili sono esperti in tema di servizi per superare la disabilità molto più degli organi della pubblica amministrazione.
Sotto i profili e della legittimità costituzionale e dell'opportunità, su questo disegno di legge
delega ci sarebbero un infinità di osservazioni critiche. Qui ci si può limitare soltanto a quelle
principali.
E' prevista la delega al Governo per l'emanazione del decreto legislativo su tutta la materia. Solo
che questa materia riguarda in larga misura la concreta possibilità di esercitare i diritti qualificati
dalla Costituzione come inviolabili. E in una materia di tale importanza, in uno Stato non
dittatoriale, l'approvazione dovrebbe essere interamente attraverso una legge del Parlamento.
E' prevista la consultazione dei principali sindacati, ma non quella delle organizzazioni di disabili.
Vengono messi insieme disabili ed anziani. Tralasciando altre importanti considerazioni, va
osservato che è palese la violazione dell'art. 3 della Costituzione, se non altro perché le esigenze
di vita di un disabile ventenne sono sicuramente molto diverse da quelle di una persona di ottanta
anni. E quindi vi è anche violazione del diritto inviolabile (secondo la Corte costituzionale) al pieno
sviluppo della propria personalità.
Viene creata una nuova categoria, quella della non autosufficienza. Con la conseguente necessità
di un ulteriore accertamento socio-sanitario a carico del disabile. Il fatto è che, a carico di queste
persone, sono già previste circa una decina di accertamenti socio-sanitari. Quindi prevedere un
ulteriore accertamento contrasta con ambedue i commi dell'art. 3 della Costituzione, perché è un
appesantimento irragionevole per la vita di queste persone. E contrasta anche con l'art. 97 della
Costituzione perché rende il funzionamento della pubblica amministrazione ancor più farraginoso.
La violazione dell'art. 3 della Costituzione è ancora più grave perché detto appesantimento viene
disposto in periodo in cui, invece, ad esempio per le imprese, si sta attuando la semplificazione
amministrativa.
Continuando nell'esame del disegno di legge si accenna ad alcune tra le questioni che ci sarebbero
da esaminare.
Sembra si voglia intendere la vita del disabile come confinata al proprio domicilio, anziché inserita
nella collettività. E' evidente che questa interpretazione non può passare. Però si pone a carico dei
disabili l'ulteriore onere di dover ricorrere a far valere questa interpretazione.
E' previsto il coinvolgimento del “terzo settore” nella predisposizione del piano è personalizzato.
Ciò non può che partire da una visione del disabile come essere inferiore. Diversamente, quando
possibile, non potrebbe essere infatti prevista altro che la facoltà per il soggetto di autodetrminare
interamente la propria vita.
E' prevista l'applicazione dell'Isee, sul quale si rimanda ad altro scritto. Salvo osservare che sono
disposti controlli più severi a carico dei disabili. E questo a fronte di una situazione in cui i politici
hanno privilegi a non finire e gran parte delle imprese italiane non potrebbero produrre alcun
profitto senza consistenti finanziamenti pubblici diretti e indiretti
Sono ancora previste “prestazioni residenziali”, il che vuol dire tornare ancora una volta agli
istituti, salvo cambiarne il nome.
E' previsto un mastodontico, tanto costosissimo quanto inutile, “osservatorio sulla disabilità”,
tanto per sperperare ulteriori risorse.
E' previsto il passaggio di alcune prestazioni destinate ai disabili dal sanitario al sociale, il che vuol
dire rendere la loro erogabilità ancora più precaria, ed allontanarsi ancora di più dal precetto
costituzionale di garantire talune prestazioni essenziali come immediatamente esigibili.
A rendere più tragico il tutto c'è il fatto che non pochi di questi elementi aberranti erano presenti
anche nella proposta di legge approvata, quasi all'unanimità dagli stessi disabili, dalla cosiddetta
assemblea nazionale sulla vita indipendente a Roma all'inizio dello scorso ottobre. E che questo
disegno di legge è stato elaborato da un Ministro della cosiddetta Rifondazione comunista, che fa
quindi peggio degli ultimi tempi della vecchia DC, e fa pensare ai periodi bui dell'Urss
bresneviana.
