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In tutto il testo, per quanto riguarda i progetti, è stata tolta la parola “individuali” o “individualizzati”. Questa omissione, in primo luogo, risulta inammissibile perché il principio giuridico della”individualizzazione” risulta essere ormai consolidato. In secondo luogo questa omissione sembra incomprensibile data appunto, se non altro, questa consolidazione. Del resto il principio umano di poter individualizzare la propria esistenza è di fondamentale importanza.

Inoltre, o per esempio, nell’art. 3, dopo “previste” nel progetto, accanto alla parola “individualizzato”, ci dovrebbe essere la parola “autodeterminazione”. Questo discorso dell’autodeterminazione è infatti rilevante negli articoli 2 – 3 della Costituzione, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nella Convenzione dell’Onu sui disabili e nella legge 104.

E’ assolutamente inaccettabile che questi finanziamenti finiscano al raggiungimento del 65° anno di età (art. 4).

Fin dall’antica Grecia fu chiarito che eguaglianza vuol dire “regolamentare in una maniera ragionevolmente diversa situazioni oggettivamente differenti”. Il fatto è che, allo scoccare del 65° anno, di per sé non si verifica nessun fatto che rende la situazione del disabile oggettivamente differente da quella di chi ha meno di 65 anni.

La differenza si verifica al sopraggiungere dei fenomeni legati alla senilità. Di regola però questo succede raramente a quell’età. Molto più spesso queste differenze si verificano ben più là negli anni, a volte a 70, molto più spesso a 80 anni, e qualche volta anche a 90 e passa anni. Oltre al fatto che a volte questi fenomeni non si verificano mai nel corso della vita di una persona.

E’ perciò inammissibile che a 65 anni una persona, per via del fatto che è costretta a vivere da disabile, venga costretta alle prestazioni riservate alle persone affette dalla senilità.

In altre parole, prendere un “disabile”, che a 65 anni ha ancora pienissima voglia di vivere la vita, e costringerlo a vivere con le prestazioni previste da chi è affetto dai fenomeni della senilità significa accompagnarlo ad una morte precoce. Le forme, i modi e i tempi sono sicuramente molto diversi da quelli del nazismo, e questo va sottolineato, però, di fatto, il risultato ultimo che si va configurando non è troppo diverso.

In proposito va sottolineato che questo fatto del limite d’età non è affatto previsto dall’art. 2 Cost. per il godimento dei diritti inviolabili e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea neppure dalla Convenzione dell’Onu sui disabili e dalla legge 104 per quanto riguarda la vita indipendente. In più l’art. 4 dello Statuto della Regione Toscana prevede come priorità la vita indipendente anche per gli aniani

In ogni caso è una condanna che non può essere accettata. E per evitare questa condanna può essere dignitoso anche ricorrere a gesti estremi.

E’ comprensibile che da parte della pubblica amministrazione ci siano esigenze burocratiche specifiche. Però qui ci sono di mezzo diritti inviolabili della vita. E gli articoli 2 e 3 della Costituzione impongono che dette esigenze amministrative debbano essere subordinate a questi diritti fondamentali.

All’articolo 67 vengono indicati alcuni criteri per arrivare a stabilire le necessità del soggetto.

E’ di fondamentale importanza che questi criteri devono essere valutati non in maniera “oggettiva” o secondo le preferenze degli “operatori”, bensì il loro “peso” va ponderato in relazione alla volontà del soggetto disabile.

Ad esempio una stessa difficoltà fisica può acquistare un peso diverso se il soggetto, ad esempio, ama stare in casa a leggere o ad usare il computer, oppure vuole uscire spesso per fare una vita sociale attiva. Si tratte di due diritti parimenti inviolabili, che si risolvano in un peso diverso.

Considerazioni analoghe valgono per quanto riguarda la situazione abitativa e familiare. Ad esempio, ad una “assistente sociale” può tornare comodo se un disabile vive con due genitori anziani che lo aiutano. Però il peso della situazione deve essere valutato diversamente a seconda che al disabile piaccia o non piaccia vivere con quei due genitori anziano e farsi aiutare da loro.

