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  Per quanto riguarda gli importanti stimoli e riflessioni che ci sono venuti dalle questioni che sono state poste a proposito della proposta di legge regionale per l’assegno per l’assistenza personale, si osserva quanto segue.

 

Indennità o assegno?

  Il problema è che l’indennità si contrappone in qualche modo al risarcimento.  Il risarcimento è un ristoro totale del danno subìto quando c’è in qualche modo un’altrui responsabilità totale.  Per quanto riguarda la disabilità, il risarcimento (quindi il ristoro totale di tutto quanto deriva dalla disabilità) almeno per ora non lo daranno mai, se non altro perché perfino la Convenzione Onu sui disabili stabilisce che la disabilità non è interamente responsabilità della collettività.  Viceversa l’indennità è in qualche modo un ristoro parziale. Cioè a dire che, per un motivo o per un altro, non ti rimborso tutto, ma ti do questa cifra e te ne stai buono.

  L’assegno non impedisce a lorsignori di darci soltanto una parte di quello che spendiamo, ma non ci impedisce di pretendere ulteriori rimborsi.

  Inoltre, è da evitare il rischio che con la parola indennità si creino conflitti, anche di costituzionalità, rispetto alle competenze statali, visto che ci sono già l’indennità di accompagnamento e l’indennità per la comunicazione.

 

Confronto tra condizioni di disabili privi di assistenza personale e carcerati.

  È importante sottolineare che l’assistenza personale è materia che ha a che fare con la libertà personale.  È vero, lo osserviamo in molti, che non avere l’assistenza personale è stare agli arresti domiciliari.  Fra di noi c‘è anche chi ha sostenuto che, per certi versi, è peggio che stare in carcere, perché, per esempio, è da ritenere che i carcerati (anche chi è nel braccio della morte e chi è al carcere duro) la notte possano girarsi nel letto liberamente, possano avere un sorso d’acqua, ecc..

  Ciò non significa affatto esprimere un giudizio negativo sui carcerati.  Vuole invece sottolineare che l’essere in carcere o agli arresti domiciliari implica una consistente limitazione delle libertà fondamentali della persona, che in linea di massima sono inviolabili.

  E siccome non avere l’adeguata assistenza personale è come e peggio che stare in carcere, è importante sottolineare che si tratta di libertà personale; se non altro perché è una questione tutelata direttamente dall’articolo 13 della Costituzione, che è un pilastro giuridico di qualsiasi ordinamento più o meno civile.  Ed è un enorme passo avanti convenire che non è materia di assistenza, ma di libertà fondamentali.

  Tanto più è importante far notare questo ora che può essere capito meglio, dato che moltissimi hanno vissuto il lockdown.

  Ed è importante che, fra l’altro, in una recentissima pubblicazione, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa evidenzi che in tema di disabilità c’è di mezzo la libertà personale.  Fra l’altro, se ci si limita ad una questione assistenziale, per certi versi, forse possono essere legittimi alcuni limiti di bilancio.  Se invece si sostiene, e viene condiviso, che è una questione anche di articolo 13 della Costituzione, allora in termini strettamente giuridici ci sarebbe una bomba atomica che dovrebbe far saltare diverse cose.  Del resto, è come dire che l’apartheid è certamente negativo, ma dire questo è proprio il contrario del razzismo verso i neri.

 

Cifre non rendicontabili e cifre autodichiarabili.

  In base alle esperienze fatte finora, è relativamente facile ottenere somme autodichiarabili, mentre è molto più difficile aumentare il tetto non dichiarabile.

  Avevamo previsto l’autodichiarazione perché eravamo in pochi ed era stata più facile da ottenere rispetto alla non dichiarabilità.  In effetti, però, è un’agevolazione molto, molto relativa perché le pezze di appoggio vanno tenute comunque.

  Da una parte, la somma non dichiarabile può essere più importante per chi riceve pochi finanziamenti per l’assistenza personale, perché in tal caso può essere più necessario ricorrere agli assistente estemporanei.

  Dall’altra però, tante più sono le ore di assistenza personale tanto maggiori possono essere le spese aggiuntive per gli assistenti personali, tipo pasti, notti fuori casa, spese di viaggio ecc..

  Tutte spese queste che possono essere complicate da rendicontare.  Per cui da un lato è più importante avere non rendicontabile una cifra fissa che avvantaggia percentualmente chi ha minori finanziamenti.  Dall’altro però è invece necessaria una cifra non rendicontabile in percentuale perché chi ha più ore di assistenza personale ha anche maggiori spese aggiuntive per gli assistenti personali.