Poiché si tratta di un disegno di legge, cioè di una proposta di legge presentata dal Governo, è
inverosimile pensare che non venga approvato. D’altra parte, poiché i punti inaccettabili sono fin
nei lineamenti di fondo del disegno di legge, non è realistico pensare che possa essere reso
accettabile attraverso degli emendamenti. Perciò non rimane che sperare in una caduta del
Governo Prodi.
 
Raffaello Belli

In relazione al convegno sulla vita indipendente organizzato a Roma il 4-5 maggio 2011 da ENIL, a proposito della giornata del 4 maggio, alla quale ho partecipato, potrebbero essere opportune alcune osservazioni.

In primo luogo, rispetto ad altri convegni di Enil, ci sono stati alcuni importanti passi avanti.

Finalmente c’era la traduzione simultanea, la cui mancanza aveva creato grossi problemi, ad esempio, al convegno tenuto alcuni anni fa a Valencia in Spagna. Erano previsti alcuni rimborsi spese per i partecipanti. C’erano a disposizione alcuni mezzi di trasporto accessibili e gratuiti.

In sala c’erano alcuni schermi video, che consentivano anche di leggere le relazioni (sebbene questa possibilità fosse in parte vanificata dalla troppa luce presente). C’era un buon buffet (anche se in una parte della sala dove la presenza del sole, attraverso le vetrate, era davvero opprimente e i tavoli erano pochi per i disabili presenti).

In secondo luogo, mi sembra ci siano state una serie di fatti che potrebbero meritare un po’ di riflessione. Tanto più se, alla luce di quanto ho visto quel giorno, non posso non ricordare le parole di Teresa Serra, secondo cui la vita indipendente è una “rivoluzione copernicana”. Infatti vita indipendente dovrebbe voler dire essenzialmente che il disabile non deve adattarsi ai servizi ed alle situazioni, bensì le situazioni ed i servizi devono essere organizzati in base alle esigenze del disabile.
Per il convegno del 4-5 maggio la possibilità di dormire era, mi è stato detto, dal lato opposto di Roma, ad un’ora di macchina (in una giornata senza ingorghi) dalla sala del convegno. Il fatto è che, per chi ha gravi disabilità, la mattina possono essere necessarie anche due o tre ore per essere pronti, per cui il dover essere così distanti dalla sede del convegno potrebbe aver richiesto delle levatacce anche molto pesanti. Ricordo moto bene l’ovvietà con cui mi trovai d’accordo con Teresa negli sforzi che lei fece affinché le prime due conferenze che si fecero in Italia sulla vita indipendente si tenessero nello stesso luogo dove si dormiva. Ed a questo prestai molta attenzione anche a proposito di quel grosso convegno sulla patente di guida che facemmo a Firenze all’inizio degli anni ’90. Per non dire poi che tenemmo presente quest’aspetto anche per alcuni incontri di “ENIL Italia”.
Un discorso analogo vale per il fatto che l’inizio della conferenza fosse previsto per le 9. Ricordo, a proposito di molti convegni organizzati, che si è sempre prestato attenzione a non prevedere l’inizio troppo presto ed ho notato che era un necessità risaputa e condivisa da tutti.
Purtroppo poi questo aspetto non è finito qui, tanto da sconfinare in un fatto che potrebbe essere definito una barzelletta, tanto più se aggiunto al problema appena visto. Da bravo bischero di fiorentino, alle 9.15 ero nella sede del convegno. Devo dire che c’era già anche l’on. Battaglia, credo assai più abituato di me ai cosiddetti “orari romani”. Forse anche lui avrà riflettuto sul fatto che sì eravamo a Roma, ma era sempre un convegno internazionale. Ebbene, nonostante che l’inizio del convegno fosse previsto per le ore 9.00, alle 9.15 la sala era tutta da organizzare, mancavano anche le sedie. Ho partecipato a oltre 100 convegni in tutto il mondo, ma una cosa del genere non mi era mai capitata. Certo, un disguido può sempre succedere, come giustamente si sono scusati gli organizzatori. Però, nei giorni precedenti, mi sarei assicurato almeno 2 o 3 volte per essere certo che la sala fosse stata pronta. Tanto più in considerazione dell’orario di inizio assai presto la mattina, con i problemi esposti sopra.