Sempre all’articolo 67 la valutazione attraverso l’Isee addirittura di tutto il nucleo familiare. Questo è assolutamente inammissibile per i motivi che ho esposto nel mio ultimo libro a cui rinvio.

Per quanto riguarda la tabella 1 all’art. 78 questa sembra essere fumo negli occhi per gli sprovveduti.

Sopratutto perché considerando tutti i fattori pare trattarsi di un centinaio elementi che dovrebbero essere valutati per stabilire le necessità del disabile.

In primo luogo è impossibile, o cervellotico, dividere il disabile in un centinaia di valutazioni diverse. In secondo luogo è illusorio pensare di poterlo fare in maniera oggettiva perché si tratta di persone e della loro intimità, e non di macchine. In terzo luogo il disabile è una persona che deve essere valutata nella sua complessità perché ci sono elementi che possono compensarsi o aggravarsi a vicenda. Ed omettere queste valutazioni porta a gravissimi errori.

In quarto luogo si tratta di valutazioni molto sottili, difficili ed opinabili. Per cui portarle ad essere un centinaio genera sicuramente degli errori che si cumulano a vicenda facendo perdere il senso complessivo della valutazione.

Va infine rilevato che alla situazione economica viene attribuito un punteggio massimo assolutamente eccessivo, sempre per i motivi che ho esposto nel mio libro “VIVERE EGUALI”.

Per quanto riguarda la tabella 2 non ho i dati per valutare se e quando queste fasce siano in grado di coprire compiutamente esigenze effettive.

Va poi rilevato che il tetto massimo annuo ivi previsto è decisamente apprezzabile in relazione a quanto previsto da altri enti, viceversa è assolutamente inadeguato in relazione alle esigenze vere per l’autodeterminazione di chi ha gravi disabilità.

Per quanto riguarda l’autodichiarazione di cui all’art. 89 vanno rilevate un paio di elementi fondamentali.

In primo luogo deve essere chiarito bene che si tratta di autodichiarazione per grandi voci con arrotondamento, per eccesso o difetto, alle centinaia e vanno fatte delle esemplificazioni (es. pulire casa, fare la spesa, attività sportive, ecc.).

Inoltre va chiarito molto bene che i controlli vengono fatti verificando se il disabile usufruisce davvero di quelle prestazioni e non chiedendo le pezze d’appoggio. Se non si specifica bene questo, si tratta di un castello di carta e, di fatto, significa chiedere la rendicontazione di tutto. Viceversa, ad es. con la parola “documentazione” nel comma 1, e con “specifici controlli” del successivo articolo 9 10 pare proprio che sia ammissibile chiedere le pezze d’appoggio. Se il regolamento non chiarisce bene questo punto tutti i discorsi fatti decadono e si torna al vecchiume ingestibile.

Il vero evolversi della vicenda di Roberto Guerri ci conferma tragicamente che non si tratta di questioni da prendere alla leggera. Al contrario, quando si ha a che fare con aspetti concretamente connessi con la vita delle persone, è necessaria e doverosa la massima cautela.

Per quanto riguardo l’ultimo comma dell’art. 8 9, per quanto riguarda il “recupero sulle successive mensilità” in caso di “rendicontazione parziale”, deve essere stabilito che non si procede a detto recupero qualora la “rendicontazione parziale” sia dovuta all’impossibilità assoluta a fare diversamente.

Lo stesso discorso dell’impossibilità assoluta per il disabile vale per la lett. g) del successivo art. 10 1.

La lett c) sempre del successivo art. 10 1 deve essere eliminata.

In primo luogo perché altrimenti questo significa fa rientrare dalla finestra il discorso della rendicontazione totale che si era detto di voler eliminare.