  Inoltre sono spese che possono cambiare da un mese all’altro.

  Abbiamo perciò cambiato la proposta di legge in senso di prevedere il 10% dell’importo annuo dell’assegno non dichiarabile con un minimo di € 4.800 non dichiarabili all’anno.  Laddove quindi sia il 10% che gli € 4.800 si calcolano su base annua.

 

Più classi = più garanzie per il disabile.

  Da tempo sosteniamo che è importante che le varie SdS e le Uvm non facciano come gli pare per quanto riguarda l’assistenza personale.  Anche perché non è giusto che ci siano grosse differenze tra le varie parti della regione.  Diminuire il numero delle classi vuol dire mettere meno paletti, e quindi aumentare il potere discrezionale che crea differenze tra le varie parti della Toscana e tra persone in situazioni analoghe.

  D’altra parte, mettere una fascia minima-massimo all’interno di ogni classe non risolve assolutamente il problema tra le varie zone della regione, perché chi stabilirebbe in che punto all’interno della classe mettere il singolo disabile?  L’Uvm?  L’assistente sociale?  Allora saremmo alle solite: enormi differenze fra le varie zone della regione.  E anche dovendosi rivolgere al giudice, questi avrebbe un grosso margine di discrezionalità.

 

Specificità della maternità nel primo anno di vita del bambino.

  Nel preparare questa proposta di legge si è detto che il primissimo periodo di vita di un bambino richiede un particolarissimo sovraimpegno per la madre.  Poi è chiaro che nella vita ci sono molti altri impegni che possono essere, ad esempio, essere padre, essere nonno, essere in pensione, lavorare, essere eletto a cariche elettive ecc..  Ma su questi si è detto di concentrarsi su ciò che il disabile non può fare, e non su ciò che fa.  Ciò che fa è una questione di privacy e di scelte inviolabili.  Anche Ratzka, quando venne a Firenze, sottolineò che è importante che le autorità non entrino in alcun modo nelle singole cose che uno fa perché altrimenti diventa una prigione burocratica.  Se ci si mette a discutere con le autorità che questo, quest’altro ecc. richiedono più assistenza personale, prima cosa la privacy (che è diritto inviolabile) se ne va, e quindi non si è più liberi.  E poi la vita diventa un inferno.  Ad esempio, se uno è nonno, è questione privatissima sua se, quanto, quando, come dedicarsi a questo.  E poi è prevista la possibilità di chiedere più ore.

 

12 mensilità.

  Abbiamo previsto l’assegno su 12 mensilità innanzitutto perché abbiamo indicato in € 20 la cifra oraria onnicomprensiva di ogni spesa connessa con l’assistenza personale.  Ci sembra che questo semplifichi alcune cose e dia maggiori garanzie al disabile.  Però, evidentemente le spese connesse con l’assistenza personale non ci sono per la tredicesima. Di conseguenza, prevedere la 13a complicherebbe molto questo punto.

  Inoltre, anche l’indennità di accompagnamento è su 12 mensilità.  Per cui, più riusciamo a rimanere analoghi alle normative nazionali e meno difficile è far passare la nostra proposta di legge.

  Il costo della 13a, delle ferie e del tfr viene incluso nel costo orario globale riconosciuto per un’ora di assistenza personale.  Questo perché è più semplice nel caso in cui un disabile faccia con gli assistenti personali un tipo di contratto di lavoro che prevede elasticità.  Questi punti erano stati dimenticati nel progetto di legge e sono stati aggiunti.

 

Assistenza continuativa.

  L’assistenza personale, viene specificato, è necessaria tutti i giorni. Questo è un concetto diverso rispetto all’assistenza continuativa, perché con questa parola si intende che tutte le ore di assistenza personale vengono effettuate e ricevute senza interruzione.  Questo vale chiaramente nei casi in cui ci sia necessità 24 ore su 24 di assistenza personale, ma non deve essere imposto in tutti gli altri casi.

  Ovvero imporre l’assistenza continuativa renderebbe la vita impossibile per tutte le numerose persone che necessitano di numerose ore di assistenza personale frazionate in più periodi della giornata.  Viceversa, non imporre l’assistenza continuativa non impedisce di unire le ore a chi ne ha necessità.

 

Soggetti.

  Nell’articolo 1, è spiegato che soggetto è persona con disabilità.  Il punto è spiegato nelle definizioni, è perciò di importanza essenziale.

  Nel testo successivo viene usata la parola “soggetto” per sottolineare che ha la titolarità dei diritti.  Questo è particolarmente importante qualora sia presente la figura del tutore.  Inoltre, viste certe pratiche troppo diffuse, è sempre bene sottolinearlo.