Insomma il convegno è iniziato alle 10.35, mentre un disabile grave che avesse preso (stupidamente?) tutto sul serio, magari si sarebbe alzato alle cinque (con tutto quello che può comportare una cosa del genere con una grave disabilità) per essere puntuale. Ovvero, capisco che è complicato organizzare un convegno per disabili, dovendo tener presente sia l’accessibilità che l’esigenza di spendere meno possibile. Però, un conto è dire: ok, non è stato possibile fare meglio di così, siamo consapevoli delle difficoltà che questo comporta per i disabili, per cui prestiamo attenzione ad altri dettagli, appunto l’orario di inizio, la puntualità nell’inizio, e così via. Altro conto è invece mostrare chiaramente di non tener conto di questi elementi, il che fa pensare ad una grave non consapevolezza.
Alle sede del convegno il luogo dove erano i bagni non era indicato e nei bagni non c’era neanche l’ombra della carta igienica e nulla per asciugarsi le mani. Ma soprattutto i bagni erano a oltre 50, forse 100 metri dalla sala del convegno. Ad esempio, se io fossi andato lì da solo con la mia auto e il mio deambulatore, come faccio spesso per i convegni in Toscana e dintorni, non sarei potuto andare in bagno ed avrei dovuto fare come i cani. Di sicuro un aspetto centrale della vita indipendente è quello di manifestare tutte le proprie necessità a chi fa l’assistenza personale. Non mi riesce di capire quali capacità ci siano di manifestare tutti i propri bisogni quando si trascurano aspetti così elementari.
Prima di addentrarci in altre questioni, mi rimane da osservare che una sessione nel pomeriggio era stata chiamata “tavola rotonda”, ma in realtà i relatori andavano al tavolo uno alla volta senza nessuna discussione tra di loro. E osservo questo certamente non per cercare il pelo nell’uovo, bensì perché ancora una volta viene data chiaramente l’immagine che si usino le parole tanto per fare.

Mi ha poi colpito molto che tutte le sessioni fossero presiedute da un/a non disabile, e, peggio ancora, quel/la non disabile commentava al termine della medesima ogni relazione di ciascun/a disabile.
Sicuramente lascerebbe molto perplessi un convegno per la liberazione dei neri presieduto da un bianco, e tanto più dove un bianco commenta ogni intervento di ciascun nero. Parimenti lascerebbe molto perplessi un convegno per l’emancipazione delle donne presieduto da un uomo, e tanto più dove un uomo commenta ogni relazione di ciascuna donna.
E poi mi chiedo: se, ad esempio, l’on. Battaglia, o la prof. che presiedeva il pomeriggio sono così bravi da capire tutte le mie esigenze per la vita indipendente, perché mi devo rompere le scatole ad organizzare io la mia assistenza personale e non lasciare invece che lo facciano loro?
Ma, al di là di queste battute, purtroppo assai facili, ci sono delle considerazioni a mio parere assai drammatiche da fare.
In primo luogo, un grosso problema contro cui deve cozzare il movimento per la vita indipendente è che (più o meno in buona fede) i disabili vengono ritenuti incapaci di prendere da sé una serie di decisioni. Se però sono già i disabili stessi a chiedere che ci sia il “babbo” o la “mamma”, che presiede il convegno e ci conferma quali sono le cose giuste che diciamo, allora siamo noi i primi che diciamo di essere inferiori. E questo mentre, per far sì che la vita indipendente si affermi, è di essenziale importanza che siamo noi disabili a dare agli altri l’immagine di noi come esseri capaci di prendere le nostre decisioni, di dirigere le nostre azioni, di avere le nostre sicurezze.
Probabilmente si può dire che, insieme a quello delle risorse, il tema centrale della vita indipendente è quello di mettere al centro dell’attenzione i bisogni veri dei disabili, ed in particolar modo la libertà di autodeterminazione del soggetto (disabile).