In secondo luogo, certo che il lavoro nero deve essere eliminato, ma i problemi del lavoro nero sono ben diversi da quelli del singolo disabile grave, che si trova costretto a ricorrere ad una lavoratore al nero ad es. privato per bere un bicchiere d’acqua, andare in bagno, ecc.

Ma sopratutto va considerato che il disabile, per vari e importanti motivi, ha tutto l’interesse a ricorrere al lavoro regolare, anche per motivi che ho esposto nel mio libro “VIVERE EGUALI”, Se ricorre al lavoro nero lo fa perché costretto per sopravvivere con l’ampia insufficienza dei fondi erogati dagli enti pubblici. Quindi, codesto Comune non può da un lato dire ti do risorse ampiamente insufficienti, e dall’altro toglierle subito dopo perché il disabile non riesce a fare tutto a regola d’arte con quelle risorse inadeguate. Non si può insomma pretendere la botte piena e la moglie ubriaca a scapito di chi a gravi disabilità.

Non è previsto che, di regola, i contributi destinati a chi ha gravi disabilità vengono stanziati per l’intero anno solare. Senza, cioè, dover provvedere al rinnovo ogni pochi mesi. E non è neanche previsto che sia compito dei servii sociali, alla fine di ogni anno solare, assicurare il rinnovo del contributo per tutto il successivo anno solare. Si tratta di due punti estremamente importanti al fine di salvaguardare la dignità di chi è costretto a vivere con gravi disabilità.

E infine, ma non meno rilevante: è certamente importante e doveroso da parte delle istituzioni ascoltare i rappresentanti delle varie categorie sociali, in questo caso delle associazioni dei disabili. Va tuttavia sottolineato che in questo caso si tratta di costruire dei servizi, ed è quindi essenziale la necessaria competenza, sopratutto se si vuole eliminare conflittualità evitabile. In particolare, per quanto riguarda la vita indipendente, in tutto il mondo questa è stata costruita in stretta collaborazione con le organizzazioni, e sopratutto con le persone, che conoscono bene l’argomento. In termini un po’ diversi si può dire che un ciabattino può essere senz’altro stimabilissimo nel suo lavoro e nella sua vita sociale. Tuttavia si comprenderebbe bene il modo d’intendere l’intelligenza da parte di una persona che, per avere una buona fetta di carne si rivolgesse ad un ciabattino.

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  Il testo sottostante si riferisce al documento inviato dalla Regione Toscana in data 10 dicembre 2015. Successivamente, in seguito alla nostra visita in Regione di cui si parla in altro articolo, in data 16 dicembre 2015, l’assessore Saccardi ha inviato una nuova bozza di modifica all’atto d’indirizzo. In sostanza, tale nuova bozza accoglie solo che non ci sia il limite di età di 65 anni. Quindi, pur con questa precisazione si ritiene opportuno pubblicare integralmente il documento.
 