  Infine, è tecnica legislativa corrente stabilire all’inizio del testo definizioni più brevi per espressioni più lunghe.

 

Società della Salute e Zone distretto.

  Nel testo della proposta di legge non si fa riferimento alle Società della Salute e alle Zone distretto perché si tratta di enti creati con una legge regionale, quindi possono essere facilmente eliminati o trasformati dalla Regione.  Inoltre, gli organi apicali di questi enti non sono eletti dal cd. popolo, ma sono nominati dagli organi apicali dei Comuni.  Quindi, le SdS non rispondono direttamente al popolo, ma rispondono agli organi apicali dei Comuni che li hanno nominati.  Infine, nei piccoli comuni, dove il disabile può trovarsi più isolato, può essere più difficile un contatto diretto con gli organi apicali di questi enti.

  Viceversa, i Comuni sono previsti dalla Costituzione e sono enti storici che risalgono a poco dopo l’inizio dello scorso millennio.  Quindi, è poco probabile che vengano eliminati. Inoltre, il Sindaco è eletto dal popolo, e in qualche modo risponde direttamente al popolo. Infine, nei piccoli Comuni per il singolo disabile, in caso dei problemi, può essere più facile un contatto diretto con il Sindaco dicendogli di rispettare i suoi diritti.

  Attribuire questo compito ai Comuni non diventa un caos perché i Comuni sono già titolari di funzioni assistenziali.  E i Comuni sono più conosciuti delle SdS.  Quindi, per le persone si semplificano le cose.

 

Progetto di vita.

  In questa proposta di legge non c’è il “progetto di vita” per i seguenti motivi.

  Le persone cd. normodotate non hanno necessità di fare un progetto di vita per vivere. Quindi, il progetto di vita è discriminatorio.  In particolare, l’assistenza personale per la vita indipendente sarebbe, fra molto altro, per bere un bicchiere d’acqua, per andare in bagno, per girarsi nel letto, per prendere una boccata d’aria, per andare a fare la spesa ecc..  Alle persone normodotate non viene consentito di svolgere queste attività soltanto previa presentazione di un progetto di vita.

  Nel progetto di vita ci sono molte questioni connesse con la privacy.  Nessuna persona normodotata deve far conoscere queste cose alla pubblica amministrazione.  Perciò, il progetto di vita è discriminatorio ancora di più e viola anche la privacy, che, ricordiamocelo, è un diritto fondamentale.

  Queste violazioni sono ancora più gravi perché l’assistenza personale serve anche per attività privatissime.

  Inoltre, anche chi nel suo privato fa un progetto di vita, lo costruisce via via nel crescere, nel vivere, ed è una questione di privacy fondamentale.  Altro che doverlo sbandierare a destra e a manca!

  E poi, una persona non può certo costruire un progetto di vita di punto in bianco quando comincia a vivere la vita senza i familiari accanto.

  La questione è ancora più grave per le persone con disabilità, perché – quando un disabile grave esce dall’istituto o di casa senza i familiari e inizia a fare la vita indipendente – quel disabile grave deve un po’ capire, rendersi conto di tante cose, di quello che vuole e può fare.  Per cui dire che uno può fare vita indipendente solo previo progetto di vita è una contraddizione in termini ed è perfino tragicamente comica e castrante.

  E ancora: una persona ha il pienissimo diritto di vivere la propria vita senza un progetto o con un progetto di vita vago.  Nessuna istituzione ha facoltà di mettere bocca su questo.  E non è ammissibile che i disabili vengano messi in condizione di inferiorità su questo.  Ovvero sarebbe una gravissima violazione, se non altro, degli articoli 2 e 3 della Costituzione attribuire alla pubblica amministrazione la facoltà, o il dovere, di stabilire se un progetto di vita è valido o meno.

  Sui diritti fondamentali, e quindi sulla privacy, non può metter bocca neppure il Parlamento in sede di revisione della Costituzione, figuriamoci se può farlo la tale commissione della pubblica amministrazione o l’assistente sociale.

 

Ore medie.

  Nel progetto di legge è molto importante che le ore giornaliere assegnate per l’assistenza personale siano medie su base annua.  Questo perché le necessità di assistenza personale possono variare da un giorno all’altro, ma anche da una settimana all’altra, da un mese all’altro, da una stagione all’altra.  Per esempio, quando uno deve andare a scuola, oppure vuole svolgere attività all’aperto, oppure ci sono rassegne cinematografiche, oppure stagioni teatrali, ecc..