Innanzitutto c’è chi non tiene conto in mala fede dei bisogni veri del disabile e delle libertà fondamentali del disabile. Di fronte a queste persone, se siamo noi, di nostra iniziativa, a delegare ai non disabili dei ruoli fondamentali, per certi versi anche di “tutela”, è evidente che è come dire loro: state tranquilli, il nostro è solo fumo, in realtà potete continuare a fare come sempre.
In secondo luogo, anche nel campo dell’assistenza, ci sono pure numerose persone che, in buona fede, sono vittime dei pregiudizi e dell’ignoranza, che in questa società vengono creati nei confronti dei disabili, e più in generale per quanto riguarda il rispetto degli altri.
Proprio in questi giorni riflettevo sul fatto che quando i politicanti ci negano le risorse, oppure quando alle prestazioni assistenziali indispensabili per la sopravvivenza, viene negata la veste giuridica di diritti soggettivi perfetti, in primo luogo lorsignori mostrano un’enorme cattiveria ed uno spaventoso egoismo individuale, senz’altro indice anche di una grande incapacità di capire i valori veri della vita. Va però anche detto che lorsignori non lo sanno neanche da lontano quali sono le difficoltà pratiche della vita vera a dovere, ad esempio, gestire l’assistenza personale in presenza a disabilità gravissime. Se non siamo noi ad avere la forza di imporre la verità su questo, è certo che non ne usciremo mai.
Ai fini della vita indipendente è perciò essenziale che siamo noi a dare a queste persone l’immagine giusta di noi stessi. Più in particolare, se non siamo noi a dire loro quali sono i nostri bisogni, loro non potranno saperlo mai, e quindi non potranno mai metterci al centro del loro lavoro. Ancor più esplicitamente, se non siamo noi a dire loro quali sono le nostre scelte di vita e il modo in cui intendiamo esercitare le nostre libertà fondamentali, loro non potranno saperlo mai.
Chiaramente, se deleghiamo compiti rilevanti riguardo alla nostra autodeterminazione a persone non disabili, continuiamo a dare agli altri l’immagine che non vogliamo veramente o non riusciamo ad autodeterminare la nostra vita, che facciamo questi discorsi poco più che per riempire le nostre giornate.
Infine, ma più importante di tutto, c’è il fatto che, per forza di cose noi disabili siamo le prime vittime dell’ignoranza e della non consapevolezza a cui ci costringe questa società. È un discorso duro, difficile, che, ad una prima lettura, può spingere al rifiuto, ma è la crudele realtà. Il fatto è che la consapevolezza di sé e le proprie preferenze non sono innate, ma si acquistano con il crescere. Basti pensare al bambino, che inizia a conoscere il proprio corpo o all’adolescente, che inizia ad uscire di casa da solo. Purtroppo a molti disabili vengono negate troppe di queste possibilità. Così, quando feci una dura lotta per avere la patente di guida, ci tenevo sicuramente tanto ad averla. Ma dopo mi sono accorto che avevo solo un’idea molto pallida della ricchezza di opportunità che mi sarei perso se non fossi riuscito ad ottenerla.
A volte, ai corsi per assistenti personali, ho fatto un esempio: un disabile a cui è stato sempre fatto il bagno da altri a modo loro, non può sapere come sarebbe un bagno fatto a modo suo. E gli esempi potrebbero essere moltissimi altri. Altro esempio potrebbe riguardare il fatto che un disabile, costretto sempre a chiedere i favori agli altri, potrebbe non avere la forza per esprimere quelle che sono le proprie scelte. È un discorso sul quale ci si potrebbe scrivere un libro, il fatto è che bisogna imparare ad esprimere i propri bisogni. Per molti versi è quello che viene definito dalla parola inglese “empowerment” difficile da tradurre in italiano, ma giustamente molto in voga in molti testi e discorsi sulla disabilità, e tanto più sulla vita indipendente.
Si può dire che senza empowerment non ci può essere vita indipendente. L’empowerment va però imparato. Se deleghiamo ai non disabili le presidenze ed i commenti ai nostri discorsi, non solo diamo un’immagine di noi come esseri non indipendenti, ma non impariamo neanche mai a diventare indipendenti. Certo, un bambino, quando inizia a camminare, qualche volta cade, e magari si mette a piangere, ma senza questo non imparerebbe mai a camminare.