  Riteniamo di dover respingere la “proposta di modifica Atto di indirizzo” che la Regione ha fatto pervenire in data 10 dicembre 2015.
  Tale proposta non tiene in alcun conto le richieste emerse nella protesta del 27 ottobre u.s., ribadite nell’incontro con l’assessore Saccardi del 12 novembre u.s. e riepilogate nella lettera inviata all’assessore tramite e-mail e PEC in data 20 novembre 2015.
  L’assistenza personale per la vita indipendente serve a ciascun disabile che ne necessita per esercitare i diritti e le libertà inviolabili sanciti dalla Costituzione.  L’esercizio e il godimento di tali diritti non può essere compresso con atti amministrativi.
  Ciò risulta ignorato in innumerevoli punti della bozza qui in esame.
  Innanzitutto, ribadiamo la necessità di un aumento consistente del fondo destinato al contributo per la vita indipendente. Ribadiamo inoltre la necessità che sia garantita la continuità dei progetti in essere.
  La Regione introduce il termine assoluto dei 75 anni alla fruizione del contributo vita indipendente, mentre Costituzione e leggi non pongono limiti di età all’esercizio di diritti e libertà inviolabili.    Inoltre, è esplicitata molto chiaramente l’indicazione alle UVM di dirottare gli utenti ultrasessantacinquenni del contributo vita indipendente verso altre risposte assistenziali, nonostante l’articolo 4 dello Statuto della Regione Toscana preveda espressamente la vita indipendente per disabili e anziani.    Infine, ma non per importanza, il documento qui in esame non menziona la possibilità per i disabili ultrasessantacinquenni di accedere al contributo vita indipendente dopo aver compiuto tale età.    E ciò, nonostante che, nell’incontro già citato del 12 novembre u.s., l’assessore Saccardisia stata molto chiara nell’accogliere questo punto.
  Al paragrafo “Documentazione necessaria”, la Regione richiede il modello ISEE.  In proposito, rileviamo che il comma 6 dell’articolo 108 della legge regionale 66 del 2011 – legge finanziaria per il 2012 – stabilisce che “rimangono esentati dalla valutazione ISEE le persone facenti parte dei progetti di vita indipendente”.  Quindi, la richiesta del modello ISEE è palesemente illegittima.
  La Regione introduce la verifica da parte delle UVM ogni tre anni della permanenza di condizioni e requisiti per ciascun utente.    Ciò significa tornare a rendere ancor più precaria la vita di ogni utente ed anche una profonda ignoranza da parte della Regione della realtà della disabilità, perché le condizioni di disabilità degli utenti non migliorano nel corso degli anni.
  L’accoglimento delle domande per accedere al contributo vita indipendente resta subordinato alle risorse disponibili, cioè l’esatto contrario di “garantire il diritto”.
  L’introduzione tra le spese rendicontabili di ausili tecnici ed altre cose che nulla hanno a che fare con l’assistenza personale per la vita indipendente stravolge la natura del contributo e viola l’articolo 39 lettera l ter della legge 104 / 1992 – come modificato dalla legge 192 del 1998 – che prevede di garantire il diritto ad una vita indipendente alle persone con disabilità permanente e grave limitazione dell'autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita, non superabili mediante ausili tecnici, le modalità di realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano richiesta”.  Inoltre, tale inclusione di ausili tecnici ed altre cose tra le spese rendicontabili avviene senza aumentare di un euro né il budget complessivo né quello individuale di ciascun utente, quindi penalizzando l’assistenza personale per la vita indipendente.  Tutto ciò ha tutta l’aria della riproposizione di soluzioni falsamente “sperimentali” in realtà riconducibili alla sfera del “dopo di noi” e del “co-housing”, cioè alla negazione dell’autodeterminazione dei singoli disabili.
  Per i motivi più volte esposti, si ribadisce la richiesta che la rendicontazione possa avvenire anche tramite autodichiarazione per grandi voci senza obbligo di conservare i giustificativi di spesa.
  Ribadiamo la nostra richiesta di eliminare immediatamente il divieto di assumere il coniuge.  Infatti, tale divieto non esiste quando il coniuge-datore di lavoro è disabile grave, come alla url http://www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=6368l’Inps prevede espressamente in ottemperanza al co. 3 dell’art. 1 del DPR 1403 del 1971, visibile alla url http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1971-12-31;1403~art1-com3.  Oltre al fatto che, ai sensi del co. 2 dello stesso art. 1, non si tratta comunque di lavoro domestico per tutta l’assistenza personale svolta al di fuori dell’abitazione del disabile.
 
 
Associazione Vita IndipendenteONLUS
 
AssociazioneToscana Paraplegici ONLUS
 
Habilia ONLUS
 
AssociazioneParaplegici Aretini ONLUS
 
Associazione Vita IndipendenteBassa Val di Cecina ONLUS
 
Centro Studi e Documentazione sull'Handicap  -   Pistoia
 
AssociazioneParaplegici Siena ONLUS