 

No UVM.

  Nel progetto di legge in esame le ore dell’assistenza personale assegnata ai disabili vengono decise non dall’UVM, ma dalla Commissione di cui alla legge 104.  Questo perché tale Commissione è stata creata con legge nazionale, quindi si semplificano un po' le cose. Ma soprattutto perché la legge nazionale prevede già che tale commissione debba ascoltare il disabile e che il disabile possa farsi accompagnare da una persona di propria fiducia.  Quindi, assegnando tale compito a detta Commissione, è più facile ottenere certe garanzie.  Inoltre, contro le decisioni di tale commissione, sono già numerosi i ricorsi giurisdizionali.

 

Concordare, condividere.

  Siccome ci sono in ballo i diritti inviolabili dei disabili, sarebbe corretto che venissero accettate automaticamente le richieste di assistenza personale del disabile.  Nell’attuale ordinamento giuridico, questo è impossibile perché ci sono di mezzo finanziamenti pubblici, e quindi deve essere accertata la legittimità giuridica del loro utilizzo.  È una grossa contraddizione giuridica, che però l’attuale sistema giuridico e costituzionale non sa come risolvere.

   In questa proposta di legge è del tutto assente il concetto che la Commissione “decide congiuntamente, concorda, si interfaccia” con il disabile.

  Il punto è che, per quanto riguarda la vita indipendente, ci sono di mezzo i diritti inviolabili del disabile.  Fin dal suo inizio, la Costituzione italiana stabilisce che nessun organo della Repubblica può mettere bocca su come la persona (anche non cittadina) esercita i propri diritti fondamentali.  La Repubblica può intervenire sul concreto esercizio di questi diritti soltanto nell’ambito dei limiti strettissimi stabiliti dalla Costituzione stessa.  Ovviamente questo vale anche per i disabili.

  Concordare, o parole simili, la propria assistenza personale con la Commissione vuol dire riconoscere per legge alla Commissione stessa la facoltà di poter affermare la sua su come il singolo disabile esercita i propri diritti fondamentali.  Questa è una condizione di enorme inferiorità giuridica e materiale.  Probabilmente neanche un ergastolano deve concordare con il, e neppure dichiarare al, carcere quante volte al giorno fare la pipì, quante volte la notte girarsi nel letto, ecc..  Oppure, ad esempio, non è certo legittimo che il disabile debba concordare con un organo della Repubblica quante volte andare a manifestazioni politiche, quante volte a teatro, ecc..  E neppure, a esempio, deve dire se sceglie di andare al cinema o ad un’iniziativa elettorale.  Questo è un cruciale nodo giuridico e di dignità.

  Inoltre, se viene stabilito per legge che la Commissione ha titolo di mettere bocca sul concreto esercizio delle libertà fondamentali, nel caso in cui la decisione che viene presa non vada bene, diventa molto più difficile ricorrere al giudice.

  Viceversa la Commissione deve ascoltare il disabile su tutte le sue esigenze in termini di quantità di ore di assistenza personale.  Fermo restando che il disabile esprime le proprie incapacità e non deve essere spinto ad entrare nei dettagli di quello che vuol fare con l'assistenza personale perché è materia di diritti inviolabili, e anche la privacy lo è.  Per il disabile può non essere facile esprimere questo davanti agli estranei, per cui deve avere diritto di farsi aiutare da persone di sua fiducia.

  Per cui la Commissione deve ascoltare le richieste del disabile e limitarsi ad accertare se sono legittime o meno.  Nel senso che, se, per esempio, un disabile chiede assistenza personale perché è incapace di sparare con la pistola ad altre persone è evidente che c’è un’illegittimità.  Oppure, se una persona che ha 10/10 di vista chiede assistenza personale perché è incapace di vedere da lontano (si fa per dire come esempio), è chiaro che la Commissione accerta l’illegittimità della richiesta.  Oppure, se un tetraplegico chiede assistenza personale perché è incapace di fare il salto in lungo, può essere legittimo che la Commissione voglia capire meglio.  Però, la Commissione deve limitarsi alla illegittimità.

  Se poi, a parere del disabile, la Commissione non si limita alla legittimità e/o non prende in considerazione alcune delle sue richieste, allora il disabile stesso può ricorrere al giudice.

 

Altro.

  Quanto al comma 3 dell’articolo 5, le decisioni dell’assistente sociale devono essere motivate e il disabile deve poter replicare.  Altro che eliminare il punto!

  Sul diritto degli stranieri a ricevere l’assistenza ci sono molte decisioni della Corte costituzionale.