Capisco la ragionevole intenzione di approfittare dell’opportunità di un convegno per ingraziasi le simpatie di quelli che contano. Però c’è modo e modo di entrare nelle simpatie altrui. E, almeno dal mio modo di vedere le cose, è moto triste che nessuno abbia rilevato niente sul ruolo attribuito ai non disabili.
Tralascio qui di entrare nel merito di tutto quello che è stato detto nel convegno perché il discorso si farebbe troppo lungo. Mi permetto però di osservare che l’Onorevole che è intervenuto, nel riportare acriticamente l’affermazione secondo cui per i disabili ci sarebbero molte più agevolazioni che per altre minoranze, ha mostrato chiarissimamente di non capire nulla della disabilità, se non altro perché un barbone o un rom possono perlomeno sdraiarsi a terra per dormire, evitare di doversi fare i propri bisogni addosso e bere un sorso d’acqua ad una fontana pubblica, mentre un disabile gravissimo, senza assistenza, non può fare nemmeno questi atti elementari per la sopravvivenza. Per cui, volendo agire seriamente per la non discriminazione e il diritto alla vita indipendente, mi chiedo che senso abbia decidere di sviluppare un discorso con un elemento del genere.
C’è poi chi si arrabbia, o “scappa”, quando mi permetto di fare alcune critiche. Anziché rispondere punto per punto, magari contestando cose sbagliate o non condivisibili che, anche io, come tutti, posso scrivere o dire. Purtroppo mi sembra un atteggiamento tipico da bambini, estremamente insicuri e/o per niente amati, che di fronte a qualsiasi critica si mettono a piangere o scappano. Ovvero devo con molta tristezza rilevare che resta difficile perfino fare come il ragazzino che inizia a crescere con alcune sicurezze e che risponde prontamente quando si sente sgridato ingiustamente.
In altre parole, ci sono anche molte riviste, di solito anche molto costose, dove studiosi, anche insigni, esaminano i vari aspetti dell’attività umana , nel mettere in luce i pregi ed i difetti, e magari si criticano anche tra di loro. Tutto questo perché nessun essere umano è perfetto, nessuno è Dio, e la critica reciproca (purché onesta) è indispensabile per la crescita individuale e collettiva. E si può anche tranquillamente dire che senza critica non c’è crescita e non c’è evoluzione. Potrei anche ringraziare alcune persone per le dure e preziosissime critiche che mi fecero nella mia gioventù, ma qui si andrebbe troppo lontano.
Perciò, vedere come si scappa davanti ad alcune osservazioni che mi permetto di fare mi induce a ritenere che in realtà si vuole rimanere disabili, ovvero si vuol continuare ad essere trattati da disabili, intendendo questo sostanzialmente secondo il “modello sociale” della disabilità accolto nella Convenzione Onu sui disabili. Oppure vuol dire che si ha paura a non essere trattati più da disabili, oppure mi resta molto difficile riuscire ad arrivare a ciò. Naturalmente tutto questo è ampiamente comprensibile perché uscire dalla disabilità (intesa nel senso appena accennato) è un percorso molto difficile e doloroso. Però, se non si affronta questo, la vita indipendente si affermerà soltanto in apparenza.
Il discorso sarebbe lunghissimo, anche se di essenziale importanza, per cui, per il momento mi devo fermare qui.
Sicuramente viene consentito di parlare di vita indipendente nei termini che ho visto a Roma, così come viene ben consentito di dire che la Chiesa cattolica è cristiana e così come viene detto che nell’URSS c’era il comunismo.
A me sembra però che abbiamo una strada molto lunga da fare per far sì che in Italia si affermi veramente l’autodeterminazione di chi viene reso disabile dalla collettività. Avendo sempre ben presente che, pur a seguito del “modello sociale” della disabilità accolto anche nella Convenzione Onu sui disabili, il vero problema è l’arduo compito di superare la disabilità.

Raffaello Belli